Marys Medicine

 

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Nazionale Padova, 10 -11 Ottobre 2013
Aula Magna, Palazzo del Bo Università degli Studi di Padova Corso Interattivo
Il percorso della
MEDICINA di GENERE
nel Sistema DIABETE
Padova, 12 Ottobre 2013
Aula Nievo, Palazzo del Bo Università degli Studi di Padova Il CUG e la Medicina di Genere
Padova, 11 Ottobre 2013
Sala Convegni della Cassa di Risparmio del Veneto Via 8 Febbraio, 22 - Padova Elena Lucrezia Cornaro Piscopia
& ABSTRACTS
Prima Donna Laureata al Mondo E UROPEAN
S OCIETÀ
I TALIANA
M EDICINA
M EDICINE
Nazionale sulla MEDICINA
di GENERE

Padova, 10 -11 Ottobre 2013
Aula Magna, Palazzo del Bo - Università degli Studi di Padova
Via 8 Febbraio 1848, 2 - 35122 Padova
Corso Interattivo
Il percorso della
MEDICINA di GENERE
nel Sistema DIABETE

Padova, 12 Ottobre 2013
Aula Nievo, Palazzo del Bo - Università degli Studi di Padova
Via 8 Febbraio 1848, 2 - 35122 Padova
Presidenti del Congresso e del Corso
Giovanella Baggio (Padova)
Sergio Pecorelli (Roma)
Presidente Onorario del Congresso e del Corso
Rodolfo Paoletti (Milano)
Organizzati da: Centro Studi Nazionale
su Salute e Medicina di Genere
Fondazione Giovanni Lorenzini
(Milano - Houston)
Elena Lucrezia Cornaro Piscopia
Prima Donna Laureata al Mondo sotto gli auspici di: E UROPEAN
S OCIETÀ
I TALIANA
M EDICINA
M EDICINE
Il Centro Studi Nazionale su Salute e Medicina di Genere è stato fondato nel 2009 da alcuni Professionisti insieme all'Azienda Ospedalieradi Padova e alla Fondazione Giovanni Lorenzini Medical Science Foundation (Milano-Houston).
La Medicina di Genere è una dimensione trasversale della medicina indirizzata a meglio valutare e utilizzare l'influenza del sesso e del generesulla fisiologia, fisiopatologia e patologia umana e quindi ottimizzare la prevenzione e la terapia delle malattie. L'obiettivo primario del Centro Studi è quello di sviluppare e rendere attiva una rete di esperti che portino nel percorso delle varie specialitàuna motivata e crescente conoscenza verso il genere nella informazione, formazione e ricerca medica. Il Centro Studi, in questi 4 anni, ha promosso insieme alla Fondazione Lorenzini: • Primo Congresso Nazionale sulla Medicina di Genere nel 2009 che ha lanciato la tematica e aperto molti interrogativi;• Secondo Congresso Nazionale sulla Medicina di Genere nel 2010 che ha cominciato a raccogliere le ricerche e gli approfondimenti di molti gruppi italiani; • Primo Congresso Nazionale di Oncologia di Genere nel 2011 che è stato il primo confronto fra oncologi sul genere a livello mondiale;• lncontro sulla Medicina di Genere a Padova nel 2012 che, confrontando le ricerche cliniche di base tra le diverse specialità mediche,ha contribuito ad avviare una collaborazione sempre più stretta tra le specialità mediche nello sviluppo di un approccio di genere. Sempre piùnumerosi sono i Corsi per Medici soprattutto su tematiche cardiologiche.
Più di 100 sono le conferenze tenute in tutte le Regioni da Membri del Consiglio Direttivo del Centro Studi per costruire insieme ai medici e allapopolazione una maggiore considerazione delle valenze di un approccio per generi. Un progetto con l'Istituto Superiore di Sanità Italiano, con molte Società Scientifiche e con Gruppi di lavoro in medicina sta contribuendo ariposizionare la medicina di genere nella sua valenza trasversale e di attenzione propositiva di tutti gli operatori nella medicina verso unanuova e più incisiva attenzione alle esigenze di genere. Il Centro Studi Nazionale su Salute e Medicina di Genere è membro della International Society of Gender Medicine e Giovannella Baggio ènel Direttivo Internazionale di quella Istituzione. Il Terzo Congresso Nazionale sulla Medicina di Genere diventa dunque un importante momento di verifica: la medicina di genere ha orabisogno di essere declinata nel quotidiano dell'approccio clinico e quindi nell'organizzazione del Sistema Sanitario Nazionale; molte Regionihanno inserito la medicina di genere nel loro PSSR. Ripetute ormai sono le proposte o i precorsi legislativi che cercano di sostenere e realizzareil coinvolgimento del Parlamento anche verso una codificazione giuridica dell'importanza della medicina di genere. Il Centro Studi si pone in Italia come stimolatore affinché la medicina di genere da scienza dimenticata e negletta diventi pratica quotidiana.
Ente morale con DPR 30 Marzo 1976 n. 243 La Fondazione Lorenzini consiste di due istituzioni scientifiche non profit: la Fondazione Giovanni Lorenzini Medical Science Foundation, Ente
Morale senza fini di lucro legalmente fondato nel 1969 e riconosciuto dallo Stato Italiano nel 1976 (DPR 30 Marzo 1976 n. 243) e The
Giovanni Lorenzini Medical Foundation fondata a Houston nel 1984 e registrata nel Board degli enti not-for-profit riconosciuti dallo Stato del
Texas.
La missione:
La missione è il miglioramento della conoscenza medica, perseguita attraverso la continua esplorazione della ricerca di base e clinica e
l'introduzione di elementi innovativi e formativi nella prevenzione, diagnosi e cura delle malattie, finalizzati alla costruzione di indirizzi, linee
guida e consenso utilizzabili dal medico, dalle Istituzioni Scientifiche e dagli enti di governo (regolatori, legislativi, di governance per esempio)
nello svolgimento della loro attività a beneficio del singolo malato e della società.
L'attività:
La Fondazione Lorenzini attraverso la realizzazione di progetti scientifici di ricerca e sviluppo articolati, collegando tra loro competenze ed
esperienze internazionali, e attraverso l'erogazione di attività educazionali quali congressi, corsi, coordinamento di Gruppi di Studio, campagne
educazionali, pubblicazioni, website, ecc., intende contribuire a facilitare interventi progettuali multidisciplinari per esempio nei percorsi di
Medicina Traslazionale Health Economy e Health Policy.
Non ultima è un'attenzione alle differenze di genere e alla salute della donna in menopausa.
Il contesto in cui si muove la Fondazione Lorenzini deve sempre più tenere conto delle differenze che la biologia, l'età, il genere, le condizioni
sociali, il contesto organizzativo e sociale specifico impongono al percorso del bisogno di salute nell'individuo. Infatti una migliore conoscenza
sulle malattie, una ottimizzazione della organizzazione del percorso del paziente, una migliore conoscenza del bisogno di salute della società,
e un migliore utilizzo della innovazione in medicina costituiscono un essenziale e irrinunciabile ritorno economico per la società.
I numeri della Fondazione Lorenzini:
- 445 attività educazionali;
- 245 attività editoriali;
- 312 borse di studio erogate.
Attività di coordinamento:
Attualmente la Fondazione Lorenzini coordina le attività della International Atherosclerosis Society, federazione internazionale di 63 Società
Nazionali dell'Aterosclerosi cui aderiscono oltre 18,000 scienziati nel mondo. Fra l'altro nel 2007 ha fondato la European Society of Gender
Health and Medicine, la Società Italiana per la Salute e la Medicina di Genere e in collaborazione con l'A.O.U. di Padova il Centro Studi
Nazionale su Salute e Medicina di Genere.
Comunicazione web:
La Fondazione Lorenzini (www.lorenzinifoundation.org) coordina lo sviluppo e la gestione di website, come sorgente permanente di informazione
dedicati alla medicina di genere (www.gendermedicine.org), alla sindrome metabolica (www.cardiometabolica.org), all'aterosclerosi
(in collaborazione con la International Atherosclerosis Society: www.athero.org), alla salute della donna (www.reddressitalia.it) e alla Health
Policy (www.healtheurope.org).
Certificazione ISO (UNI EN ISO 9001:2008):
La Fondazione Lorenzini dispone della Certificazione ISO.
Informazioni Generali Programma Scientifico del Congresso Abstracts del Congresso Programma Scientifico dei Posters Posters del Congresso Workshop Satellite Programma Scientifico del Corso Abstracts del Corso Fondazione Giovanni Lorenzini
Medical Science Foundation
Viale Piave, 35 – 20129 Milano
Tel. 02/29006267 – Fax 02/29007018
[email protected]
Centro Studi Nazionale su Salute e Medicina di Genere
c/o Azienda Ospedaliera di Padova
Via Giustiniani, 2 – 35128 Padova
[email protected]
L.C. Congressi srl
Via Euganea, 45 – 35141 PadovaTel 049/8719922 – Fax 049/8710112 [email protected] www.lccongressi.it/MEDICINADIGENERE2013 Associazione Medica Patavina
c/o Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di PadovaVia San Prosdocimo, 6/8 - 35139 Padova Accreditato presso il Centro Regionale ECM Regione Veneto con ilcodice VEN-ORG 418 Con il Patrocinio
Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) Associazione Italiana Donne Medico (A.I.D.M.)Associazione Medici Diabetologi (AMD)Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI)Associazione Salute DonnaFederazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti (FADOI)Federazione delle Società Medico - Scientifiche Italiane (FISM)Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere (F.I.A.S.O.)Federazione Italiana di Cardiologia (FIC)Federazione Nazionale Collegi IPASVIFederazione Nazionale Ordini Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO)Fondazione Italiana per il Cuore (FIPC)Società Europea per la Salute e la Medicina di Genere (ESGHM)Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica (SIBioC)Società Italiana dell'Obesità (SIO)Società Italiana di Chirurgia dell'Obesità e delleMalattie Metaboliche (SICOB)Società Italiana di Diabetologia (SID)Società Italiana di Farmacologia (SIF)Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG)Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO)Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI)Società Italiana di Medicina di Laboratorio (SIMeL)Società Italiana di Medicina Generale (SIMG)Società Italiana di Medicina Interna (SIMI)Società Italiana di Neurologia (SIN)Società Italiana di Neuropsicofarmacologia (SINPF)Società Italiana di Neuroscienze (SINS)Società Italiana di Psichiatria (SIP)Società Italiana di Reumatologia (SIR)Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare (SIPREC)Società Italiana per la Salute e la Medicina di Genere (SISMG)Società Italiana Trapianti d'Organo (S.I.T.O.)Società Nazionale di Aggiornamento Medico Interdisciplinare (SNAMID)The International Society for Gender Medicine (IGM) Sede del Congresso
"3° Congresso Nazionale sulla Medicina di Genere"
Giovedì, 10 Ottobre e Venerdì, 11 Ottobre 2013
Aula Magna, Palazzo del Bo - Università di Padova
Via 8 Febbraio 1848, 2 – 35122 Padova
Sede del Corso
"Il percorso della Medicina di Genere nel Sistema Diabete"
Sabato, 12 Ottobre 2013
Aula Nievo, Palazzo del Bo – Università di Padova
Via 8 Febbraio 1848, 2 – 35122 Padova
La sede congressuale è situata nel centro storico,non è raggiungibile in auto. Consigliamo il parcheggio presso:l'Autosilos Park Padova Centro, via Trieste 50 (tariffa oraria € 1,00) che dista 10 min. a piedi dal Palazzo del Bo.
Lingua del Congresso
e del Corso
Il Desk della Segreteria sarà a disposizione in sede congressuale dalle ore 13.00 del 10 Ottobre 2013 per il Congresso e dalle ore 8.00del 12 Ottobre 2013 per il Corso, fino al termine dei lavoricongressuali.
All'atto della registrazione sarà consegnato il kit congressualeunitamente al badge che dovrà essere indossato per tutta la duratadei lavori. Sito del Congresso
e del Corso
Quote di Iscrizione
Solo i partecipanti regolarmente registrati potranno accedere allesessioni scientifiche, working lunch e coffee break. (inclusa IVA 22% - oltre il 30/9 e in sede congressuale) al Congresso
• Infermiere/Tecnico sanitario di Laboratorio Biomedico/ • Specializzando • Studente (con dichiarazione o copia del libretto universitario) (inclusa IVA 22%, quota unica per tutte le categorie) • Studenti non ammessi Attestato
L'attestato di partecipazione potrà essere ritirato al Desk della Segreteria, al termine dei lavori.
Crediti ECM
Per il "3° Congresso Nazionale sulla Medicina di Genere" del 10 e
11 Ottobre 2013
sono stati assegnati n. 6 crediti.
Per il Corso Interattivo "Il percorso della Medicina di Genere nel
Sistema Diabete
" del 12 Ottobre 2013 sono stati assegnati n. 4 crediti.
Le figure professionali accreditate per entrambi gli eventi sono:
MEDICO CHIRURGO (area interdisciplinare), FARMACISTA,
PSICOLOGO, DIETISTA, INFERMIERE, TECNICO SANITARIO
DI LABORATORIO BIOMEDICO.
L'Attestato ECM sarà inviato agli aventi diritto successivamente al-
l'evento, previa verifica della presenza con firma in entrata/uscita,
compilazione e riconsegna degli appositi questionari inerenti al Con-
gresso o al Corso, rilasciati dalla Segreteria all'atto della registrazione.
La partecipazione/iscrizione al Congresso e al Corso non implicaalcuna responsabilità da parte della Segreteria Organizzativa,Segreteria Scientifica, Presidenti del Congresso, Università degliStudi di Padova, Enti Patrocinanti, Sponsors, Provider, per qualsivogliaincidente, danni personali o materiali o furti subiti dal partecipantedurante tutto il periodo congressuale.
Gli stessi declinano ogni responsabilità per eventuali cambiamentinel programma dovuti a circostanze esterne e si riservano il dirittodi apportare ogni eventuale modifica si rendesse necessaria alprogramma per ragioni tecnico-scientifiche.
Si consiglia ai partecipanti di stipulare in modo autonomo eventualiassicurazioni personali.
La sede congressuale è dotata di sistema di videoproiezione e diPC. Le presentazioni devo essere impostate utilizzando Powerpointdi Windows e dovranno essere consegnate su apposita USBpen-drive al tecnico della sala un'ora prima della presentazione.
Legge sulla Privacy
I dati personali verranno gestiti esclusivamente da LC Congressi inaccordo alla legge 675/06 e successivo decreto 196/2003.
La Slide Library conterrà le Presentazioni dei Relatori e i Posters esarà disponibile dopo il Congresso sui siti:www.lorenzinifoundation.org – www.gendermedicine.org Best Poster Awards
Il Comitato Scientifico selezionerà i migliori poster: tra questi, ai piùsignificativi verrà conferito un diploma "Best Poster Award" che saràconsegnato durante il Congresso in Aula Magna Venerdì, 11 Otto-bre 2013 dalle 14.00 alle 14.30.
ASSEMBLEA CENTRO STUDI NAZIONALE SU SALUTE
E MEDICINA DI GENERE
E' prevista per il giorno Giovedì, 10 Ottobre 2013 alle ore 18.30
presso Aula Magna - Palazzo del Bo Università degli Studi di Padova Via 8 Febbraio 1848, 2 - 35122 Padova PREMIO PER TESI DI LAUREA/SPECIALIZZAZIONE
IN MEDICINA DI GENERE
Il Centro Studi Nazionale su Salute e Medicina di Genere e la Fondazione Giovanni Lorenzini, conferiranno un Premio di € 1.000,00
alla migliore tesi svolta nell'ambito della Medicina di Genere.
La tesi vincente verrà premiata durante il Congresso il giorno Venerdì, 11 Ottobre 2013 dalle ore 14.00 alle ore 14.30 in Aula Magna
e diffusa sui siti Aula Magna
10 - 11 Ottobre 2013

Programma Scientifico del Congresso Aula Magna
Giovedì, 10 Ottobre 2013
Apertura segreteria e registrazione dei partecipanti
Saluto delle Autorità
Giuseppe Zaccaria
(Rettore, Università di Padova)
Claudio Dario (Direttore Generale, Azienda Ospedaliera,
Università di Padova)
Maurizio Benato (Presidente Ordine dei Medici Chirurghi ed
Odontoiatri di Padova e Vice Presidente FNOMCeO) Apertura dei Lavori
G. Baggio
(Padova), S. Pecorelli (Roma), A. Peracino (Milano)
SESSIONE
La medicina di genere nella sindrome dello scompenso cardiaco
Moderatori:
S. Maffei (Pisa), M.G. Modena (Modena)
L'epidemia dello scompenso cardiaco negli anni 2000: l'impatto "donna"
L. De Biase (Roma)
Il cuore insufficiente nei generi: differenti fenotipi?
M. Triggiani, A. Manerba, S. Nodari (Brescia)
La terapia dello scompenso cardiaco: peculiarità di genere
G. Sinagra, I. Puggia (Trieste)
Discussione sulle presentazioni e Dibattito sul tema
Bisogni e barriere nella continuità di cura
condotti da
G. Baggio (Padova)
R. Michieli (Venezia)
S. Maffei (Pisa), M.G. Modena (Modena)
Aneurisma aortico addominale
F. Grego, M. Menegolo, E. Molon, M. Antonello (Padova)
COFFEE BREAK E VISITA AI POSTERS
S. Pecorelli (Roma)
Farmaci e genere: gli aspetti regolatori
L. Pani (Roma)
Programma Scientifico del Congresso Aula Magna
Giovedì, 10 Ottobre 2013
A. Ianni Palarchio (Torino)
Trapianti d'organo: impatto del genere
L. Furian, E. Cozzi (Padova)
Assemblea del Centro Studi Nazionale su Salute e Medicina di Genere Venerdì, 11 Ottobre 2013
SESSIONE
Il genere in oncologia
Moderatori:
A. Peracino (Milano), F. Rea (Padova)
Implicazioni di genere nei tumori del colon-retto
V. Zagonel (Padova)
Il carcinoma del polmone nelle donne
S. Novello (Torino)
Discussione sulle presentazioni e Dibattito sul tema
Prospettive di interventi programmatori di genere nella gestione
del tumore del polmone e del tumore del colon
condotti da
A. Peracino (Milano)
F. Rea (Padova)
S. Govoni (Pavia), M. Mammucari (Roma)
Dolore cronico non oncologico A. Cuomo (Napoli)
L'artrosi è una malattia di genere? A. Migliore (Roma)
Discussione e Dibattitocondotti da S. Govoni (Pavia)
M. Mammucari (Roma)
COFFEE BREAK E VISITA AI POSTERS
Programma Scientifico del Congresso Aula Magna
Venerdì, 11 Ottobre 2013
SESSIONE
Epatopatie HBV e HCV correlate
Moderatori:
A. Floreani (Padova), M. Ziche (Siena)
Epatopatie HBV e HCV correlate:
effetto del genere sulla risposta alle terapie
V. Bernabucci, L. Turco, E. Villa (Modena)
Epatopatie HBV e HCV correlate:
effetto del genere sulla risposta alle terapie antivirali
A. Alberti, S. Piovesan (Padova)
Discussione sulle presentazioni e Dibattito sul tema
Percorsi, protocolli, programmi di gestione per genere delle
epatopatie virali
condotti da
A. Floreani (Padova)
M. Ziche (Siena)
D. Minucci (Padova)
Vaccinazione "neutral gender" per HPV: un problema di rilevanza
biologica e di sanità pubblica
G. Palù (Padova)
VISITA E DISCUSSIONE DEI POSTER CON GLI AUTORI
COLAZIONE DI LAVORO
Presentazione e Premiazione dei BEST POSTERS
Premiazione TESI DI LAUREA/SPECIALIZZAZIONE IN
MEDICINA DI GENERE
Moderatori:
A. Agnello (Padova), E. Folco (Milano)
G. Baggio (Padova)
The International Perspective of Gender Medicine
M. Glezerman (Tel Aviv, Israel)
Programma Scientifico del Congresso Aula Magna
Venerdì, 11 Ottobre 2013
La demenza nel genere e nella società
Moderatori:
C. Gabelli (Padova), L. Mazzanti (Ancona)
Genere e demenza
A.C. Bruni (Lamezia Terme, Catanzaro)
Le nuove frontiere nella diagnostica
S. Galluzzi, G. Frisoni (Brescia)
Differenze di genere nella presbiacusia e nel deterioramento cognitivo
A. Martini, A. Castiglione, R. Bovo (Padova)
Dibattito sul tema
Bisogni, criticità, barriere, percorsi nella cura e nella assistenza
condotto da
S. Maggi (Padova)
COFFEE BREAK
TAVOLA ROTONDA
La Medicina di Genere nel Curriculum Universitario
Moderatore:
G. Zaccaria (Padova)
G. Baggio (Padova)
S.D. Ferrara (Padova)
A. Lenzi (Roma)
S. Pecorelli (Roma)
MESSAGGIO CONCLUSIVO DEL CONGRESSO
S. Pecorelli (Roma)
COMPILAZIONE QUESTIONARIO ECM
Abstracts del Congresso
L'EPIDEMIA DELLO SCOMPENSO CARDIACO NEGLI ANNI 2000:
L'IMPATTO "DONNA"
L. De Biase
Professore Associato di Cardiologia Dipartimento di Medicina Clinica e
Molecolare, Università Sapienza, Roma

Lo Scompenso Cardiaco (SC) è una delle principali cause di mortalità, morbidità, ed
ospedalizzazione, rappresentando quindi un grande onere economico per il Sistema
Sanitario Nazionale. Negli Stati Uniti la spesa totale per lo SC è stata di circa 24 miliardi
nel 2012 [1], ed in Europa lo SC incide sull'1% del bilancio [2]. 5.3 milioni di americani
sono affetti da SC, e proiezioni dell'American Heart Association mostrano che entro il 2030
la prevalenza dello SC aumenterà del 25% [1]. Quasi il 50% dei pazienti affetti da SC,
circa 2.7 milioni di persone, sono donne[3, 4], e la mortalità per SC contribuisce per il 35%
alla mortalità per malattie cardiovascolari nelle donne[5]. Recenti studi epidemiologici
Abstracts del Congresso
hanno evidenziato un progressivo aumento della prevalenza dello SC tra le donne. Il Framingham Heart Study e l'Olmsted County Study hanno dimostrato come dagli anni '70 ad oggi non vi sia stato alcun aumento significativo dell'incidenza dello SC negli uomini, mentre vi è stato un aumento del 5-10% tra le donne[6, 7]. In media, le donne con scompenso cardiaco sono più anziane degli uomini, con una maggior prevalenza di diagnosi fatta dopo i 79 anni[5, 8]. Le pazienti di sesso femminile hanno complessivamente tassi più elevati di SC a frazione di eiezione preservata (HFpEF) rispetto ai maschi (73,8 % vs 48,9, rispettivamente), avendo come eziopatogenesi l'ipertensione, le valvulopatie o il diabete e meno frequentemente la malattia coronarica (CAD)[9, 10]. In particolare, l'ipertensione aumenta il rischio di sviluppo di insufficienza cardiaca di tre volte nelle donne [11], essendo associata al 59 % dei casi di SC nelle donne e 39% negli uomini [12]. Inoltre, è stato dimostrato che le donne con SC e diabete, in particolare le donne più giovani, mostrano una sopravvivenza media inferiore rispetto agli uomini. Inoltre il diabete è fortemente associato al rischio di ri-ospedalizzazione, soprattutto per le donne più giovani[13]. Tra i pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta (HFrEF), le donne presentano un minor diametro telediastolico del ventricolo sinistro (51 ± 1.5 e 58 ± 1,8, rispettivamente) ed un minor tasso di disfunzione sistolica severa (27 % vs 40 %, rispettivamente)[9]. Inoltre, Martinez- Sellés e coll. [14] hanno dimostrato che la sopravvivenza nelle donne affette da SC è simile, indipendentemente dalla frazione d'eiezione del ventricolo sinistro; quindi quest'ultima non puo' essere usata come un predittore attendibile di mortalità a lungo termine nelle donne. In generale, le donne sembrano avere una migliore sopravvivenza rispetto agli uomini, per motivi che non sono ancora stati chiariti[15]. Secondo lo studio CHARM, la mortalità per causa cardiologiche, per tutte le cause e le ospedalizzazioni per SC è minore nelle donne piuttosto che negli uomini[16]. È stato inoltre dimostrato che il tasso stimato di eventi a 3 anni è del 44% (39-49%) nei i maschi e del 37% (31-44%) nelle femmine[8]. Al contrario, l'Acute Decompensated Heart Failure National Registry (ADHERE) non ha mostrato differenze di genere nella mortalità intraospedaliera, e la durata della degenza per Sc non risultava significativamente differente tra i due sessi[10]. È stato inoltre descritto che la sopravvivenza a 5 anni delle donne rispetto agli uomini e' migliorata in misura minore negli ultimi anni (10 vs 25 % di diminuzione della mortalità nel periodo 1996-2000 rispetto al 1979-1984 in uomini e donne, rispettivamente)[7]. È stato inoltre dimostrato che le donne affette da SC, presentano più sintomi, una minor tolleranza allo sforzo, e più segni (edema, ritmo di galoppo, distensione venosa giugulare)[17, 18]. Precedenti studi hanno dimostrato che le donne trattate per SC hanno meno probabilità di ricevere uno schema terapeutico che rappresenti il gold-standard, e quando questo viene prescritto è fatto a dosi sub-ottimali[19]. Infine anche se dal 1993 l'NIH ha richiesto che un numero sufficiente di donne fosse reclutato nei trial clinici in modo tale che potessero essere valutati risultati genere-specifici, sono sotto rappresentate nella maggior parte degli studi clinici. Abstracts del Congresso
Conclusioni: di conseguenza, le attuali linee guida per la terapia dello SC non sono
genere-specifiche ed ulteriori studi che esaminino le differenze di sesso nello SC sono
necessari per confermare o stabilire benefici dei trattamenti esistenti o futuri nelle donne.
Bibliografia:
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American Heart Association.
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diabetes in patients with heart failure: importance of age and sex: a population
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Johnstone D, et al., Clinical characteris- tics of patients in studies of left ventricular
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Klein L, et al., Quality of care and outcomes in women hospitalized for heart failure.
Circ Heart Fail, 2011. 4: p. 589 – 598.
Abstracts del Congresso
IL CUORE INSUFFICIENTE NEI GENERI: DIFFERENTI FENOTIPI?
M. Triggiani , A. Manerba , S. Nodari
Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche, Scienze Radiologiche e Sanità Pubblica, sezione malattie cardiovascolari. Università degli Studi e Spedali Civili di Brescia L'insufficienza cardiaca (IC) ha un'eziologia multifattoriale e il ruolo delle diverse patologie e dei fattori di rischio è differente a seconda del sesso. Le donne sviluppano IC in un'età più avanzata, hanno una minor probabilità di un'eziologia ischemica della malattia, mentre più frequentemente risultano essere affette da ipertensione arteriosa, diabete mellito e obesità. I dati relativi all'esistenza di differenze sesso correlate nella prognosi dell'IC risultano invece ancora tra loro Abstracts del Congresso
discordanti. Nonostante il sesso femminile mostri una migliore sopravvivenza, i
benefici della terapia sembrano essere maggiori negli uomini nei quali si osserva
anche un approccio diagnostico più appropriato e una maggiore aderenza alle linee
guida. D'altra parte è difficile stabilire se ci sono reali differenze sesso correlate
nella risposta alla terapia farmacologica per farmaci utilizzati nell'IC, in quanto la
proporzione delle donne arruolate nei grandi trial clinici risulta essere ridotta,
variando dal 20% al 40%. Una delle più notevoli differenze sesso-correlate nell'IC è
che nella maggior parte delle donne la frazione di eiezione del ventricolo sinistro è
preservata, mentre negli uomini risulta più frequentemente ridotta. La minor
prevalenza dell'eziologia ischemica e per contro l'importanza di fattori come
ipertensione e diabete si traducono, in oltre la metà dei casi, in un quadro di
scompenso a funzione sistolica conservata, con un cuore poco dilatato con
ipertrofia concentrica. Nelle donne si osservano inoltre pressioni telediastoliche più
elevate a fronte di volumi più piccoli, suggerendo che le alterazioni nelle curve
pressione-volume siano maggiori. La riserva funzionale del cuore femminile
rimodellato è minore, con un rapido incremento delle pressioni di riempimento sotto
stress di diversa natura, e questo può spiegare la gravità dei sintomi e la maggiore
limitazione funzionale osservata nelle donne con scompenso. Esistono numerose
possibili spiegazioni per questa maggior predisposizione del sesso femminile all'IC
con frazione di eiezione preservata.
Conclusioni: le risposte fisiologiche e fisiopatologiche al danno cardiaco
differiscono in maniera significativa tra uomini e donne. Tali differenze riguardano i
processi di crescita cellulare, la fibrosi, la regolazione del flusso degli ioni calcio,
l'attività del sistema renina-angiotensina (SRA), il metabolismo energetico, e molti
altri. Queste differenze di genere sono riproducibili in modelli animali, nei quali si è
osservato come siano gli ormoni (ed in particolare gli estrogeni) a condizionare
principalmente i meccanismi di adattamento miocardico. Una migliore
comprensione dei diversi meccanismi fisiopatologici dell'IC in entrambi i sessi e
l'inclusione di più donne nei grandi trials clinici potrebbero essere di aiuto per
stabilire se esistano reali differenze di genere nell'IC e se tali differenze possano
influenzare in qualche modo la prognosi a breve e lungo termine.
Abstracts del Congresso
LA TERAPIA DELLO SCOMPENSO CARDIACO: PECULIARITA' DI GENERE
G. Sinagra, I. Puggia


Dipartimento Cardiovascolare, Ospedali Riuniti Trieste,
Scuola di Specializzazione in Malattie Cardiovascolari, Università di Trieste

Obiettivi: Nell'era della personalizzazione della terapia, un numero crescente di studi si
è occupato delle differenze di genere nel trattamento dello scompenso cardiaco
(SCC)1,2.
Metodi: Revisione critica della letteratura ed esperienza del nostro centro.
Risultati: Secondo le attuali linee guida sul trattamento dello SCC, uomini e donne
dovrebbero ricevere la stessa terapia3. Tali raccomandazioni sono basate su studi clinici
in cui meno del 30% delle popolazioni arruolate è rappresentato da donne. Alcuni di
questi lavori dispongono di sottoanalisi genere specifici. Una metanalisi di 30 trials sugli
Abstracts del Congresso
ACE inibitori ha escluso differenze significative sulla mortalità nei due sessi4. A simili
conclusioni sono giunti studi sul beneficio dei beta bloccanti, come una sottoanalisi del
trial COPERNICUS5. Lo studio RALES6 include 446 donne e ha dimostrato una
riduzione del rischio di morte simile a quello degli uomini. Un'eccezione è il trial I-
PRESERVE7 nel quale la maggior parte della popolazione è rappresentata da donne
(60,3% di 4128 pazienti) coerentemente con la maggior prevalenza di SCC con
frazione di eiezione "preservata". Questo trial ha dimostrato nelle donne il minor tasso di
ospedalizzazione e la minor mortalità cardiovascolare (11.76%vs15.97% degli uomini) e
non cardiovascolare (9.89%vs 12.40%). Nella pratica clinica è da considerare la minor
tollerabilità dei farmaci raccomandati nella terapia dello SCC (ad esempio per
ipotensione e astenia) e la maggior incidenza di effetti collaterali nelle donne8. Ciò
sostiene alcuni dati di letteratura secondo i quali il genere femminile verrebbe trattato in
modo meno aggressivo. Tale aspetto è evidente anche per la terapia non farmacologica
dello SCC, in particolare nella prevenzione della morte improvvisa su base aritmica.
Infatti, solo il 25-27%, a seconda degli studi, dei pazienti impiantati con ICD in
prevenzione primaria o secondaria erano donne9. Questo è principalmente influenzato
dal fatto che le donne sviluppano la malattia in età più avanzata rispetto agli uomini e
quindi con un maggior incidenza di comorbidità.10. Nel nostro centro il 17% dei pazienti
impiantati con ICD tra il 1/2000 e il 6/2012 (100 su 590) sono donne. Le analisi hanno
dimostrato una minore mortalità totale e per cause non cardiovascolari nelle donne
(14% vs 26%; 4%vs12%). Non si sono registrate differenze significative per quanto
riguarda interventi del device e complicanze periprocedurali. Infine, anche i trial sulla
resincronizzazione cardiaca arruolano meno donne, data la maggior frequenza di SCC a
frazione di eiezione preservata nel genere femminile. Secondo la sottoanalisi del
MADIT- CRT, la risposta alla terapia di resicronizzazione risulta migliore nelle donne in
termini di mortalità per scompenso cardiaco10.
Conclusioni: La terapia farmacologica e non dello scompenso cardiaco va strutturata
come se donne e uomini si giovassero dei benefici del trattamento in egual misura.
Quest'aspetto va meglio verificato dai Registri e richiede azioni di sorveglianza al fine di
garantire l'impiego dei trattamenti raccomandati anche alle donne.
Finanziamenti: nessuno.
Bibliografia:
1Heart,2006;92:14-18; 2JACC,2009;54:491-8; 3Eur Heart J,2012:33,1787-
1847; 4JAMA,1995;273:1450–6; 5NEng J Med,2001;344:1651-8; 6N Eng J Med,
1999;341:709-17;7 Circ Heart Fail, 2012; 5:571-578; 8 Am Heart J 1996;131:350–5; 9
Neth Heart J, 2011;19:35-40; 10 JACC, 2011; 57: 813-20.
Abstracts del Congresso
ANEURISMA AORTICO ADDOMINALE
rego, M. Menegolo, E. Molon, M. Antonello
Direttore Clinica di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare, Università degli
Studi di Padova

Obiettivi
: l'incidenza dell'aneurisma dell'aorta addominale è a parità di età, da 4 a
6 volte maggiore nell'uomo rispetto alla donna; questa differenza risulta essere
meno evidente qualora si considerino le sole donne in età post menopausale,
rafforzando l'ipotesi di un verosimile effetto protettivo da parte degli estrogeni nello
sviluppo della malattia aterosclerotica e quindi anche della sua manifestazione
aneurismatica a livello aortico addominale. Tra i meccanismi fisiopatologici coinvolti
Abstracts del Congresso
nella genesi degli aneurismi è stata dimostrata l'azione delle metallo proteasi, quali agenti distruttivi delle fibre di elastina e di collagene della tonaca media aortica, e lavori sperimentali su ratti, hanno evidenziato il ruolo degli estrogeni nell'inibizione dell'attività metallo-proteasica e della migrazione macrofagica nell'ambito della parete stessa. Ad ulteriore sostegno di queste evidenze, altri studi hanno documentato che in ratti maschi indotti alla formazione di aneurismi, la somministrazione di estrogeni ne rallenta il processo evolutivo e ne riduce la frammentazione delle fibre elastiche di parete. La letteratura inoltre sottolinea una differenza tra i sessi per quel che concerne il rischio di rottura degli aneurismi aortici, risultando quest'ultimo molto più elevato nella donna rispetto all'uomo; è probabile quindi che nelle donne vi sia un indice di crescita maggiore e che a parità di diametro gli aneurismi aortici siano più pericolosi rispetto ai soggetti di sesso maschile. Queste osservazioni hanno indotto le Società Internazionali di Chirurgia Vascolare a rivedere il valore dicut-off per il trattamento in elezione degli aneurismi nelle donne abbassandolo dai 5-5,5cm dell'uomo a4.5-5cm. A tal proposito risulta di grande interesse il ruolo degli screening selettivi nella popolazione, visto che ad oggi non esistono linee guida internazionali specifiche per singolo genere. La concomitanza nel sesso femminile di fattori di rischio cardiovascolari ed in particolare dell'ipertensione arteriosa e del fumo di sigaretta, nonché della familiarità per patologia aneurismatica, rende ancora più accentuata questa differenza di rischio tra i rispettivi generi. Un'altra importante differenza è rappresentata dalla mortalità post-operatoria che nella donna sembra risultare superiore. Alcuni autori vi attribuiscono quali fattori rilevanti, la differenza d'età, mediamente più elevata nella donna e la presenza di maggiori co-morbidità, specie di natura respiratoria. Lo sviluppo delle metodiche endovascolari, nel trattamento della patologia aneurismatica aortica ha ridotto la mortalità post-operatoria nei pazienti ad alto rischio, tuttavia, gli aneurismi dell'aorta addominale nei soggetti di sesso femminile sono tipicamente meno eleggibili al trattamento endovascolare rispetto a quelli di soggetti maschili e questo per ragioni Abstracts del Congresso
strettamente anatomiche e di tipo morfologico (es.: colletti molto corti e tortuosi e
arterie iliache e femorali con calibri ridotti e spesso molto angolate).
Risultati: nella casistica della Clinica di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare
dell'Università di Padova sono stati trattati, dal giugno 2008 al giugno 2013, 715
pazienti affetti da aneurisma dell'aorta addominale sottorenale (616 in elezione, 99
in fase di rottura). Tra i pazienti trattati in elezione 93 (15%) erano di sesso
femminile, mentre tra i pazienti trattati in urgenza la percentuale di donne era del
19% (19 casi). L'età media nelle donne è risultata mediamente superiore nei due
gruppi, (73aa versus 68aa nel gruppo in elezione, 78aa vs 75aa, nel gruppo in
urgenza). Il rischio di rottura nelle donne è risultato essere maggiore (16.5% vs
13.2%). Complessivamente 308 (43%) pazienti sono stati trattati con la metodica
endovascolare e di questi 18 (6%) erano donne. La mortalità post-operatoria nel
gruppo trattato in elezione è stata dello 0.9% (2.15% per la componente femminile
Abstracts del Congresso
e 0.76% per la componente maschile)mentre nel gruppo trattato in urgenza è stata
del 30% (36% per la componente femminile e 29% per la componente maschile).
Conclusioni: sulla base della nostra esperienza personale, il genere sembra
giocare un ruolo importante nel nella genesi e nell'evoluzione della patologia
aneurismatica aortica addominale, condizionandone spesso la scelta della
metodica operatoria e incidendo sulla mortalità postoperatoria. E' probabile che gli
estrogeni circolanti rivestano un ruolo protettivo nell'evoluzione della patologia e
che in futuro possano rappresentare una possibile fonte di prevenzione o di terapia.
Uno screening selettivo può avere la potenzialità di ridurre la percentuale di
trattamenti urgenti mentre lo sviluppo di devices specifici maggiormente adattabili
alle specifiche condizioni anatomiche tipiche del genere femminile, può
incrementare nel tempo il numero di donne, ad alto rischio chirurgico, eleggibili al
trattamento endovascolare.
Abstracts del Congresso
FARMACI E GENERE: GLI ASPETTI REGOLATORI

L. Pani
Agenzia Italiana del Farmaco, Roma

L'immissione in commercio di un medicinale passa necessariamente attraverso una
corretta valutazione della popolazione in studio, degli obiettivi, dei trattamenti
comparatori e degli effetti del medicinale sperimentato.
I ricercatori e medici iniziano a tener conto di ciò che gli anglosassoni chiamano
"gender bias", pregiudizio di genere. La medicina ha studiato malattie, condotto
ricerche, sperimentato farmaci facendo riferimento solo al mondo maschile.
Già molto tempo fa ci sono esempi di esclusione delle donne nella pratica medica. Nel
IV sec. a.C., per esempio, alle donne era interdetto per legge ogni accesso agli studi
medici e alla pratica terapeutica. Numerose donne, peraltro, morirono all'epoca di
Abstracts del Congresso
parto e di malattie agli organi riproduttivi, perché per pudore impedivano agli uomini di
aiutarle a partorire o di curarle.
Rispetto al passato, le attuali conoscenze scientifiche ci hanno permesso di identificare
tra uomini e donne differenze genetiche, anatomiche, fisiologiche, ormonali nonché
differenze di abitudini, stili di vita, sport, alimentazione, fattori sociali e culturali. Sono
proprio tali differenze che giustificano l'importanza di favorire lo sviluppo della
cosiddetta "medicina di genere". Del resto, recenti dati dimostrano che la donna, oltre a
vivere più lungo pur essendo in generale più soggette a malattie degli uomini,
consumano più farmaci degli uomini in età giovanile e fino ai 54 anni di età.
Secondo i dati di farmacovigilanza 2012 dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA),
molte reazioni avverse da farmaci nelle donne sono dovute a sovradosaggio o
politerapie causate dal fatto che il dosaggio dei farmaci è definito considerando uomini
di 70kg. La donna non è la variazione del "modello uomo" presentando una diversa
farmacocinetica e farmacodinamica ed è per tale motivo che la donna, per ragioni
biologiche, fisiologiche, enzimatiche e ormonali è considerata un soggetto ‘difficile' da
arruolare negli studi clinici.
Tuttavia, le pubblicazioni di studi clinici "Gender-oriented" sta aumentando
notevolmente nel corso degli ultimi anni come pure le attività e le linee guida specifiche
in questo settore. Si consideri, per esempio, l'intensa attività in tal senso della Food
and Drug Administration
(FDA) degli Stati Uniti (USA) e dell'Agenzia Europea dei
Medicinali (EMA).
L'AIFA è fortemente orientata alla promozione della medicina di genere. Ne sono un
esempio: l'introduzione dell'equità di genere tra i criteri presi in considerazione dalla
Commissione di Valutazione degli Accordi di Programma, le tematiche genere
specifiche nei bandi dei programmi della Ricerca Indipendente finanziati dall'AIFA, il
contributo al Libro Verde sulla salute della Donna, l'attività editoriale "Farmaci e
Gravidanza" per un corretto uso dei farmaci nell'area materno-infantile e l'istituzione di
un Working Group Gender-oriented.
Conclusioni: proprio in merito a quest'ultimo si sottolinea che le sue principali funzioni
sono: valutare i modelli sperimentali pre-clinici e clinici volti ad indagare le differenze di
genere, sensibilizzare e coinvolgere i Comitati Etici relativamente alla rappresentanza
della componente femminile negli studi clinici e nella previsione di protocolli di analisi e
valutazione di efficacia e sicurezza nella donna, definire le linee guida per la
sperimentazione farmacologica di genere, supportare la ricerca di genere per ottenere
studi sui farmaci in relazione alle diverse fasi del ciclo della vita femminile, con
particolare attenzione alla gravidanza.
Abstracts del Congresso
TRAPIANTI D'ORGANO: IMPATTO DEL GENERE
L. Furian1, E. Cozzi2
1 S.S.D. Trapianti Rene e Pancreas e 2 S.S.D. Immunologia dei Trapianti,
Dipartimento di Chirurgia Generale e Trapianti d'Organo Azienda Ospedaliera
Università di Padova

La medicina di genere trova nel settore trapiantologico un'area di interesse scientifico
crescente. Numerose sono infatti le ragioni che spingono i ricercatori a cercare di definire
l'influenza del genere sul buon esito di un trapianto. Tra queste va ricordato il diverso
assetto ormonale e recettoriale tra uomo e donna. Anche le malattie che portano ad
insufficienza d'organo terminale ed al trapianto variano tra generi e le richieste
metaboliche differiscono considerevolmente tra uomo e donna. Inoltre, il profilo
immunologico e le dimensioni degli organi sono differenti e richiedono accorgimenti
Abstracts del Congresso
particolari tra generi.
I dati a disposizione suggeriscono che l'effetto del genere può variare da organo ad
organo ma alcune osservazioni appaiono comunque sempre valide. Per esempio, le
differenze di genere sono associate a diverso accesso al trapianto. In quest'ambito, in uno
studio condotto in una coorte di più di 500.000 malati affetti da insufficienza renale è stato
dimostrato che, in Nord America, complessivamente le donne hanno minore accesso al
trapianto nonostante sia chiaro che il miglioramento della sopravvivenze a seguito del
trapianto sia paragonabile a quello dell'uomo. Nel trapianto di cuore, le donne che pur
rappresentano circa un quarto della popolazione in lista d'attesa, ricevono soltanto il 3%
degli organi destinati a soggetti ultrasessantacinquenni.
Anche per quanto attiene alla donazione da donatore vivente, vi sono delle differenze
sostanziali tra uomo e donna. Ad esempio, nel caso del trapianto di rene, una prassi
consolidata che avviene solitamente nell'ambito della stessa famiglia, la donna è più
frequentemente il soggetto donatore rispetto all'uomo. Questo fenomeno sembra essere
più manifesto in alcune aeree del pianeta dove non solo la donna è più frequentemente
donatore d'organo, ma il ricevente è in maniera evidente soprattutto di sesso maschile.
Per quanto attiene ai risultati, anche in questo caso il sesso gioca un ruolo. Nel caso del
rene, per esempio, il trapianto di organi provenienti da un donatore donna sembra avere
un esito peggiore indipendentemente dal sesso del ricevente. Analogamente, organi da
donatore uomo trapiantati in una donna sembrano avere un esito meno favorevole rispetto
ad un ricevente uomo.
Anche dal punto di vista del sistema immunitario ci sono delle differenze sostanziali tra i
due sessi. In particolare, va ricordato che, a seguito di una gravidanza, almeno il 20%
delle donne si immunizza nei confronti degli antigeni d'istocompatibilità del partner e
produce anticorpi anti-HLA. Questi porteranno ad un aumento del tempo di attesa media
dell'organo e ad una situazione immunologicamente più impegnativa allorquando il
soggetto sarà eventualmente esposto ad un successivo trapianto d'organo.
Conclusioni: presso il nostro Centro sono state recentemente condotti degli studi volti a
chiarire l'impatto del genere sulla sopravvivenza di reni trapiantati da donatore vivente. Nel
corso della presentazione verranno esaustivamente presentati i risultati di questi studi ed
altri dati della letteratura recente che illustrano il ruolo del genere nella disciplina del
trapianto.
Abstracts del Congresso
IMPLICAZIONI DI GENERE NEI TUMORI DEL COLON-RETTO
V. Zagonel

Oncologia Medica 1, Istituto Oncologico Veneto, IOV –IRCCS
Il tumore del colon-retto con più di 1000000 di nuovi casi e oltre 500000 decessi all'anno,
rappresenta la terza neoplasia più comune nei Paesi Occidentali in entrambi i sessi.
Attraverso la revisione della letteratura, si è andati a valutare le possibili differenze legate
al genere in questa neoplasia. Si possono identificare differenze epidemiologiche tra
uomini e donne: l'incidenza è più elevata negli uomini nei quali la diagnosi avviene ad
un'età mediana più precoce rispetto alle donne. Solo nell'età più avanzata incidenza e
mortalità sono simili tra i due sessi. Si è inoltre visto che la sopravvivenza dopo resezione
radicale della neoplasia intestinale è più lunga nelle donne che, tuttavia, si presentano più
frequentemente alla diagnosi in urgenza/emergenza. Per quanto riguarda la stadiazione
Abstracts del Congresso
patologica, nelle donne si osservano più frequentemente stadi limitati di malattia (stadio II
e III).
Per quanto riguarda il trattamento, la percentuale di pazienti sottoposti a trattamento
neoadiuvante o adiuvante diminuisce all'aumentare dell'età e, nella popolazione
ottuagenaria, le donne sono trattate in percentuale inferiore rispetto agli uomini nella
stessa fascia d'età e ricevono trattamenti meno intensivi.
Conclusioni: nonostante questo, considerando tutta la popolazione sottoposta a
resezione radicale, gli uomini presentano il 9% di rischio in più di morte rispetto alle donne
nella neoplasia del colon ed il 20% nella neoplasia del retto: questo sosterrebbe l'ipotesi
che differenze anatomiche possono influenzare il rischio di recidiva e quindi la
sopravvivenza ma anche che l'uso della terapia adiuvante consente di mitigare questa
differenza. Uno degli aspetti biologici che può differire nei due sessi è l'instabilità
microsatellitare: essa è presente nel 15% dei tumori sporadici, conferisce miglior prognosi
ed un diverso beneficio ad alcuni agenti chemioterapici (in particolare al 5-fluorouracile) e
si osserva più frequentemente nelle donne e nei tumori del colon destro, influenzandone
positivamente l'outcome.
Bibliografia:

Jemal A, Bray F, Center MM, Ferlay J, Ward E, Forman D. Global cancer statistics. CA
Cancer J Clin 2011;61:69–90.
Paulson EC, Wirtalla C, Armstrong K, et al. Gender influences treatment and survival in
colorectal cancer surgery. Dis Colon Rectum. 2009 Dec;52(12):1982-91
Cheung WY, Shi Q, O'Connell M, et al; ACCENT Collaborative Group. The Predictive and
Prognostic Value of Sex in Early-Stage Colon Cancer: A Pooled Analysis of 33,345
Patients from the ACCENT Database. Clin Colorectal Cancer. 2013 Jun 27.
Jess P, Hansen IO, Gamborg M, Jess T; Danish Colorectal Cancer Group. A nationwide
Danish cohort study challenging the categorisation into right-sided and left-sided colon
cancer. BMJ Open. 2013 May 28;3(5).
Angstadt AY, Berg A, Zhu J, et al. The effect of copy number variation in the phase II
detoxification genes UGT2B17 and UGT2B28 on colorectal cancer risk. Cancer. 2013 Jul
1;119(13):2477-85.
Purim O, Gordon N, Brenner B. Cancer of the colon and rectum: potential effects of
sex-age interactions on incidence and outcome. Med Sci Monit. 2013 Mar 20;19:203-9.
Des Guetz G, Lecaille C, Mariani P, et al. Prognostic impact of microsatellite instability in
colorectal cancer patients treated with adjuvant FOLFOX. Anticancer Res. 2010
Oct;30(10):4297-301.
Abstracts del Congresso
IL CARCINOMA DEL POLMONE NELLE DONNE
S. Novello
Dipartimento di Oncologia- Università di Torino AOU San Luigi Orbassano

Per molto tempo il carcinoma polmonare è stato considerato una patologia a retaggio
maschile, ma i dati epidemiologici evidenziano un drammatico incremento dell'incidenza di
questa patologia anche fra le donne e il gap fra i due sessi è andato riducendosi a partire
dagli anni '80, principalmente per il diffondersi dell'abitudine tabagica anche fra i soggetti
di sesso femminile registratosi negli ultimi 60 anni. Questo aumento numerico sta
continuando, pur con differenze geografiche, a livello mondiale tanto da ipotizzare una
sovrapposizione della casistica nel prossimo decennio. Differenze di genere per quanto
concerne il carcinoma polmonare sono state descritte in termini di suscettibilità ai
carcinogeni del tabacco e per quanto riguarda la storia naturale di malattia, sebbene la
maggiore vulnerabilità femminile nell'ammalarsi di questa patologia resti un dato
Abstracts del Congresso
controverso. L'adenocarcinoma è l'istotipo più rappresentato fra le donne, che si
ammalano anche in media ad un'età più giovane di quanto non avvenga per la controparte
maschile, avendo peraltro una prognosi migliore indipendentemente dallo stadio di
malattia e dal tipo di terapia. Sebbene il fumo di tabacco resti il principale responsabile
dello sviluppo del carcinoma polmonare anche nei soggetti femminili, il 20% circa delle
donne affette non ha mai fumato e questa percentuale è più elevata nelle donne che negli
uomini. Una delle ragioni a supporto delle differenze di genere può essere riportata al
differente assetto ormonale: gli estrogeni vengono coinvolti nella tumorigenesi attraverso
diversi meccanismi quali la stimolazione della proliferazione cellulare indotta dal legame
ligando-recettore estrogenico, dall'interazione fra il recettore estrogenico e il segnale di
attività dell'epidermal growth factor receptor (EGFR) e da altri ligandi, che fungono da
fattori di crescita (quale ad esempio quello insulinico). Il ruolo dei recettori ormonali nello
sviluppo del carcinoma polmonare necessita peraltro ulteriori delucidazioni, sebbene sulla
base di dati preclinici alcuni investigatori abbiano già disegnato studi di fase II che vanno a
valutare l'impiego del fulvestrant unitamente ad un inibitore tirosino kinasico di EGFR.
Anche una differente capacità di riparazione del DNA potrebbe sottendere alle differenze
di genere nel carcinoma polmonare e sarebbe responsabile allo stesso tempo della
diversa risposta ad alcuni farmaci citotossici unitamente ad un diverso profilo di
tollerabilità.
Conclusioni: l'interesse per le differenze di genere in oncologia toracica è aumentato
negli ultimi dieci anni, ma molto resta ancora da valutare e da chiarire. Sicuramente, una
maggiore comprensione dei meccanismi biomolecolari alla base dei diversi aspetti di
questa patologia potrebbero avere un importante risvolto in campo prognostico e
nell'impostazione terapeutica.
Abstracts del Congresso
DOLORE CRONICO NON ONCOLOGICO
A. Cuomo
S. C. Anestesia, Rianimazione e Terapia Antalgica- Istituto Nazionale Tumori
IRCCS "Fondazione Pascale" - Napoli

In algologia riconosciamo due grandi tipologie di dolore: il dolore acuto ed il dolore
cronico.
Il primo è considerato classicamente un sintomo che rappresenta una difesa per il
nostro organismo ed ha una durata breve e, comunque, limitata nel tempo.
Il secondo, invece, è una malattia vera e propria, sia perché può durare mesi o
anni, sia perché ha implicazioni neuro fisiopatologiche, psicoemotive, relazionali e
comportamentali che lo rendono un'entità complessa e, in quanto tale, diversa da
individuo ad individuo.
Abstracts del Congresso
Il dolore cronico richiede una terapia con oppiacei giornaliera, costante e protratta
nel tempo,spesso associata ad altri farmaci, in relazione alla genesi multifattoriale a
cui si è, in precedenza, fatto riferimento .
Esistono differenze di genere, nell'essere umano, nella percezione del dolore e
nella risposta al trattamento a lungo termine con oppiacei?
In realtà ancora non è possibile formulare una risposta certa ed univoca a questa
domanda: alcuni dati, tuttavia, sembrano emergere, sia dalla ricerca in vivo che in
quella clinica.
Le variabili in gioco sembrano essere varie; ad esempio, le differenze ormonali e,
per la donna, la possibile differenza di percezione del dolore nelle varie fasi del
ciclo riproduttivo: è appurato che esistono patologie dolorose che hanno una
incidenza chiaramente differente nei due sessi o che hanno una incidenza diversa,
nei due sessi, in relazione all'età.
Secondo alcuni studi sembrano esistere differenze tra maschi e femmine sia in
termini di nocicezione, sia in termini di efficacia e tollerabilità della terapia con
oppiacei, in relazione, più che a diversità propriamente genetiche, ad aspetti
farmacocinetici e farmacodinamici, ma anche, probabilmente, a fattori correlabili al
contesto e all'individuo.
Conclusioni: in conclusione, alcune domande rimangono aperte: se c'è una
differenza di genere nella diagnosi e terapia del dolore, quali meccanismi
contribuiscono ad una diversa nocicezione nei due sessi? Come possono essere
applicate tali differenze nella pratica clinica? Nei trial clinici, dovremmo ricercare
diversi outcomes nelle donne e negli uomini con dolore cronico?
Bibliografia:
- J. D. Greenspan et al: Studying sex and gender differences in pain and analgesia: a consensus report - Pain 132 (2007) S26-S45 - A. Dahan et al: Sex-specific responses to opiates: animal and human studies – Anesth Analg 2008; 107: 83-95 Channing J. P. et al: Sex-based differences in pain perception and treatment – Pain Med. 2009 March; 10 (2): 289-29. Abstracts del Congresso
L'ARTROSI E' UNA MALATTIA DI GENERE?
A. Migliore
Responsabile della UOS di Reumatologia-Dipartimento di Medicina,
Ospedale San Pietro Fatebenefratelli, Roma

L'artrosi rappresenta ad oggi la malattia reumatica di più frequente riscontro nella
popolazione generale. Il progressivo invecchiamento della popolazione, ma anche
le più sofisticate tecniche di indagine, hanno portato ad un crescente numero di
diagnosi di osteoartrosi. Oltre all'età, fattori che possono influenzare lo sviluppo di
condizioni di osteoartrosi sono l'obesità, i traumatismi ripetuti e l'usura articolare, la
predisposizione familiare, le malattie metaboliche. Le localizzazioni dell'artrosi sono
molteplici: i distretti più frequentemente interessati sono il ginocchio, la colonna
vertebrale, l'anca, le articolazioni di mani e polsi, piedi e caviglie. L'approccio del
Abstracts del Congresso
medico, e nello specifico del reumatologo, all'artrosi è recentemente molto
cambiato: l'artrosi è oggi una patologia più facilmente diagnosticabile e per la quale
sono stati ideati e sperimentati numerosi e nuovi presidi terapeutici, farmacologici,
fisioterapici ed infiltrativi. I costi relativi all'assistenza dei malati affetti da artrosi, i
costi sociali causati da assenze sui posti di lavoro di malati e familiari chiamati ad
assistere i propri congiunti hanno messo in evidenza come la prevenzione
dell'artrosi, oltre che possibile, è importante anche dal punto di vista economico e
sociale.
Conclusioni: prevenire e curare l'artrosi è quindi non solo possibile, ma
rappresenta anche un importante passo avanti per il miglioramento della qualità
della vita dei pazienti, specie di quelli che si avviano verso la terza età, e per la
riduzione dei costi sociali causati da questa malattia invalidante ed estremamente
diffusa.
Abstracts del Congresso
EPATOPATIE HBV E HCV CORRELATE: EFFETTO DEL GENERE SULLA
RISPOSTA ALLE TERAPIE
V. Bernabucci, L. Turco, E. Villa
U.C. Gastroenterologia, Università di Modena & Reggio Emilia
La progressione delle malattie epatiche croniche ha un decorso diverso nella donna rispetto
all'uomo; questo indipendentemente dalla eziologia (virale, colestatica, da accumulo, alcolica,
autoimmune). Il decorso è di solito più sfavorevole negli uomini rispetto alle donne; tale
vantaggio viene però perso con l'instaurarsi della menopausa.
Obiettivi: Valutare la presenza di una diversa percentuale di risposta alla terapia antivirale
gender-correlata; in particolare individuare, in soggetti con infezione HCV positiva, la
associazione tra percentuale di risposta virologica sostenuta, età, stato menopausale e grado
di fibrosi epatica.
Metodi:
Analisi di due studi prospettici:
Abstracts del Congresso
- Studio prospettico con arruolamento di 1000 pazienti afferiti alla UC di Gastroenterologia di
Modena (2002-2008) HCV positivi sottoposti a terapia SOC con PEG-IFN+RBV.
- Studio prospettico multicentrico con arruolamento di 40 pazienti donne post-menopausali HCV
positive genotipo 1 con precedente fallimento terapeutico sottoposte a terapia con PEG-
IFN+RBV+BOC
Risultati: La fibrosi progredisce circa due volte più velocemente negli uomini rispetto alle
donne in età fertile, tenendo in considerazione fattori come età, durata dell'infezione,
caratteristiche metaboliche. Anche la risposta virologica sostenuta è maggiore nella donna in
età fertile rispetto all'uomo. Lo stato menopausale influenza la percentuale di risposta alla
terapia antivirale riducendo l'SVR riportandola ai livelli ottenuti nei pazienti di sesso maschile.
La possibile spiegazione risiede nella marcata up-regolazione dei livelli epatici di TNF-alfa e di
IL-6 che si verifica dopo la menopausa. Questo è particolarmente marcato nei soggetti con
infezione HCV genotipo 1.
Risultati ancora molto preliminari evidenziano che l'aggiunta di Boceprevir sembra essere in
grado di migliorare in modo rilevante il tasso di risposta in questa popolazione difficult-to-treat.
Considerato il profilo di sicurezza, se i risultati preliminari saranno confermati potremo avere
una concreta opzione di miglioramento della SVR nelle donne menopausali HCV-G1.
Conclusioni: Le donne post-menopausali con epatopatia cronica HCV-positiva rappresentano
un gruppo di pazienti molto difficili da trattare, in cui la disponibilità dei nuovi farmaci antivirali
inibitori diretti della replicazione dell'HCV potrebbe costituire una nuova opportunità per ridurre il
rischio di evoluzione di malattia verso la fibrosi, cirrosi e quindi lo sviluppo di HCC.
L'individuazione di un'infezione cronica HCV positiva in pazienti pre- e peri-menopausali
suggerisce l'opportunità di un trattamento antivirale, utilizzando i farmaci più potenti disponibili
al momento.
Bibliografia:
- Villa E, Karampatou A, Cammà C et al (2011). Early menopause is associated with lack of
response to antiviral therapy in women with chronic hepatitis C. Gastroenterology. 140: 818-
829.
- Villa E, Vukotic R, Cammà C, Petta S, Di Leo A, et al (2012)(a). Reproductive Status is
Associated with the Severity of Fibrosis in Women with Hepatitis C. PLoS1. 7: e 44624. doi:
10.1371.
- Villa E, Cammà C, Di Leo A et al (2012)(b). Peginterferon-A_2B plus ribavirin is more effective
than peginterferon-A_2A plus ribavirin in menopausal women with chronic hepatitis C. Journal
of Viral Hepatitis. 19, 640-649.
- Vukotic R, Bernabucci V, Cerami C, Berselli A, Lei B, Bertolini E, Bianchini M, Villa E.
Boceprevir determines high rate of complete early virological response (c_evr) in menopausal
hcv genotype-1 (hcv-g1) women previous non responders to peginterferon+ribavirin. Abstract
EASL 2013.
Abstracts del Congresso
EPATOPATIE HBV ED HCV CORRELATE:
EFFETTO DEL GENERE SULLA RISPOSTA ALLE TERAPIE ANTIVIRALI

A. Alberti, S. Piovesan
Dipartimento di Medicina Molecolare e OUC di Medicina Generale,
Azienda-Università di Padova

La terapia delle epatiti croniche virali ha visto importanti progressi negli anni più recenti, con lo sviluppo di nuovi farmaci e nuove strategie d'impiego. Ciò ha permesso di migliorarne in modo significativo la efficacia clinica, e di identificare anche i fattori correlati alla risposta. Per la epatite cronica da HBV sono oggi disponibili due diverse strategie, una basata sull'uso di interferone alfa con un ciclo a termine di 6-12 mesi, mentre l'altra prevede l'uso di antivirali orali, con Abstracts del Congresso
soppressione a lungo termine della replicazione virale. I dati oggi disponibili
indicano che la probabilità di risposta all'interferone è dipendente dal genotipo
virale , dallo stadio di malattia epatica e dal genere, con risposte più favorevoli e
durature nella donna, mentre non esistono sostanziali differenze di efficacia
antivirale nei diversi sottogruppi con la terapia orale.
Per quanto concerne la epatite cronica da HCV, la attuale terapia è basata sull'uso
della combinazione di PEG-interferone e ribavirina, con aggiunta di un terzo
farmaco antivirale diretto (Telaprevir o Boceprevir) nei pazienti infettati dal genotipo
virale HCV-1. I dati disponibili indicano chiaramente che la risposta a questi regimi
contenenti interferone alfa è strettamente correlata al genotipo virale, allo stadio di
malattia ed anche al profilo genetico dell'ospite e al genere, con risposte più rapide
e favorevoli nella donna. Per l'epatite cronica da HCV sono oggi in fase di
sperimentazione di fase 2 e di fase 3 vari nuovi farmaci antivirali e regimi
terapeutici solo orali che non comprendono più l'interferone alfa . I risultati ad oggi
di queste nuove terapie sono estremamente incoraggianti, con tassi di eradicazione
virale completa e definitiva spesso superiori al 80-90%.
Conclusioni: con questi risultati, risulta ovviamente più difficile identificare variabili
correlate in modo statisticamente solido alla risposta o non risposta. Ciononostante,
vari dati indicano come anche con questi regimi "Interferon-free" la risposta a lungo
termine con definitiva eradicazione di HCV potrebbe essere favorita dal sesso
femminile, confermando un assetto immunologico più favorevole nella risposta
antivirale.
Abstracts del Congresso

VACCINAZIONE "NEUTRAL GENDER" PER HPV:
UN PROBLEMA DI RILEVANZA BIOLOGICA E DI SANITÀ PUBBLICA
G. Palù
Dipartimento di Medicina Molecolare, Università di Padova

Obiettivi: Il papillomavirus umano (HPV) è causa necessaria del cancro del collo
dell'utero. Lo sviluppo di efficaci vaccini anti-HPV ha portato al consolidamento in molti
paesi i programmi di vaccinazione per prevenire i tumori cervicali HPV-correlati. Negli
ultimi anni, studi epidemiologici e di biologia molecolare hanno dimostrato il ruolo
oncogeno di HPV nello sviluppo di altre neoplasie, come il carcinoma del pene, anale,
vulvare, vaginale e tumori oro-faringei. I maschi hanno un ruolo fondamentale
nell'infezione da HPV: sia come pazienti e come parte dei meccanismi di trasmissione.
Nonostante i dati epidemiologici mostrino che i maschi sono affetti dall'infezione da HPV
Abstracts del Congresso
con la stessa frequenza delle donne, non vi sono procedure di screening nè strategie di
prevenzione delle malattie HPV-correlate nella popolazione maschile.
Metodi: Revisione critica su studi clinici, sperimentali, e di farmacoeconomia relativi a
interventi di sanità pubblica per programmi di prevenzione dell'infezione da HPV in
entrambi i generi.
Risultati: Le conoscenze attuali sulla storia naturale dell'infezione da HPV e delle
malattie correlate nelle donne e negli uomini, la crescente esperienza della vaccinazione
HPV nelle donne, l'analisi di efficacia clinica vs efficacia economica della vaccinazione
HPV, sono sempre più a supporto della sostenibilità economica dei programmi di
vaccinazione sia negli uomini che nelle donne.
Conclusioni: Strategie di prevenzione dell'infezione da HPV e delle malattie correlate in
entrambi sia nella popolazione maschile che femminile sono supportate dall'evidenza
scientifica e rispondono al crescente bisogno di equità sociale in sanità tra i due generi.
Bibliografia: Crosignani P, De Stefani A, Fara GM, Isidori AM, Lenzi A, Liverani CA,
Lombardi A, Mennini FS, Palù G, Pecorelli S, Peracino AP, Signorelli C, Zuccotti GV.
Towards the eradication of HPV infection through universal specific vaccination. BMC
Public Health. 2013 Jul 11;13(1):642.
Abstracts del Congresso

THE INTERNATIONAL PERSPECTIVE OF GENDER MEDICINE
M. Glezerman
President of the International Society for Gender Medicine
Director Research Center for Gender Medicine, Rabin Medical Center Petah
Tikva and Tel Aviv University, Israel

The International Society of Gender Medicine (IGM) is an international umbrella
organization for professional societies and individuals. Currently, IGM counts among its
members societies and organizations in Austria, Germany, Israel, Italy, Sweden and the
USA with a total membership of approximately 450 professionals from various medical
disciplines. It is the aim of IGM to be instrumental in encouraging and supporting the
creation of professional organizations dedicated to the promotion of sex/gender
medicine. The specific purpose of the society is to establish and develop gender
Abstracts del Congresso
medicine in an international context by promoting gender –specific research in basic sciences, clinical medicine and public health. This requires the identification and and assistance in recruitment of appropriate funding for stipends and research grants. IGM aims to act as initiator, coordinator and facilitator in this endeavor. As a truly interdisciplinary organization which aims to by bringing together scientists and clinicians of diverse backgrounds, IGM invests major efforts to raise public awareness and to put emphasis to introduce teaching of Gender Medicine into official frameworks like medical schools and colleges and to prepare and allocate gender-specific learning materials and to provide gender trainings for instructors. The raising of public awareness can be achieved by active collaboration with and openness towards written and electronic media and by proposing lectures and workshops to non-medical organizations and societies. Moreover, contact is sought with opinion makers, regulators, NGOs and governmental agencies. Teaching activities are geared towards the establishment courses for medical and non-medical individuals, summerschools, local and international courses, web-learning and to the creation of satellite symposia at national and international congresses. IGM should become a major source for information open to everybody. The website of IGM (www.isogem.com ) is designed to develop into an international hub for facilitating interdisciplinary interaction and research on sex/gender differences in basic and clinical frameworks, for disseminating information on teaching and research activities and for recruitment of members into professional societies and IGM. Last not least, IGM should continue to maintain it leading role as organizer of international meetings and congresses which should attract professionals from all over the world and should be recognized as the major and most important platform for exchange of knowledge in the field of gender medicine. Abstracts del Congresso
GENERE E DEMENZA
A.C. Bruni
Centro Regionale di Neurogenetica, Lamezia Terme
Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro

L'allungamento della vita media cui stiamo assistendo nell'ultimo secolo, è particolarmente evidente nelle donne la cui aspettativa di vita è oggi di circa 85 anni. E' evidente come questo renda le stesse particolarmente predisposte a sviluppare patologie età correlate. Le demenze, patologie anch'esse età associate, ritrovano una epidemiologia particolarmente significativa nel genere femminile tant'è che essere donna è considerato "fattore di rischio" per lo sviluppo di demenza. E' probabile, e studi di letteratura lo sottolineano, che le differenze ormonali e Abstracts del Congresso
dunque genetiche tra i sessi contribuiscano a questo aumento di rischio più che
non l'aumento della sopravvivenza.
Se, dunque, le differenze di sesso sono importanti (anche se a tutt'oggi poco o
nulla chiarite nelle loro etiopatogenesi) nel determinare la maggiore numerosità di
donne affette da demenza, altrettanto importanti ( e quasi ignoti) possono essere le
differenze di genere rispetto a sintomatologie sia di esordio che di decorso di
malattia; differenze nella compromissione di aree cerebrali diverse a parità di tipo di
demenza, differenze di tipologie e impatto di malattie associate (comorbilità) e, più
in generale , risposte al trattamento farmacologico.
Anche l' impatto della malattia nel contesto familiare può essere diverso: la
disponibilità ad occuparsi dell'uomo ammalato da parte del coniuge è molto alta, in
specie nelle nostre regioni del sud; altrettanto non si può dire se si analizza il caso
contrario: il marito, in genere, gestisce molto meno facilmente la moglie con
demenza. Nelle strutture residenziali infatti i maschi son più gravemente affetti e
hanno demenza severa mentre le donne hanno una minore compromissione dello
stato di salute. Anche la lunghezza del ricovero è differente nei due sessi e la
donna è destinata ad avere ricoveri più lunghi.
Conclusioni: è fondamentale un nuovo approccio scientifico al genere che si
traduca in una ricerca biomedica sempre più capace di indagare la complessità
biologica della differenza di sesso, accanto alla necessaria attenzione alla
differenza con cui i due generi sono interpretati nell'organizzazione sanitaria e negli
aspetti sociali. Solo una analisi approfondita e continuativa consentirà, in un futuro
che speriamo prossimo, un disegno anzi un ridisegno dell'approccio al soggetto
malato tale da evitare diseguaglianze che possano innescare ulteriori
peggioramenti della sofferenza dell'individuo.
Abstracts del Congresso
LE NUOVE FRONTIERE NELLA DIAGNOSTICA
S. Galluzzi, G. Frisoni
Laboratorio di Epidemiologia, Neuroimaging e Telemedicina, IRCCS Istituto
San Giovanni di Dio-Fatebenefratelli, Brescia

La prevalenza del decadimento cognitivo aumenta esponenzialmente con l'età. Per
identificare i soggetti a maggiore rischio di sviluppare malattia di Alzheimer (AD) è
stata creata la categoria diagnostica del decadimento cognitivo lieve (MCI)
(Petersen et al. 1999). Tuttavia, studi longitudinali di lunga durata hanno dimostrato
che fino al 50% dei pazienti con MCI rappresenta il normale invecchiamento e non
sviluppa AD. Quindi, è cruciale distinguere i pazienti che progrediranno da quelli
che non progrediranno, anche perché i pazienti con MCI e AD prodromico sono i
candidati ideali per il trattamento con farmaci che modificano la storia naturale della
Abstracts del Congresso
malattia, attualmente in sviluppo. Recenti evidenze indicano che la AD può essere identificata allo stadio di MCI sulla base di una serie di marcatori biologici, quali atrofia ipometabolismo temporoparietale alla PET con fluorodesossiglucosio (FDG-PET), e
inversione del rapporto tau/Abeta nel liquor. Inoltre, questi biomarcatori diventano
anormali seguendo un preciso decorso temporale nel corso della AD, per cui i
biomarcatori di amiloidosi (Abeta nel liquor) diventano anomali precocemente nel
corso della malattia, seguiti dai biomarcatori di danno neuronale (ipometabolismo
alla FDG-PET e atrofia temporale mesiale alla MR) (Jack et al. 2010). Il modello
dinamico dei biomarcatori è stato incluso nella recente revisione dei criteri
diagnostici per AD, che indicano che la positività dei biomarcatori sia di amiloidosi,
sia di danno neuronale indica un elevato rischio, per un paziente con MCI, di avere
un sottostante processo fisiopatologico indicativo di AD e quindi di progredire a
demenza di Alzheimer.
Conclusioni: tuttavia, prima che l'uso dei biomarcatori divenga di uso routinario
nella pratica clinica quotidiana, è necessario lo sviluppo di procedure operative
standard per la misurazione standardizzata dei biomarcatori, attualmente in corso.
È perciò aperta la possibilità di identificare altri biomarcatori che permettano di
diagnosticare la AD in fase precoce, possibilmente di facile applicabilità clinica.
Recenti dati sulla relazione tra perdita di udito e sviluppo di decadimento cognitivo
e demenza incidente dimostrano che la perdita di udito possa rappresentare un
promettente biomarcatore (Lin 2011).
Abstracts del Congresso
DIFFERENZE DI GENERE NELLA PRESBIACUSIA E NEL
DETERIORAMENTO COGNITIVO
A. Martini, A. Castiglione, R. Bovo
ORL-Otochirurgia, Dipartimento di Neuroscienze, Università di Padova
Recenti indagini epidemiologiche hanno stimato che il 10% della popolazione mondiale è
affetto da problemi uditivi in grado di compromettere le capacità comunicative e di
relazione. Questa percentuale sale al 40% dopo i 65 anni di età. La demenza, dal canto
suo, ha una prevalenza dello 0,4% nella popolazione mondiale, percentuale che sale al
6,4% dopo i 65 anni. Ulteriori studi hanno dimostrato che il decadimento cognitivo può
essere responsabile di progressiva perdita uditiva, così come l'ipoacusia può
rappresentare un fattore di rischio per il peggioramento delle capacità cognitive,
soprattutto in età senile. È stato calcolato che l'ipoacusia severa è in grado di aumentare,
in maniera indipendente rispetto ad altri potenziali fattori, di ben 5 volte il rischio di
Abstracts del Congresso
sviluppare demenza (Lin et al. 2011 e 2012).
Anche il sesso può influire su questi aspetti involutivi, in particolare dopo i 50 anni, quando
vengono meno gli effetti protettivi ormonali, prevalentemente sul circolo e microcircolo
vascolare. Studi recenti dimostrano come le differenze uditive legate al sesso, siano in
realtà già presenti nei primi anni di vita: il sesso femminile risulterebbe più sensibile ai
1000 Hz e in generale alle frequenze del parlato, condizione che potrebbe spiegare in
parte le diverse doti linguistiche e di apprendimento. Con il passare degli anni queste
differenze si riducono, ma tra i 30 e i 50 anni prevalgono gli effetti protettivi ormonali, che
rendono l'ipoacusia idiopatica generalmente più frequente e grave tra i soggetti di sesso
maschile. Dopo i 40-50 anni, si assiste ad un livellamento di tali differenze.
Un'interpretazione diversa sta alla base delle differenze di genere che riguardano il
decadimento cognitivo e la demenza. Numerosi studi documentano differenze significative
riguardo incidenza, prognosi, severità e sintomi associati. Anche in questo caso gli ormoni
giocherebbero un ruolo determinante, ma con un effetto generalmente peggiorativo,
rispetto all'altro sesso; queste differenze, tuttavia, sono attualmente meno marcate e nuovi
studi riportano dati non significativamente diversi tra i due sessi. Questo "appianamento"
potrebbe essere spiegato da importanti modifiche socio-culturali avvenute nelle passate
generazioni, prime tra tutte il diffondersi dell'uso della nicotina tra le donne, che
notoriamente contrasta le malattie neurodegenerative, le migliorate condizioni socio-
economiche, il raggiungimento di più elevati standard socio-lavorativi e di più alti livelli di
istruzione, contrapponendosi allo sviluppo del decadimento cognitivo.
Particolare importanza riteniamo abbiano gli studi mirati all'identificazione e al trattamento
precoce di pazienti con lieve ritardo cognitivo o demenza attraverso la riabilitazione uditiva
(con protesi acustica e/o impianto cocleare); basti pensare che rallentare di un solo anno
l'evoluzione del quadro clinico, porterebbe ad una riduzione del 10% del tasso di
prevalenza della demenza nella popolazione generale, con notevole risparmio in termini di
risorse umane ed economiche. In tale ottica andrebbe ampliato il fine della riabilitazione
uditiva: non più rivolta al solo recupero funzionale, ma utile a ridurre, contrastare,
rallentare la progressione di disordini cognitivi di vario tipo e grado. In tale prospettiva
deve essere rivalutata e riconsiderata l'indicazione a procedure chirurgiche note per il
significativo impatto sui pazienti affetti da ipoacusia profonda bilaterale, come l'impianto
cocleare, sia esso monolaterale o bilaterale. Così come devono essere analizzati i dati
relativi alla prescrizione di protesi acustiche (monolaterale o bilaterale), utili alla
riabilitazione di forme meno gravi, ma comunque invalidanti, di ipoacusia.
Conclusioni: questi aspetti hanno ripercussioni significative sia sul piano clinico sia sul
piano industriale e imprenditoriale, favorendo lo sviluppo di nuove soluzioni da integrare ai
dispositivi già esistenti e di nuove strategie di mercato che tengano conto delle necessità
della popolazione in studio (Tan et al., 2007; Ryugo et al., 2005).
DEI POSTERS
1-54 Giovedì, 10 Ottobre - Venerdì, 11 Ottobre 2013 Sala Basilica
Il numero assegnato ai posters è riportato sul programma finale, ed dei Posters
è collocato nella parte superiore del pannello porta poster.
Ogni posters dovrà essere affisso al pannello contraddistinto con ilnumero corrispondente. Affissione e rimozione
L'affissione e la rimozione del poster sul pannello assegnato deve del Poster
essere fatta a cura dell'autore come segue:
Montaggio: Giovedì, 10 Ottobre dalle ore 13.00 alle ore 14.00
Smontaggio: Venerdì, 11 Ottobre dalle ore 18.30 alle 19.00.
I posters lasciati affissi ai pannelli dopo le ore 19.00 verranno
rimossi dalla segreteria organizzativa, la quale non è responsabile
per qualsiasi oggetto lasciato nell'area poster, inclusi i posters stessi.
L'esposizione del poster è prevista per il pomeriggio di Giovedì, 10 del Poster
Ottobre e per tutta la giornata di Venerdì, 11 Ottobre fino al terminedelle sessioni (ore 18.30).
Visione dei Posters
I posters potranno essere visionati dai partecipanti durante il e presenza degli Autori
pomeriggio di Giovedì, 10 Ottobre e durante la giornata di Venerdì,11 Ottobre, in particolare durante i coffee break e la pausa pranzo.
Uno degli autori dovrà essere presente al pannello poster in caso didomande da parte dei visitatori nei seguenti orari:• Venerdì, 11 Ottobre: coffee break del mattino (10.30-11.00)• Venerdì, 11 Ottobre: pausa pranzo (12.30-14.00)• Venerdì, 11 Ottobre: coffee break del pomeriggio (16.50-17.20).
Discussione dei
Il Comitato Scientifico selezionerà i migliori poster che saranno
Best Posters
presentati con gli autori in Aula Magna, Venerdì, 11 Ottobre 2013
dalle ore 14.00 alle ore 14.30
.
- Il personale della Segreteria Scientifico Organizzativa sarà presente in area posters per qualsiasi informazione o aiuto. - Proiettori per diapositive non saranno disponibili nell'area posters.
- Fotocopie del poster ed eventuale altro materiale è a carico dell'autore e potrà essere distribuito dall'autore stesso. Programma Scientifico dei Posters
CONTROLLO DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE NELLA POPOLAZIONE FEMMINILE: RISULTATI DI UNA INDAGINE EPIDEMIOLOGICA CONDOTTA NELLA PROVINCIA DI MANTOVA F. Buffoli, R. Ferrari , G. Gianella, F. Agostini, F. Fornasa,
M.C. Brunazzi, R. Zanini INFIAMMAZIONE CRONICA DI BASSO GRADO IN GIOVANI ATLETE: RUOLO DELLA CONTRACCEZIONE ORMONALE S. Cauci, V. Vrech, L. Ferino, V. Maione, P. Nacci, S. Mazzolini,
G. Barbina, G. Stel, M.P. Francescato RISPOSTA INFIAMMATORIA LOCALE E PARTO PRETERMINE: RUOLO DELLA INTERLEUCHINA-1 S. Cauci, V. Maione, V. Vrech, J. F. Culhane
STUDIO PRELIMINARE DEL PROFILO ORMONALE IN SOGGETTI GIOVANI MASCHI CON EFFETTI COLLATERALI A LUNGO TERMINE DOPO USO DI FINASTERIDE CONTRO L'ALOPECIA S. Cauci, F. La Marra, V. Maione, G. Mazzon, G. Chiriacò, V.
Vrech, L. Ferino, S. Mazzolini, G. Barbina, C. Trombetta DIFFERENZE DI GENERE NELLO STUDIO MOMA: PREVALENZA DI SINDROME METABOLICA (SM) E STILI DI VITA P. Vinci, E. Chendi, M. Ius, L. Cerrone, F. Mion, P. Comina,
M. Zanetti, R. Barazzoni, G. Guarnieri, R. Situlin EFFETTO DEL DIABETE SULL'INSORGENZA DEI TUMORI: STUDIO DI COORTE CON APPROCCIO DI GENERE NELLA PROVINCIA DI P. Ballotari, M. Vicentini, C. Caroli, S. Chiatamone Ranieri,
P. Giorgi Rossi, V. Manicardi COPD E CONTROLLO MATABOLICO IN PAZIENTI NON DIABETICI OSPEDALIZZATI: DIFFERENZE DI GENERE T. Ciarambino, A. Mazzone, C. Politi
TERAPIA ANTITROMBOTICA E FIBRILLAZIONE ATRIALE: LE DIFFERENZE DI GENERE NELLO STUDIO ATA-AF C. Politi, T. Ciarambino, L. Riva, S. Frasson, D. Lucci, G. Fabbri,
L. Gonzini, G. Di Pasquale, G. Vescovo, A. Mazzone, a nome dei Ricercatori ATA-AF OSTEOPOROSI POST MENOPAUSALE E ALLERGIA: DUE MALATTIE SOLO APPARENTEMENTE SENZA PUNTI F. Ciccarelli, M. De Martinis, G. Sansonetti, L. Ginaldi
DIFFERENZE DI GENERE NELL'ADESIONE ALLO SCREENING PER IL CARCINOMA COLORETTALE NEL TERRITORIO SENESE S. Civitelli, C. Livide, C. Tassi, E. Fabbiani, P. Galgani
IL CANCRO COLORETTALE: UNO SGUARDO DI GENERE S. Civitelli, R. Rossi, A. Balsamo, D. Francione
Programma Scientifico dei Posters
ASSOCIAZIONE LEGATA AL SESSO TRA IL POLIMORFISMO FOKI DEL GENE CODIFICANTE PER IL RECETTORE DELLA VITAMINA D (VDR) E LE PATOLOGIE DELLA COLONNA VERTEBRALE A. Colombini, G. Banfi, M. Brayda-Bruno, G. Lombardi, S. Croiset,
V. Vrech, V. Maione, S. Cauci INFLUENZA LEGATA AL GENERE DI FATTORI DI RISCHIO COMPORTAMENTALI ED AMBIENTALI NELLO SVILUPPO DI PATOLOGIE DELLA COLONNA VERTEBRALE A. Colombini, G. Banfi, M. Brayda-Bruno, L. Ferino, S. Cauci
INFLUENZA DEL GENERE SULL'INCIDENZA DI EFFETTI COLLATERALI IN PAZIENTI AFFETTI DA PSORIASI A PLACCHE TRATTATI CON CICLOSPORINA. RISULTATI PRELIMINARI DELLO STUDIO OSSERVAZIONALE ITALIANO GENDER ATTENTION D. Colombo, G. Banfi, N. Cassano, A. Graziottin, G. Vena,
G. Bellia per conto del GENDER ATTENTION Study Group FATTORI GENETICI E NON GENETICI CHE INFLUENZANO L'INSORGENZA E IL DECORSO DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER R.M. Corbo, G. Gambina, E. Broggio, R. Scacchi
DIFFERENZE DI GENERE NELLA PREVALENZA DEL DIABETE MELLITO NOTO E NEODIAGNOSTICATO NEGLI ANZIANI RICOVERATI IN M.L. Corradin, A. Franchin, F. Rossi, A. Dalla Costa, E. Manzato
IL DIABETE MELLITO GESTAZIONALE ED I LIVELLI PLASMATICI DELLA PROTEINA SOLUBILE HLA-G: UNA CORRELAZIONE G. Garbin, A. Zucchella, C. Badulli, M. Simonetta, E. Locatelli, F. Beneventi, A. Spinillo, M. Martinetti, M. Cuccia
LA SCLEROSI MULTIPLA: GENERE E VARIABILI AMBIENTALI IN RELAZIONE A POLIMORFISMI DI GENI DELLA NEUROINFIAMMAZIONE G. Facchinetti, C. Boiocchi, D. Mandia, C. Montomoli, C. Monti, O. Ferraro, R. Bergamaschi, M. Cuccia
SINDROME CORONARICA ACUTA (SCA): STUDIO SULLE DIFFERENZE DI GENERE J. Daragjati, U. Gallo, R.M. Gaion, A.M. Grion
DIFFERENZE DI GENERE NELLE SOGLIE ALGOGENE PRESSORIE DEI MUSCOLI CRANIO-FACCIALI NELL'ANZIANO IN BUONO M. De Rui, C. Vangelista, M.L. Bartolucci, E.M. Inelmen,
F. Bortolotti, I. Marini, M.R.A. Gatto, N. Veronese, F. Bolzetta, S. Carraro, L. Berton, E. Manzato, G. Sergi DIFFERENZE DI SESSO NELLA RISPOSTA FARMACOLOGICA AL DOLORE NEUROPATICO: L'ACIDO ALFA LIPOICO E' MENO EFFICACE NELLE FEMMINE DI RATTO L. Di Cesare Mannelli, L. Micheli, M. Zanardelli, C. Ghelardini
Programma Scientifico dei Posters
IL GENERE COME FATTORE PROGNOSTICO IN REUMATOLOGIA: RISPOSTA CLINICA AI FARMACI ANTI-TNF M. Di Franco, C. Iannuccelli, A. Gattamelata, A.C. Di Lollo,
F.R. Spinelli, A. Vestri, G. Valesini ANALISI DELLE DIFFERENZE DI GENERE ED OUTCOME IN PAZIENTI CON MALATTIA CORONARICA INSERITI IN UN PROGRAMMA DI CARDIOLOGIA RIABILITATIVA AMBULATORIALE S. Doimo, P. Maras, K. Salame, A. Della Mattia, G. Sinagra
ELETTROFISIOLOGIA CARDIOLOGICA E MEDICINA DI GENERE: PERCEZIONE E PRATICA CLINICA NELL' UTILIZZO DEI DEFIBRILLATORI PER LA TERAPIA DI RISINCRONIZZAZIONE CARDIACA (CRT-D) A. Gelera, A. Addesso, G. Cussotto
ICTUS E STRESS OSSIDATIVO IN UOMINI E DONNE L. Nanetti, F. Raffaelli, A. Giulietti, A. Alidori, C. Perozzi,
M. Silvestrini, L. Provinciali, A. Vignini, L. Mazzanti IMPATTO DEL GENERE SULLA FUNZIONALITÀ PIASTRINICA IN PAZIENTI AFFETTI DALLA MALATTIA DI ALZHEIMER A. Giulietti, L. Nanetti, F. Raffaelli, F. Borroni, L. Provinciali,
A. Vignini, L. Mazzanti IL GENDER NELLA CHIRURGIA DI PARETE D.P. Greco, F. Sanfilippo, C. Ferrari, P. Pradella, C. Magistro,
C. L. Bertoglio, P. De Martini RADIOTERAPIA E GENERE: QUALITA' DI VITA NEL TUMORE DEL E. Groff, A. Tisato, M. Pignataro, F. Pellegrino, M. L. Friso, G. Sotti
TIROIDITE AUTOIMMUNE IN IRIDOLOGIA E LE DIFFERENZE DI GENERE (costituzione, disposizione e diatesi, orlo pupillare interno D. Lo Rito
TIROIDITE AUTOIMMUNE IN IRIDOLOGIA E LE DIFFERENZE DI GENERE (limbus, area ciliare e sclerale, logit 1 e 2, influenza della linea familiare) D. Lo Rito
DIFFERENZE DI GENERE NELLA CARDIOMIOPATIA DILATATIVA C. Lutman, L. Vitali Serdoz, G. Barbati, E. Cadamuro, S. Magnani,
M. Zecchin, M. Merlo, G. Sinagra DONNE PORTATRICI DI DEFIBRILLATORE: ESISTE UNA DIFFERENZA DELL'OUTCOME? C. Lutman, S. Magnani, L. Vitali, M. Zecchin, G. Sinagra
SIGNIFICATO CLINICO E PROGNOSTICO DEL POLIMORFISMO DEL RECETTORE BETA-1 ADRENERGICO IN DONNE AFFETTE DA INSUFFICIENZA CARDIACA A. Manerba, M. Triggiani, G. Milesi, E. Rocco, L. Lupi, C. Villa,
S. Suardi, A. Pizzuto, A. M. Hondjeu, N. Dasseni, S. Nodari Programma Scientifico dei Posters
STRESS OSSIDATIVO E OBESITÀ: UN LINK MATERNO-FETALE A. Vignini, G. Ferretti, A.M. Cester, T. Bacchetti, F. Raffaelli, L. Mazzanti, A.L. Tranquilli
VALUTAZIONE DEL METABOLISMO DELL'OSSIDO NITRICO IN DONNE AFFETTE DA DIABETE GESTAZIONALE, DIABETE MELLITO TIPO 1 E DIABETE MELLITO TIPO2 L. Mazzanti, A. Vignini, G. Ferretti, F. D'Angelo, R.A. Rabini
DIFFERENZE DI GENERE NELL'INCIDENZA DEL MESOTELIOMA E. Merler, V. Bressan, P. Girardi e il Gruppo Regionale sul
Mesotelioma Maligno ESISTONO DIFFERENZE TRA I DUE SESSI NELLA PREVALENZA DEI SINTOMI INTESTINALI O NELLE DIAGNOSI ENDOSCOPICHE? A. Miranda, A. Federico, A.G. Gravina, M. Dallio, L. Romano,
C. De Sio, G. De Simini, R. Meucci, A. Colucci, F. Capuano, M. G. Rossetti, M. Romano, C. Loguercio PUO' IL GENERE INFLUENZARE I SINTOMI E LA DIAGNOSI ENDOSCOPICA DEL TRATTO GASTROINTESTINALE SUPERIORE? A. Miranda, A. Federico, A.G. Gravina, M. Dallio, L. Romano,
C. De Sio, G. De Simini, R. Meucci, A. Colucci, F. Capuano, M.G. Rossetti, M. Romano, C. Loguercio LE DIFFERENZE DI GENERE NELL'IMMERSIONE SUBACQUEA M.E. Mometto, P. Michieli, A. Marroni, M. Schiavon
DIFFERENZE DI GENERE NELLA PROGRESSIONE DELL'EPATITE C S. Piovesan, S. Gaiani, M. Marcolongo, D. Campagnolo,
UN CASO DI ANORESSIA MASCHILE CON GRAVE COMPROMISSIONE SOMATICA: CONFRONTO TRA I DATI IN ACUZIE E AL FOLLOW UP D. Romano, C. Tarabbia, M. Gualandi, E. Manzato, E. Roncarati,
F. Francato, A. Bolognesi, G. Strizzolo, P. Schlagenauf MARKERS DI INFIAMMAZIONE SISTEMICA E SOTTOPOPOLAZIONI HDL IN DONNE CON E SENZA DIABETE MELLITO DI TIPO 2 E.L. Romeo, A. Giandalia, P. Villari, A. Alibrandi, K.V. Horvath,
B. Asztalos, D. Cucinotta, G.T. Russo ANTICORPI ONCONEURALI PCA-1: UTILI BIOMARKERS NEL FOLLOW UP ONCOLOGICO NEL A. Vitagliano, C. Di Bella, I. Cuomo, S. Di Landri, M.M. Barbella, C. De Gregorio, P. Sabatini
OSA E NOSA IN PAZIENTI HCV-RNA POSITIVI IN TRATTAMENTO DI COMBINAZIONE: UNA VALUTAZIONE DI GENERE P. Sabatini, M.M. Barbella, C. De Gregorio, N. D'Amato,
A.Sorrentino, S. Di Landri, I. Cuomo, A. Vitagliano Programma Scientifico dei Posters
MEDICINA DI GENERE: LA SFIDA DI UNA CONOSCENZA PERTINENTE F. Signani
FRATTURE DA OSTEOPOROSI E GENERE MASCHILE FRA I RICOVERATI IN MEDICINA INTERNA: RISULTATI DELLO STUDIO I. Stefani, C. Vitali, A. Valerio, F. Pieralli, A. D'Angelo, C. Cagnoni,
E. Sgnaolin, M. Campanini, A. Mazzone, a nome dei Ricercatori ANALISI DELLE PRESCRIZIONI E LIMITAZIONI DEFINITIVE NEL PERSONALE DELL'AREA DEL COMPARTO DELL' AZIENDA OSPEDALIERA DI PADOVA: ESISTONO DIFFERENZE DI GENERE? A. Di Falco, L. Stivanello, T. Zacheo, L. Brugnaro
ANALISI DELLE RICHIESTE DI MOBILITA' INTERNE NEL PERSONALE DELL'AREA DEL COMPARTO DELL' AZIENDA OSPEDALIERA DI PADOVA: ESISTONO DIFFERENZE DI GENERE? A. Di Falco, L. Stivanello, T. Zacheo, L. Brugnaro
CONSEGUENZE DELLA VIOLENZA DI GENERE SULLA SALUTE P. Schinco, G. Tanturri
RUOLO DELLA NUTRIGENOMICA NELLA CHEMIO-PREVENZIONE E NEL TRATTAMENTO DEL CARCINOMA DEL COLON-RETTO C. Tarabbia, V. Zulian, D. Romano
MODULAZIONE ESTROGENICA DELL'ETEROGENEITÀ DEI MONOCITI E DELLA POLARIZZAZIONE MACROFAGICA A. Toniolo, S. Tedesco, G.P. Fadini, E. Vegeto, A. Cignarella,
MEDICINA DI GENERE E SOCIETA' MULTIETNICA: ASPETTI SOCIO-CULTURALI, PERCORSI MULTIDISCIPLINARI A. Torrisi, S. Visentin, E. Trimarchi, E. Cosmi, G.B. Nardelli
LE MALATTIE DI GENERE: VARIAZIONI DEL NUMERO DELLE PIASTRINE NELLA NORMALITA' E NELLE MALATTIE SPECIFICHE M.L. Randi, I. Bertozzi, A.M. Lombardi, E. Duner, C. Sandonà, M. Treleani, F. Fabris
DIAGNOSI E COMPLICANZE DELLA MALATTIA DI CUSHING: DIFFERENZE LEGATE AL GENERE M. Zilio, V. Camozzi, N. Albiger, M. Barbot, F. Ceccato,
V. Daidone, P. De Lazzari, A.C. Frigo, L. Mazzai, F. Mantero, C. Betterle, C. Scaroni
CONTROLLO DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE NELLA POPOLAZIONE
FEMMINILE: RISULTATI DI UNA INDAGINE EPIDEMIOLOGICA CONDOTTA
NELLA PROVINCIA DI MANTOVA
F. Buffoli, R. Ferrari, G. Gianella*, F. Agostini, F. Fornasa*,
M.C. Brunazzi, R. Zanini
Dipartimento cardiototacovascolare- Ospedale C. Poma - Mantova
*Dipartimento di Medicina Preventiva ASL - Mantova

Obiettivi: Verificare, nella fascia di popolazione femminile 40-60 anni, l'attenzione alla
propria salute e il livello di controllo dei fattori di rischio cardiovascolare.
Metodi: Nel periodo 4-27 maggio 2011 abbiamo condotto una indagine epidemiologica
attraverso la distribuzione nel 98.5% delle farmacie di Mantova e Provincia (131/133) di
un questionario destinato alla popolazione femminile di età compresa tra i 40 e i 60 anni,
comprendente 29 domande di cui 6 socio demografiche, 8 anamnestiche, 8 sulle
abitudini preventive e 6 sugli stili di vita, inviato via web al dipartimento di medicina
preventiva per analisi.
Risultati: Nel periodo considerato sono stati compilati 2623 questionari,corrispondenti
al 94.2% di un campione di 2783 donne (rappresentativo del 4.6 % della popolazione
femminile mantovana totale in quella fascia di età, costituita da 61039 donne). Il 47% del
campione, la cui età media è di 50.5 anni, è in menopausa. Le donne si considerano per
il 14% molto e per il 67% abbastanza attente al proprio stato di salute, a prescindere da
età, scolarità, presenza di sovrappeso.
Per quanto riguarda i principali fattori di rischio cardiovascolare,il 46% delle donne ed il
48% controlla almeno 1 volta/anno rispettivamente la glicemia e la colesterolemia,il 39%
e il 40% li verifica saltuariamente,mentre il 15% e 12% non esegue mai alcun controllo.
La misura della pressione arteriosa viene effettuata più intensivamente(ogni settimana o
almeno ogni mese dal 31% e sporadicamente dal 60%,da parte di un gruppo iperteso
nel 23.7%. Tuttavia il 9% non attua mai questo controllo. Il 44% verifica saltuariamente il
proprio peso,la rimanente quota lo misura regolarmente da ogni giorno a ogni mese.
Solo il 49% aveva precedentemente misurato la propria circonferenza vita. E' elevata la
% delle che fumano (16 %) e che hanno fumato (22%). Per quanto riguarda le abitudini
alimentari solo il 57% riferisce un consumo giornaliero di frutta e il 64% quello di
verdura. Un consumo di carne 2-3 volte/settimana,riguarda il 49% delle donne, e
raggiunge le 4-5 volte/settimana nel 17%, a prescindere da età e livello culturale. Il 50%
del campione intervistato non assume alcoolici a pasto e ulteriore 34% solo
saltuariamente. Il 93% delle donne intervistate non svolge alcuno sport, il 78% non
pratica alcuna attività fisica in palestra e il 42% riferisce di non praticare attività fisica di
camminata.
Conclusioni: Questi risultati indicano che nel campione ci donne considerato, la verifica
di alcuni fattori di rischio,quali la pressione arteriosa, la colesterolemia e la glicemia è
recepita, analogamente a quanto riferito in altri studi, mentre altre importanti misure
preventive ,quali una corretta alimentazione e l'attività fisica sono estremamente carenti,
del tutto indipendentemente da età e scolarità.
INFIAMMAZIONE CRONICA DI BASSO GRADO IN GIOVANI ATLETE:
RUOLO DELLA CONTRACCEZIONE ORMONALE

S. Cauci1, V. Vrech1, L. Ferino1, V. Maione1, P. Nacci1, S. Mazzolini2,
G. Ba

rbina2, G. Stel1,2, M.P. Francescato1
1Dipartimento di Scienze Mediche e Biologiche, Università di Udine; 2Laboratorio Analisi d'Elezione, Azienda Ospedaliero Universitaria, Santa Maria della Misericordia, Udine, Italy
Obiettivi:
L'attivazione cronica del sistema immunitario anche se di basso grado può
svolgere un ruolo cruciale nella fisiopatologia di diverse patologie tra cui le malattie
cardiovascolari (CVD) ed il diabete mellito. L'esercizio fisico ha dimostrato di indurre effetti
anti-infiammatori. Tuttavia, l'uso di contraccettivi orali (OCs) da parte di atlete in età fertile
può potenzialmente aumentare l'infiammazione cronica di basso grado [1]. L'aumento
dello stato infiammatorio basale potrebbe vanificare gli effetti protettivi dell'esercizio fisico
e potrebbe essere dannoso per le prestazioni atletiche (soprattutto se ripetute a breve
distanza di tempo), che tipicamente possono comportare lesioni infiammatorie di tipo
muscolare. Ci sono scarse informazioni sull'effetto della contraccezione ormonale ed in
particolare dei OCs utilizzati dalle giovani atlete. Il nostro obiettivo era di valutare l'impatto
delle OCs usate da atlete italiane in età fertile su livelli di proteina C-reattiva (hsCRP),
trigliceridi e colesterolo.
Metodi: Sono state esaminate complessivamente 194 atlete ricreazionali italiane sane, di
cui 52 utilizzatrici di OCs e 142 non utilizzatrici di contraccezione ormonale, di età media,
23±5 anni; indice di massa corporea (BMI) 21±2 kg/m2. I prelievi di sangue venoso sono
stati eseguiti al mattino a digiuno.
Risultati:
Non state riscontrate differenze fra atlete utilizzatrici di OCs e non utilizzatrici nei
livelli di colesterolo totale, colesterolo HDL ed LDL e glucosio. Invece sono risultati
statisticamente elevati i livelli di trigliceridi (p<0.05) e di hsCRP (p<0.01). In particolare i
livelli di hsCRP a rischio cardiovascolare ossia > 3 mg/L sono risultati essere 6 volte
(p<0.01) più frequenti nelle utilizzatrici di OCs.
Conclusioni:
Il nostro studio ha messo in evidenza come molte atlete sane e normopeso
presentino livelli elevati di hsCRP considerati ad elevato rischio CVD già in giovane età a
soli 23 anni. Questa infiammazione di basso grado è asintomatica e non viene
riconosciuta né indagata nonostante possa comportare il rischio di trombovenosi profonda,
eventi cardiovascolari gravi, condizioni infiammatorie, emicrania, nonché essere
detrimente per l'attività sportiva.
Bibliografia: 1] S. Cauci, M. Di Santolo, J. F. Culhane, G. Stel, F. Gonano, S. Guaschino.
Effects of third-generation oral contraceptives on high-sensitivity C-reactive protein and
homocysteine in young women. Obstet Gynecol 111; 857-864, 2008.
RISPOSTA INFIAMMATORIA LOCALE E PARTO PRETERMINE: RUOLO
DELLA INTERLEUCHINA-1

S. Cauci1, V. Maione1, V. Vrech1, J. F. Culhane2
1Dipartimento di Scienze Mediche e Biologiche, Università di Udine, Italy;
2Children's Hospital of Philadelphia, Philadelphia, Pennsylvania, 19102, USA
Obiettivi: La nascita pretermine (PTB, prima delle 37 settimane di gestazione) rimane la
principale causa di mortalità e morbilità perinatale. In Italia la frequenza di PTB è del 5,5-
6%, ovvero, più di 30.000 nascite all'anno sono pretermine. A livello mondiale circa il 10%
delle nascite è pretermine, circa 15 milioni di bambini. Il problema principale è l'incapacità
di individuare le donne a rischio di questa complicanza all'inizio della gestazione. Pertanto,
lo sviluppo di una valutazione obiettiva delle donne a rischio elevato di PTB è attualmente
uno dei principali obiettivi in ostetricia. La difficoltà è dovuta al fatto che l'eziologia del PTB
ha aspetti multifattoriali. Diverse evidenze suggeriscono che la risposta immunitaria
soprattutto innata sia una componente fondamentale. L'infiammazione/infezione nel tratto
genitale superiore è considerata la causa principale di PTB. La vaginosi batterica (BV) è
una malattia del tratto vaginale frequente nelle donne in età fertile ed in gravidanza che è
associata a un aumentato rischio di esiti avversi della nascita. Il presente studio è stato
sostenuto da CDC, Atlanta, USA, con l'obiettivo di individuare biomarcatori specifici per
valutare il rischio di parto pretermine, con particolare attenzione per i sottogruppi di donne
con BV.
Metodi: Abbiamo valutato se l'IL-1 beta vaginale all'inizio della gravidanza (12 settimane)
predice esiti avversi alla nascita tra le donne BV-positive. Sono state arruolate 1.806
donne a <20 settimane di gestazione. 707 donne BV-positive (Nugent 7-10) sono state
incluse nello studio.
Risultati: Le concentrazioni di IL-1beta vaginale sono state misurate in 105 donne hanno
avuto un esito negativo pretermine, di cui 66 nascite pretermine (20-<37 settimane, di cui
52 erano PTB spontanei) e 14 aborti tardivi (12-<20 settimane), e in 295 controlli BV (a
termine). Concentrazioni di IL-1beta elevate (> 66° percentile) o basse (<33° percentile)
sono state confrontate con il 2° tertile (dal 33° al 66° percentile).
Nessuno dei tertili di IL-1beta è stato associato ad un aumento del rischio di evento
pretermine, né di nascita pretermine nè di aborto spontaneo.
Conclusioni: IL-1 beta non è un marker di rischio di parto pretermine nelle donne BV-
positive nei primi mesi di gestazione. Vi è una chiara necessità di ulteriori studi per la
selezione di donne con flora vaginale anormale per guidare il trattamento in donne in
gravidanza. Serviranno nuove ricerche per biomarcatori non invasivi ed efficaci per ridurre
(o almeno ritardare) il parto spontaneo pretermine.
Bibliografia: 1) S. Cauci, J.F. Culhane, M. Di Santolo, K. McCollum. Among pregnant
women with bacterial vaginosis, the hydrolytic enzymes, sialidase and prolidase are
positively associated with Interleukin-1beta. AJOG 2008;198,132.e1-7.
2) S. Cauci, JF Culhane. High sialidase levels increase preterm birth risk among women
who are bacterial vaginosis-positive in early gestation. AJOG 2011;204(2):142.e1-9.
STUDIO PRELIMINARE DEL PROFILO ORMONALE IN SOGGETTI
GIOVANI MASCHI CON EFFETTI COLLATERALI A LUNGO TERMINE
DOPO USO DI FINASTERIDE CONTRO L'ALOPECIA ANDROGENETICA

S. Cauci1, F. La Marra1, V. Maione1, G. Mazzon2, G. Chiriacò2, V. Vrech1,
L. Ferino1, S. Mazzolini3, G. Barbina3, C. Trombetta2
1Dipartimento di Scienze Mediche e Biologiche, Università di Udine;
2Dipartimento Clinico di Scienze Mediche, Chirurgiche e della Salute, Clinica
Urologica, Università di Trieste;
3Laboratorio Analisi d'Elezione, Azienda Ospedaliero Universitaria, Santa
Maria della Misericordia, Udine, Italy

Obiettivi: La finasteride è un inibitore dell'enzima 5-alfa-reduttasi, che provoca una
riduzione della conversione del testosterone (T) all'ormone più attivo il diidrotestosterone
ormone (DHT). La finasteride è ampiamente utilizzata per la riduzione della iperplasia
prostatica benigna, di solito alla dose di 5 mg/die. Inoltre, la finasteride è usata contro la
perdita di capelli (alopecia androgenetica), di solito alla dose di 1 mg/die. Alcuni studi
hanno riportato disfunzioni sessuali durante e/o dopo l'uso di finasteride. Tuttavia gli studi
sugli effetti a lungo termine di questo farmaco sono scarsi, in generale, i dati riportati
richiedono una conferma e una valutazione più approfondita soprattutto delle ragioni che
producono la persistenza a lungo termine di disfunzioni sessuali. Il nostro studio è rivolto a
caratterizzare il profilo ormonale in giovani pazienti maschi con disfunzione sessuale
persistente dopo uso di finasteride per alopecia.
Metodi: Sono stati arruolati 9 uomini (36 ± 5 anni) che hanno assunto finasteride al
dosaggio di 1 mg/die contro l'alopecia e che presentano effetti avversi tra cui la
disfunzione erettile e la perdita della libido a più di 6 mesi dalla sospensione del farmaco.
Tutti questi soggetti erano sani prima dell'uso di finasteride. Per confronto, sono stati
esaminati 30 controlli maschi sani appaiati. Il testosterone totale, testosterone libero e
biodisponibile, la sexual hormone binding globulin (SHBG) e le concentrazioni di ormone
luteinizzante (LH) sono stati valutati nel siero di tutti i soggetti.
Risultati: Le concentrazioni totali di testosterone (p <0.01), testosterone libero (p = 0.01) e
testosterone biodisponibile (p <0.01) erano tutti inferiori nei casi rispetto ai controlli sani. Al
contrario, SHBG non era diversa nei 2 gruppi (p> 0,05). Inoltre, le concentrazioni di LH
erano inferiori in pazienti con effetti negativi a lungo termine rispetto ai controlli sani non
trattati con il farmaco (p <0.05).
Conclusioni: Il nostro è il primo studio che ha evidenziato bassi livelli persistenti di
testosterone nelle forma totale, libera e biodisponibile, e di LH nei soggetti con disfunzione
sessuale più di sei mesi dopo la sospensione dell'uso di finasteride contro la caduta di
capelli. I nostri dati suggeriscono effetti durevoli di alterazione del sistema endocrino che
produce testosterone in alcuni giovani uomini che hanno assunto finasteride a basso
dosaggio.
DIFFERENZE DI GENERE NELLO STUDIO MOMA: PREVALENZA DI
SINDROME METABOLICA (SM) E STILI DI VITA
P. Vinci, E. Chendi, M. Ius*, L. Cerrone*, F. Mion*, P. Comina*, M. Zanetti,
R. Barazzoni, G. Guarnieri, R. Situlin
Clinica Medica, Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e della Salute,
Università di Trieste, *Medicine di Gruppo, Maniago-Montereale Valcellina,
PN


Razionale: La SM ha un ruolo di rilievo nell'incrementare il rischio cardio-
metabolico. La letteratura riporta differenze nelle componenti della (SM) tra i due
sessi con dati non sempre univoci.
Materiali e metodi:
La casistica dello studio MoMa, (da Montereale Valcellina-
Maniago, due comunità del Friuli Venezia Giulia, ha incluso 1900 soggetti (18-69
anni) invitati a random a partecipare al protocollo. Si sono valutati: indici biochimici,
antropometrici e clinici e i diverse componenti dello stile di vita, indagati tramite
questionari. Lo studio è stato condotto in collaborazione tra i Medici di Medicina
Generale delle comunità e l'Università degli Studi di Trieste.
Risultati:
Il sovrappeso è più frequente nei maschi, M (47%) rispetto alle femmine,
F (27,9%) mentre l'obesità media è pari all'8% dei casi in modo sovrapponibile nei
due sessi, con forme gravi nel 2,9% dei M e 3,7%,delle F. La SM, secondo i criteri
dell'ATPIII, è del 31% nei M e 25% nelle F. La distribuzione nei due sessi per
fasce di età mostra differenze significative con minor prevalenza nelle F fino ai 55
anni di età. Le F con SM rispetto ai M, presentano valori di circonferenza
addominale più elevati e di colesterolo HDL più bassi. Nello stile di vita si sono
osservate differenze significative nell'assunzione di alcuni alimenti e nei livelli di
attività fisica nei soggetti, con e senza SM, di entrambi i sessi. L'abitudine al fumo
è più frequente nelle F. Il consumo di bevande alcoliche è invece più elevato nei M.
Conclusioni:
I dati mostrano un incremento di SM nella popolazione del FVG e
differenze nelle componenti della SM e nello stile di vita tra i due sessi. Gli
interventi di prevenzione e di terapia devono pertanto essere precoci e tener conto
maggiormente delle differenze di genere.
EFFETTO DEL DIABETE SULL'INSORGENZA DEI TUMORI: STUDIO DI
COORTE CON APPROCCIO DI GENERE NELLA PROVINCIA DI REGGIO
EMILIA
P. Ballotari1, M. Vicentini1, C. Caroli1, S. Chiatamone Ranieri2, P. Giorgi
Rossi1, V. Manicardi3
1 Servizio Interaziendale di Epidemiologia, AUSL di Reggio Emilia; 2Laboratorio
Analisi Chimico Cliniche ed Endocrinologia, ASMN,IRCCS, Reggio Emilia; 3UOC
di Medicina-Osp di Montecchio, AUSL di Reggio Emilia
Obiettivi: Valutare l'effetto del diabete sull'incidenza di tumore con un approccio di
genere.
Metodi: Studio di coorte basato sui residenti nella provincia di Reggio Emilia al
31/12/2009. Il fattore di esposizione è lo stato di diabetico al 31/12/2009, desunto dal
Registro Diabete reggiano. L'evento è l'incidenza di tumore nel 2010, estratto dal
Registro Tumori reggiano. I diabetici sono stati classificati in: tipo 1 (DM1) o tipo 2
(DM2), insulino-dipendente (IDDM) e non, ipoglicemizzanti orali e non (con e senza
assunzione contemporanea di insulina). E' stata calcolata la stima del Rate Ratio di
Mantel-Haenszel (RR M-H) corretto per classi di età e genere e relativi Intervalli di
Confidenza al 95% (IC95%). Sono stati calcolati gli Standardized Incidence Ratio (SIR)
e relativi IC95% per sesso e sede anatomica del tumore e per tipo di diabete.
Risultati: Lo studio mostra un eccesso di rischio per le donne diabetiche (RR M-H 1,31;
IC95% 1,11-1,55) ma non per gli uomini. L'analisi per sede anatomica evidenzia per gli
uomini un eccesso di rischio per il tumore del fegato (SIR 3,10; IC95% 1,80-4,96), del
colon retto (SIR 1,71; IC95% 1,21-2,34) e un effetto protettivo per la prostata (SIR 0,65;
IC95% 0,44-0,94). Nelle donne l'eccesso di rischio si osserva per il fegato (SIR 3,87;
IC95% 1,41-8,43), il pancreas (SIR 2,75; IC95% 1,46-4,70) e il corpo dell'utero (SIR
2,65; IC95% 1,51-4,30). L'analisi per tipo di diabete mostra che i DM1 hanno un
eccesso di rischio rispetto ai non diabetici più marcato dei DM2 (SIR DM1 2,36; IC95%
1,13-4,34). L'analisi per tipo di terapia farmacologica mostra che i diabetici insulino
dipendenti hanno un eccesso di rischio rispetto ai non diabetici (SIR IDDM 2,00; IC95%
1,70-2,34), non presente invece nei non insulino dipendenti. Coloro che assumono
ipoglicemizzanti orali hanno un eccesso di rischio analogo a quelli che non l'assumono
(vs non diabetici). Se si restringe l'analisi ai non insulino-dipendenti, l'eccesso di rischio
scompare in entrambe le classi.
Conclusioni: Lo studio conferma le evidenze riportate in letteratura e rileva alcune
differenze di genere per quel che concerne le sedi anatomiche oggetto di un eccesso di
rischio per la popolazione diabetica. L'eccesso di rischio è però limitato ai pazienti che
assumono insulina. Ciò potrebbe essere un effetto diretto del farmaco così come
l'effetto della maggiore durata o gravità della patologia diabetica dei pazienti in
trattamento con insulina.
Bibliografia: K. Shikata, T. Ninomiya and Y. Kiyohara: Diabetes mellitus and cancer
risk. Review of the epidemiological evidence. Cancer Sci, 2013; 104 (1): 9–14.
Vigneri P, Frasca F, Sciacca L, Pandini G, Vigneri R. Diabetes and cancer. Endocr Relat
Cancer 2009; 16: 1103–23. Giovannucci E, Harlan DM, Archer MC et al. Diabetes and
cancer: a consensus report. Diabetes Care 2010; 33: 1674–85.
S. H. Wild. Diabetes, treatments for diabetes and their effect on cancer incidence and
mortality: attempts to disentangle the web of associations. Diabetologia 2011; 54:1589–
1592.
COPD E CONTROLLO MATABOLICO IN PAZIENTI NON DIABETICI
OSPEDALIZZATI: DIFFERENZE DI GENERE
T. Ciarambino 1 , A. Mazzone 2, C. Politi1
1 UOC Medicina Interna – P.O. Isernia - 2 Azienda Ospedaliera di Legnano
Introduzione: La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) nel 2020 risulterà essere
la terza più importante causa di morte. La riacutizzazione della BPCO la principale causa
di ospedalizzazione e numerosi sono gli studi clinici che valutano i principali fattori
responsabili della ammissione in ospedale. La somministrazione di farmaci prericovero, in
particolare la somministrazione di glucocorticoidi per via sistemica durante le
riacutizzazioni della BPCO (che è un cardine della terapia), nel paziente con diabete
mellito, influenza in maniera significativa il controllo glicemico. Le linee guida GOLD 2013
non definiscono nel dettaglio il management del paziente con diabete scompensato
rimandando alle linee guida di specialità.
Materiali e Metodi: Sono stati raccolti i dati relativi a 500 pazienti consecutivi afferenti in
ospedale (in ricovero ordinario, ricovero in osservazione breve, DH, Ambulatorio)
dall'ottobre 2012 al maggio 2013, la cui diagnosi principale o diagnosi secondaria era di
"BPCO riacutizzata. I pazienti indipendentemente dal reparto di afferenza sono stati divisi
in tre gruppi. I gruppi 1 e 2 erano costituito da pazienti affetti da BPCO (VEMS pre-
broncodilatatore <60%). In particolare, il 1° gruppo (COPD non diabetici) era caratterizzato
da 120 pazienti (60 uomini, 60 donne) con età media pari a 76.2±2 anni e non affetti da
diabete mellito. Il 2° gruppo (COPD e Diabete Mellito) era caratterizzato da 110 pazienti
(55 uomini, 55 donne) con età media pari a 75.3±1 anni affetti da diabete mellito. Il 3°
gruppo (controlli) era costituito da 100 pazienti (50 uomini, 50 donne) con età media pari a
74.3±2 anni che non erano affetti né da COPD, né da diabete mellito. Tutti i pazienti sono
stati sottoposti a valutazioni ematochimiche, del profilo glicemico, del peso corporeo e
della saturimetria (SO2). Tutti i pazienti COPD assumevano corticosteroidi al momento del
ricovero, tutti i pazienti diabetici assumevano terapia insulinica. I 3 gruppi di pazienti
presentavano caratteristiche simili per quanto riguarda BMI, introito calorico ed attività
fisica.
Risultati: I pazienti COPD non diabetici, presentano uno scarso compenso glicemico con
una HbA1c pari a 7.8±0.4%; p< 0.001 vs controlli. I pazienti COPD diabetici presentano
valori più elevati di emoglobina glicata (8.0±0.2%) rispetto ai controlli (4.5±0.1%); p<
0.001 vs controlli. Abbiamo osservato in particolare, nel sottogruppo anziani ( >65anni )
che le donne COPD non diabetiche presentano un peggiore compenso glicometabolico,
con una HbA1c pari a 7.7±0.8% rispetto ai COPD maschi anziani non diabetici (7.1±0.1%)
e rispetto ai controlli (4.4±0.2%); p< 0.001 vs controlli e vs maschi non diabetici. Inoltre, la
donna anziana non diabetica presenta valori medi di glicemia a digiuno pari 134±3 mg/dl,
simili alla donna anziana diabetica (138±2 mg/dl) e significativamente superiori ai controlli
(100±0.2 mg/dl); p <0.001 vs controlli.
Conclusioni: I nostri dati dimostrano che la donna anziana COPD non diabetica in terapia
corticosteroidea, presenta uno peggior compenso glicometabolico (HbA1c e glicemia a
digiuno) rispetto al maschio. Questo condiziona la durata del ricovero e l'impegno nella
gestione del paziente. La posologia del corticosteroide (la donna ha un peso inferiore) e la
presenza di un numero maggiore di comorbidità potrebbero essere elementi determinanti.
La identificazione di un alterato compenso glicometabolico prericovero anche nel paziente
COPD non diabetico, potrebbe contribuire a ridurre le complicanze, la durata della
degenza e condizionare le riammissioni in ospedale.
TERAPIA ANTITROMBOTICA E FIBRILLAZIONE ATRIALE: LE
DIFFERENZE DI GENERE NELLO STUDIO ATA-AF

C. Politi 1, T. Ciarambino 1, L. Riva 2, S. Frasson 3, D. Lucci 4, G. Fabbri 4,
L. Gonzini 4, G. Di Pasquale 2, G. Vescovo 5, A. Mazzone 6, a nome dei
Ricercatori ATA-AF
1 UOC Medicina Interna P.O. Isernia; 2 UOC Cardiologia Ospedale Maggiore,
Bologna; 3 Dipartimento Ricerca Clinica, Fondazione FADOI, Milano; 4 Centro
Studi ANMCO, Firenze; 5 Medicina Interna, Ospedale "S. Bortolo"Vicenza; 6
Dipartimento di Area Medica, Ospedale Civile di Legnano (MI)

Obiettivi: Valutare le differenze di genere in una popolazione di pazienti con
fibrillazione atriale.
Metodi: L'analisi è stata condotta sui dati dello studio osservazionale multicentrico
ATA-AF, che ha arruolato nel periodo maggio-luglio 2010 pazienti affetti da
fibrillazione (FA) afferenti a 164 cardiologie e a 196 reparti di Medicina Interna,
rappresentativi della realtà ospedaliera italiana.
Risultati: Nello studio sono stati arruolati 7148 pazienti con diagnosi primaria o
secondaria di FA (nella maggioranza dei casi FA non valvolare), sia in regime di
ricovero che ambulatoriali. I pazienti avevano un'età mediana di 77 anni; nel 47%
dei casi erano femmine. Fra le principali differenze cliniche tra i due generi si
segnalano: maggior presenza di valvulopatia nel genere femminile (37.2% vs
29.4%, p<0.0001) e di coronaropatia nel genere maschile (24.1% vs 15.2%,
p<0.0001); più frequente presenza di deficit cognitivo fra le femmine (13.1% vs
8.0%, p<0.0001); più elevato rischio trombotico nel genere femminile (CHADS2
score  2 nel 50.0% vs 42.6%, p<0.0001 – CHA2DS2-VASc  2: 68.2% vs 60.4%,
p<0.0001) con minore impiego di anticoagulanti orali (56.5% vs 60.7%, p<0.001).
Conclusioni: Dai dati dello studio ATA-AF, in una popolazione di pazienti "real-life"
con FA, si rilevano alcune differenze tra i generi. Nella popolazione femminile, la
valvulopatia è la più significativa patologia di base. Si sottolinea in particolare come
nel genere femminile, a fronte di un numero maggiore di soggetti con uno score
CHADS2 / CHA2DS2-VASc  2 vi sia una minore prescrizione di terapia
anticoagulante. Un dato rilevante è la presenza di deficit cognitivo in misura
significativamente più elevata nel sesso femminile. La donna con FA che presenti
un significativo deficit cognitivo potrebbe risultare quindi meno eligibile alla terapia
antitrombotica.
Finanziamenti: Lo studio è stato promosso dalle Società Scientifiche FADOI e
ANMCO e si è avvalso di un grant di ricerca non condizionato concesso da
Boehringer-Ingelheim Italia.
Bibliografia: 1. Di Pasquale G. et al. Current presentation and management of
7148 patients with atrial fibrillation in cardiology and internal medicine hospital
centers: the ATA-AF study. Int J Cardiol 2012; Aug 9 [Epub ahead of print]
2. Gussoni G. et al. Decision making for oral anticoagulants in atrial fibrillation: the
ATA-AF study. Eur J Intern Med 2013; 24: 324-32.

OSTEOPOROSI POST MENOPAUSALE E ALLERGIA: DUE MALATTIE SOLO
APPARENTEMENTE SENZA PUNTI DI CONTATTO
F. Ciccarelli, M. De Martinis, G. Sansonetti, L. Ginaldi
Università degli studi L'Aquila

Obiettivi
: l'osteoporosi è una patologia degenerativa, che colpisce prevalentemente il
sesso femminile in post-menopausa. Sia i ridotti livelli di estrogeni in menopausa che
l'invecchiamento agiscono sul rimodellamento osseo, favorendo l'insorgenza di
osteoporosi. Le recenti acquisizioni nel campo dell' osteoimmunologia hanno
evidenziato come gran parte delle azioni di questi due fattori sull'osso siano mediate dal
sistema immunitario. E' noto infatti come esista un sistema immunitario di genere:
malattie autoimmuni e allergiche hanno peculiarità diverse nella donna rispetto all'uomo,
oltre che nelle varie fasi della vita femminile1,2.
Metodi: al fine di approfondire il rapporto esistente tra osteoporosi e allergia abbiamo
preso in esame 3206 donne afferite al Centro Regionale per l' Osteoporosi dal 2008 ad
oggi. La densità minerale è stata misurata a livello calcaneare tramite un ultrasonometro
osseo, il Lunar Achilles Insight. Oltre a questo esame strumentale di screening, le
pazienti hanno eseguito una DEXA, per confermare i valori di Tscore e una morfometria
della colonna dorso-lombare. Tutte le pazienti sono state sottoposte a un accurato
questionario atto ad indagare circa le abitudini alimentari, lo stile di vita, la familiarità per
osteoporosi, la presenza di concomitanti malattie e la terapia domiciliare. Sono quindi
state escluse tutte le donne con patologie in grado di influenzare il rischio di
osteoporosi e che assumevano farmaci pro-osteoporotici. Dal campione abbiamo,
quindi, estrapolato 389 pazienti con atopia, documentata sia anamnesticamente sia
tramite prick test e dosaggio delle IgE totali e/o specifiche, e abbiamo confrontato i valori
di densità minerale ossea tra le donne allergiche e quelle non allergiche.
Risultati:inaspettatamente i valori di T score delle pazienti allergiche sono risultati
significativamente superiori rispetto a quelli delle non atopiche. Tale differenza è
risultata statisticamente significativa (-1,743 vs -1,349 p <0.0001). Abbiamo quindi
confrontato i valori di densità minerale ossea delle donne allergiche e non allergiche sia
in pre che in post-menopausa: tra donne atopiche e non atopiche in premenopausa le
differenze nei valori di Tscore non sono risultate statisticamente significative, al contrario
in post-menopausa la differenza di densità minerale ossea nei due campioni è risultata
significativa (-1,489 vs -1,830 p<0,0001).
Conclusioni:dai risultati ottenuti da questo studio sembrerebbe che l'allergia sia un
fattore protettivo per l'insorgenza di osteoporosi primaria postmenopausale. La
presenza di atopia bilancerebbe in un certo qual modo gli effetti pro-osteolitici sia del
deficit di estrogeni in post-menopausa sia dell'età avanzata.
Bibliografia:1 Riggs BL, Khosla S, Melton 3rd LJ 2002 Sex steroids and the
construction and conservation of the adult skeleton. Endocr Rev 23:279–302 2 P Lencel,
D Magne. Inflammaging: the driving force in osteoporosis? Medical Hypotheses 76
(2011) 317–321.

DIFFERENZE DI GENERE NELL'ADESIONE ALLO SCREENING PER IL
CARCINOMA COLORETTALE NEL TERRITORIO SENESE
S. Civitelli1, C. Livide1,C. Tassi2 , E. Fabbiani2, P. Galgani2
1 Dip.to di Chirurgia , Azienda Ospedaliera Universitaria Senese 2 Centro
screening oncologici USL 7 Siena
Obiettivi: Le donne si dimostrano generalmente più sensibili degli uomini alle tematiche
della salute e della prevenzione. Tuttavia, alcuni studi dimostrano che la loro
partecipazione allo screening per il carcinoma colo rettale (CCR) è inferiore a quella
degli uomini 1-2, nonostante il CCR sia al secondo posto per incidenza e mortalità
neoplastica nel sesso femminile. Scopo del nostro lavoro è valutare se, nella nostra
provincia, esista una differenza di genere riguardo l'adesione allo screening per il CCR
sia di primo livello (ricerca del sangue occulto nelle feci: RSO, invito tramite lettera a
tutte le persone fra 50-70 aa) che di secondo (coloscopia: offerta telefonicamente alle
persone con RSO positiva).
Metodi: I dati relativi all'adesione allo screening per il CCR effettuato negli aa 2006-
2011 sono stati disaggregati per sesso e confrontati. Si sono indagate, poi, eventuali
differenze di partecipazione delle donne ai 3 screenings gratuiti: RSO, mammografia,
pap-test. Infine, è stato chiesto alle operatrici del Centro screening quali fossero i motivi
addotti dalle persone con RSO positiva per rifiutare l'approfondimento coloscopico.
Risultati: L'invito ad effettuare la RSO, rivolto a 171.362 persone (88.613 F e 82.749
M), è stato raccolto più spesso dalle donne che dagli uomini (40,95% vs 38,05%:
p<0,0001), anche se la loro adesione è risultata significativamente inferiore a quella al
pap-test (44,65%) ed alla mammografia (59,75%) (p<0,0001). Quando la RSO risulta
positiva, gli uomini accettano più spesso delle donne di sottoporsi a coloscopia (76,19%
vs 74,71%), ma non in maniera significativa. A differenza degli uomini, le donne
adducono prevalentemente gli impegni familiari per non completare l'iter diagnostico.
Conclusioni: I nostri risultati non confermano la minor adesione delle donne allo
screening per il CCR segnalata da studi prevalentemente statunitensi. Dal momento
che, in ogni parte del mondo la popolazione femminile è notoriamente più povera della
maschile, si può supporre che, in un sistema sanitario non solidaristico, le differenze
siano determinate, più che dal genere in sé, dalle disparità socioeconomiche genere-
correlate. Dal nostro studio emergono, comunque, criticità verso le quali dovrebbero
essere intraprese azioni positive. Ad esempio, una comunicazione che non focalizzi
eccessivamente sugli organi sessuali/riproduttivi può evitare che le donne sottostimino il
rischio oncologico in altre sedi mentre una maggior flessibilità dei protocolli potrebbe
ovviare alle loro difficoltà di conciliare l'interesse per la propria salute con gli impegni
familiari.
Finanziamenti: Lo studio non ha avuto nessun finanziamento
Bibliografia: 1- Meissner H.I.: Cancer Epidemiol Biomarkers Prev 2006;15(2):389–94
2- Guessous I.: Prev Med 2010; jan-Feb; 50(1-2): 3-10.
IL CANCRO COLORETTALE: UNO SGUARDO DI GENERE
S. Civitelli, R. Rossi, A. Balsamo, D. Francione
Dip. to di Chirurgia - Azienda Ospedaliera Universitaria Senese (AOUS)

Obiettivi: Il cancro colorettale (CCR) è una delle neoplasie più frequenti nel mondo
industrializzato in ambedue i sessi. Differenze di genere sono state segnalate sia
riguardo l'età di insorgenza della neoplasia che nelle sue caratteristiche ed alcuni
AA hanno suggerito di modificare i protocolli di screening e di sorveglianza secondo
il sesso 1,2. Il nostro studio mira a verificare se tali differenze vengano confermate
dalla nostra esperienza.
Metodi: E' stata rivista retrospettivamente la documentazione relativa a 1073
persone: 457 donne (42,60%), 616 uomini (57,39%) consecutivamente sottoposte
ad intervento per CCR presso l'UO di Chirurgia 1 dell'AOUS. I dati esaminati sono
stati: il sesso, l'età al momento della diagnosi, il modo di presentazione della
neoplasia (urgenza/elezione), la sua sede, l'istotipo ed il grado di differenziazione,
l'infiltrazione della parete definita dal parametro T della stadiazione TNM, lo stadio
sec. Dukes e l'intento dell'intervento (radicale/palliativo).
Risultati: : Fra i due sessi non ci sono differenze riguardo l'età alla diagnosi di
CCR (F: 70,89 +/11,24 aa vs M: 70,42 +/-10,52 aa), la presentazione della
neoplasia, lo stadio di malattia e la radicalità dell'intervento. Nelle donne sono
significativamente più frequenti le neoplasie a sede prossimale (p=0,027), infiltranti
la parete a tutto spessore (p=0,024) e ad istotipo mucinoso (p=0,009) mentre quelle
a basso grado di differenziazione, pur prevalendo, non lo fanno statisticamente
(p=0,058).
Conclusioni: Il nostro studio non conferma un'età di insorgenza del CCR più
avanzata nelle donne e non supporta la proposta di alcuni AA1 di posticipare l'inizio
dello screening nel sesso femminile. Conferma, invece, la prevalenza di neoplasie
prossimali2 e sottolinea l'importanza di uno studio completo del viscere,
notoriamente più difficile da ottenere nelle donne. Le differenze riguardo la sede, le
diverse caratteristiche istologiche delle neoplasie e la loro invasività meritano
ulteriori approfondimenti nell'ipotesi di una possibile, diversa cancerogenesi nei
due sessi.
Finanziamenti: la ricerca non ha ricevuto nessun finanziamento
Bibliografia: 1-Brenner H, Hoffmeister M, Arndt V, Haug U. Gender differences in
colorectal cancer: implications for age at initiation of screening. Br. J. Cancer 2007;
96: 828–31. 2- Nelson RL, Dollear T, Freels S, Persky V. The relation of age, race
and gender to the subsite location of colorectal carcinoma. Cancer 1997; 80: 193–
7.
ASSOCIAZIONE LEGATA AL SESSO TRA IL POLIMORFISMO FOKI
DEL GENE CODIFICANTE PER IL RECETTORE DELLA VITAMINA D
(VDR) E LE PATOLOGIE DELLA COLONNA VERTEBRALE
A. Colombini1, G. Banfi1,2, M. Brayda-Bruno3, G. Lombardi1,
S. Croiset1, V. Vrech4, V. Maione4, S. Cauci4

1. Laboratorio di Biochimica Sperimentale e Biologia Molecolare, I.R.C.C.S. Istituto Ortopedico Galeazzi, Milano; 2. Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università di Milano, Milano; 3. Dipartimento di Ortopedia e Traumatologia – Chirurgia Vertebrale III – Scoliosi, I.R.C.C.S. Istituto Ortopedico Galeazzi, Milano; 4. Dipartimento di Scienze Mediche e Biologiche, Università di Udine, Italy
Obiettivi: Le alterazioni nell'omeostasi della vitamina D, che coinvolgono
principalmente il suo recettore nucleare (VDR), possono avere un ruolo nella
patofisiologia della colonna. L'associazione dei polimorfismi del VDR con i disordini
della colonna vertebrale, in particolare il polimorfismo funzionale FokI (rs10735810, con
allele wild F ed allele mutato f), è stata analizzata in differenti gruppi etnici, ma, fino ad
ora, non sono stati riportati risultati consistenti.
Lo scopo del presente studio è quello di valutare la distribuzione delle frequenze del
polimorfismo FokI del VDR in soggetti con specifiche patologie della colonna rispetto a
controlli asintomatici nella popolazione italiana, con particolare attenzione ad eventuali
differenze di genere.
Metodi: Sono stati arruolati 267 (149 maschi, 118 femmine) pazienti con patologie della
colonna (ernia, discopatie, osteocondrosi, stenosi, spondilolistesi), diagnosticate
mediante radiografia o risonanza magnetica e 220 (106 maschi, 114 femmine) controlli
asintomatici. Il polimorfismo FokI è stato determinato mediante PCR-RFLP.
Risultati: Il genotipo FF e l'allele F rappresentano un rischio approssimativamente 2
volte più elevato di sviluppare discopatie e/o osteocondrosi concomitanti con ernia del
disco, mentre l'allele f è protettivo. Da notare che questi risultati non sono stati
confermati in pazienti con sola ernia del disco. La stessa tendenza è stata osservata in
pazienti di entrambi i sessi. In particolare, il genotipo FF è un fattore di rischio per
pazienti di entrambi i sessi, mentre l'allele F è risultato essere statisticamente a rischio
solo per i pazienti maschi. In pazienti con stenosi e/o spondilolistesi, solo nella
popolazione femminile, è stata osservata una tendenza di un rischio di 3 volte superiore
associata al genotipo ff.
Conclusioni: Il legame osservato tra le varianti del polimorfismo FokI del VDR e
specifiche patologie della colonna suggerisce che alcune alterazioni tessuto-specifiche
siano influenzate dal background genetico individuale, con un importante effetto legato
al sesso. Nell'ottica di sviluppare un approccio clinico personalizzato e sesso-specifico
dei pazienti con patologie della colonna, le differenze legate al sesso dovrebbero
essere confermate in una coorte più ampia di soggetti.
INFLUENZA LEGATA AL GENERE DI FATTORI DI RISCHIO
COMPORTAMENTALI ED AMBIENTALI NELLO SVILUPPO DI PATOLOGIE
DELLA COLONNA VERTEBRALE

A. Colombini1, G. Banfi1,2, M. Brayda-Bruno3, L. Ferino4, S. Cauci4
1. Laboratorio di Biochimica Sperimentale e Biologia Molecolare, I.R.C.C.S.
Istituto Ortopedico Galeazzi, Milano;
2. Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università di Milano,
Milano;
3. Dipartimento di Ortopedia e Traumatologia – Chirurgia Vertebrale III –
Scoliosi, I.R.C.C.S. Istituto Ortopedico Galeazzi, Milano;;
4. Dipartimento di Scienze Mediche e Biologiche, Università di Udine, Italy
Obiettivi: I disordini della colonna vertebrale comprendono un'ampia ed eterogenea varietà
di patologie, costituiscono un'importante fonte di disabilità e di costo per il Sistema Sanitario.
Nei paesi occidentali questi disordini rappresentano le più comuni patologie
muscoloscheletriche: il 15-20% circa dei soggetti in età adulta soffrono di dolore alla colonna
durante l'anno ed approssimativamente il 50-80% dei soggetti presentano almeno un
episodio di dolore nel corso della vita. Fattori di rischio individuali, ambientali e
comportamentali, in particolare l'età, il peso corporeo, il carico occupazionale, il fumo,
l'esposizione a vibrazioni e potenzialmente le differenze di genere possono contribuire
all'insorgenza o alla progressione della degenerazione della colonna.
Il presente studio ha lo scopo di valutare nella popolazione italiana, con particolare
attenzione alle differenze di genere, il coinvolgimento di fattori di rischio nello sviluppo di
specifici disordini della colonna vertebrale, diagnosticati sulla base di specifiche patologie
strutturali.
Metodi: Sono stati arruolati 267 (149 maschi, 118 femmine) pazienti con patologie della
colonna (ernia, discopatie, osteocondrosi, stenosi, spondilolistesi), diagnosticate mediante
radiografia o risonanza magnetica e 220 (106 maschi, 114 femmine) controlli asintomatici.
Per ogni soggetto incluso nello studio sono state raccolte informazioni relative all'esposizione
a fattori di rischio quali: la storia familiare, l'età, il sesso, il peso corporeo, il carico
occupazionale, il fumo e l'esposizione a vibrazioni.
Risultati: Nell'intera popolazione di pazienti è stato osservato che la presenza di patologia
della colonna era associata a: età  45 anni (OR=2.32; CI=1.60-3.37), il sovrappeso (BMI
25.0 kg/m2 OR=1.85; CI=1.28-2.77), la storia familiare (OR=3.02; CI=1.94-4.68), il fumo
(OR=1.63; CI=1.14-2.33), in particolare fumare 20 o più sigarette al giorno (OR=5.23;
CI=1.52-18.0), il carico occupazionale (OR=1.76; CI=1.20-2.59), specialmente se intenso
(OR=3.47; CI=1.89-6.34), un'elevata esposizione a vibrazioni (> 2 ore/die, OR=3.11;
CI=1.83-5.28). Quasi tutte le associazioni sono state confermate per i pazienti maschi.
Sorprendentemente, per i pazienti di sesso femminile, solo un'età  45 anni e 50 anni
rappresentano un fattore di rischio associato allo sviluppo di patologie della colonna.
Conclusioni: Fattori di rischio familiari, ambientali e comportamentali sono associati a
sviluppo di patologie della colonna vertebrale in pazienti maschi, mentre solo l'età avanzata
sembra rappresentare un fattore di rischio in pazienti di sesso femminile.
Questi risultati potrebbero essere cruciali nell'ottica di sviluppare trattamenti medici
personalizzati, in particolare potrebbero suggerire la necessità di un approccio clinico sesso-
specifico dei pazienti con patologie della colonna.

INFLUENZA DEL GENERE SULL'INCIDENZA DI EFFETTI COLLATERALI IN
PAZIENTI AFFETTI DA PSORIASI A PLACCHE TRATTATI CON
CICLOSPORINA.
RISULTATI PRELIMINARI DELLO STUDIO OSSERVAZIONALE ITALIANO
GENDER ATTENTION
D. Colombo1, G. Banfi2, N. Cassano3, A. Graziottin4, G. Vena3, G. Bellia1 per
conto del GENDER ATTENTION Study Group
1 Novartis Farma Italia; 2 Istituto Ortopedico Galeazzi, Milano; 3 Università Degli
Studi di Bari
; 4Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica, Milano

Obiettivi: Generalmente i risultati degli studi clinici assimilano la donna all'uomo. Vi è
quindi un crescente interesse per la medicina di genere allo scopo di personalizzare i
trattamenti alla fisiologia femminile. L'obiettivo primario dello studio GENDER
ATTENTION è descrivere l'incidenza di effetti collaterali per genere e per stato fertile/
menopausale in un campione di pazienti italiani con psoriasi a placche trattati secondo
pratica clinica con ciclosporina.
Metodi: GENDER ATTENTION è uno studio osservazionale italiano di coorte,
prospettico, multicentrico. Esso coinvolge 50 centri di Dermatologia e si propone di
includere pazienti maggiorenni con psoriasi a placche che abbiano iniziato un ciclo di
ciclosporina e di seguirli fino al termine del ciclo terapeutico (da 2 a 6 mesi).
L'arruolamento si è svolto da Maggio 2011 a Dicembre 2012. I follow-up si sono
conclusi a Giugno 2013.
Risultati: Su 971 pazienti arruolati, 909 sono stati inclusi nelle analisi preliminari. Sono
state definite quattro coorti di soggetti: 352 donne fertili (DF) di età media 35,5 ± 8,9
anni e 251 uomini appaiati per età, 184 donne in menopausa (DM) di età media 57,0 ±
5,5 anni e 122 uomini appaiati per età. Il Psoriasis Area and Severity Index medio
all'inclusione nello studio è risultato 14,1 ± 7,1 (il 76% presentava 4 localizzazioni di
malattia) e 15,5 ± 7,2 in DF e relativi uomini e 13,6 ± 7,4 (il 71% presentava 4
localizzazioni) e 15,6 ± 7,2 in DM e rispettivi uomini. I pazienti erano in trattamento con
ciclosporina da 3,5 ± 3,8 anni; la dose iniziale mediana era 200 mg/die (75° percentile
250) nelle donne e 250 mg/die (75° percentile 300) negli uomini. Tra i pazienti con
periodo di osservazione completato (N=810), il 27% ha avuto almeno un effetto
collaterale: 22% e 24% di DF e uomini appaiati e 39% e 29% di DM e uomini appaiati.
Conclusioni: I risultati preliminari dello studio GENDER ATTENTION confermano il
buon profilo di sicurezza di ciclosporina in un ampio campione di pazienti italiani affetti
da psoriasi. I dati dei follow-up permetteranno di esplorare le differenze nel tasso di
incidenza di effetti collaterali tra generi e per stato fertile/menopausale e rispetto al
profilo ormonale. L'elaborazione delle analisi finali è in corso.
Finanziamenti: Studio sponsorizzato da Novartis Farma Italia.

FATTORI GENETICI E NON GENETICI CHE INFLUENZANO L'INSORGENZA
E IL DECORSO DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER NELLE DONNE
R.M. Corbo1, G. Gambina2, E. Broggio2, R. Scacchi3
1,3 Dip. di Biologia e Biotecnologie, Università di Roma La Sapienza; 2 Centro
Alzheimer e Disturbi Cognitivi, UOC Neurologia d.O.,DAI di Neuroscienze,
Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata - Verona, 3 Ist. Biologia e Patologia
Molecolari, CNR, Roma

Obiettivi: Numerosi studi mostrano una maggiore prevalenza della malattia di
Alzheimer (AD) sporadica nelle donne rispetto agli uomini. Questa differenza potrebbe
essere spiegata dalla loro maggiore aspettativa di vita, ma anche da fattori biologici
genere-specifici. Nella nostra ricerca è stato esaminato il ruolo di alcuni fattori genetici
(geni del metabolismo degli estrogeni o della fertilità) e non genetici (trascorsa fertilità e
età alla menopausa) nello sviluppo e decorso dell'AD nelle donne.
Metodi: In un campione di circa 250 pazienti AD (30% maschi) e oltre 100 controlli sono
stati esaminati i polimorfismi dei geni ESR1 (recettore alfa degli estrogeni), CYP19
(aromatasi), FSHR (recettore ormone follicolo stimolante). Per le donne sono stati
raccolti dati sulla vita fertile (n° di figli, età alla menopausa). I vari fattori sono stati messi
in relazione sia con il rischio di insorgenza di AD, sia con parametri quantitativi indicativi
della gravità della malattia, quali età di insorgenza (EI) e stato cognitivo (punteggio
MMSE). Per un sottogruppo di pazienti è stato inoltre effettuato uno studio
farmacogenetico sull'effetto dei geni nella risposta al trattamento con Donepezil e
Rivastigmina.
Risultati: Per nessuno dei geni esaminati è stato individuato un genotipo di rischio AD
specifico per le donne, ma il genotipo FSHR AS/AS riduce significativamente il rischio di
AD nelle donne. L'aplotipo ESR1 XP solo nelle donne influenza il decorso della malattia,
essendo associato a più grave deficit cognitivo. Il genotipo TT dello snp CYP19rs4646
riduce significativamente l'EI di AD nelle donne che hanno avuto figli. L'avere avuto figli
abbassa significativamente l'EI della malattia nelle donne che non portato l'allele E4
dell'APOE (Apolipoproteina E), e così pure esiste una relazione significativa tra più
bassa età alla menopausa e più bassa EI di AD. Infine lo studio farmacogenetico
indicherebbe che le donne rispondono meglio al trattamento con Donepezil e
Rivastigmina, e la risposta sembra dipendere dal genotipo ESR1.
Conclusioni: Il complesso dei dati sembra indicare che i fattori biologici genere-specifici
(genetici e non) esaminati, più che aumentare la suscettibilità delle donne all'AD, ne
modificano il decorso influenzando l'EI o lo stato cognitivo. L'EI di AD nelle donne
sembra essere determinata da un complesso network di interazioni tra i geni APOE e
CYP19, e la trascorsa fertilità e l'età alla menopausa. Il gene ESR1 sembra invece
influenzare lo stato cognitivo, anche modificando la risposta ai farmaci.
Finanziamenti: Università La Sapienza; Fondazione Cariverona, Progetto "Disabilità
cognitiva e comportamentale nelle demenze e nelle psicosi".
DIFFERENZE DI GENERE NELLA PREVALENZA DEL DIABETE MELLITO
NOTO E NEODIAGNOSTICATO NEGLI ANZIANI RICOVERATI IN GERIATRIA

M.L. Corradin, A. Franchin, F. Rossi, A. Dalla Costa, E. Manzato
Clinica Geriatrica, DIMED, Università di Padova

Obiettivi: In letteratura nazionale e internazionale la prevalenza del diabete mellito
(DM) tra i pazienti ricoverati è stimata tra il 23.7% ed il 26% per il DM noto e tra il 2.6%
ed il 12% per il DM non noto (1,2). Abbiamo voluto verificare la prevalenza del DM sia
noto che di nuovo riscontro in una Geriatria e se esistesse una relazione con il genere.
Metodi: Lo studio è di tipo osservazionale retrospettivo, realizzato analizzando le
cartelle cliniche dei ricoverati in Clinica Geriatrica a Padova dall'1/1/2010 al 30/9/2011.
Abbiamo indagato la relazione tra: a) sesso, età, peso corporeo, assunzione di terapia
diuretica domiciliare, e b) momento della diagnosi di DM (antecedente o contestuale al
ricovero). Per le neodiagnosi sono state utilizzate le linee guida internazionali (3).
Risultati: La prevalenza del DM già noto è del 22.2% (283 diabetici su un totale di 1272
ricoveri). La prevalenza del DM neodiagnosticato durante il ricovero è del 5.9%
(75/1272), portando la prevalenza totale al 28.1%. La percentuale di D neodiagnosticati
durante il ricovero è significativamente superiore (p=0.014) nel gruppo delle femmine
(24.7%; 59 su 239) rispetto al gruppo dei maschi (13.4%; 16 su 119). Diabetici noti e
neodiagnosticati non differiscono in maniera statisticamente significativa per quanto
riguarda: età (82.3±7.5 vs 84.4±7.3 anni), peso corporeo (68.5±16.8 vs 65.4±16.5 Kg),
assunzione di terapia diuretica domiciliare (69.3% vs 72.1%). Con la regressione
logistica binaria abbiamo riconosciuto il genere come l'unica variabile tra quelle
esaminate ad essere significativamente associata al DM non noto. In particolare, esiste
una forte associazione tra il sesso femminile e la prima diagnosi di DM avvenuta
durante il ricovero (B-coef 0.763, ES 0.335, p=0.023, OR 2.14; 95% CI OR 1.11-4.13).
Conclusioni: Abbiamo riscontrato una prevalenza del DM noto del 22% circa mentre il
DM neodiagnosticato era del 6% circa, dati che sommati confermano quelli della
letteratura. Le neodiagnosi nel nostro studio sono significativamente associate al sesso
femminile. Pertanto sarebbe indicato soprattutto nelle femmine anziane approfondire lo
screening del DM, eventualmente con la ricerca dell'HbA1c, in presenza di anche
modeste alterazioni della glicemia durante il ricovero.
Bibliografia:
1. G.E. Umpierrez, S.D. Isaacs, N. Bazargan, et al. "Hyperglycemia: an independent
marker of in-hospital mortality in patients with undiagnosed diabetes" The Journal of
Clinical endocrinology and metabolism. 2002; 87:978.
2. P.D. Di Bonito, M. Rinaldi, et al. "Il diabete noto e non noto tra i pazienti ricoverati nei
reparti di medicina interna della regione Campania". Giornale italiano di diabetologia e
metabolismo. 2006;26:5.
3. American Diabetes Association. Standards of medical care in diabetes--2013.
Diabetes Care. 2013;36 Suppl 1:S11.
IL DIABETE MELLITO GESTAZIONALE ED I LIVELLI PLASMATICI DELLA
PROTEINA SOLUBILE HLA-G: UNA CORRELAZIONE INTERESSANTE
G. Garbin1, A. Zucchella1,2, C. Badulli1, M. Simonetta3, E. Locatelli2, F.
Beneventi3, A. Spinillo3, M. Martinetti1, M. Cuccia2
1Laboratorio di Immunogenetica, IRCCS Fondazione Policlinico San Matteo,
Pavia; 2Laboratorio di Immunogenetica, Università degli Studi di Pavia;
3Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Fondazione Policlinico San
Matteo, Pavia
Obiettivi: Fisiologicamente, la gravidanza è una condizione diabetogenica indotta dalla
necessità della madre di garantire al feto il necessario apporto di zuccheri per il suo
accrescimento. Tuttavia, in presenza di particolari fattori genetici e ambientali, può
instaurarsi nella madre -in genere al II trimestre di gravidanza- un aumento della
resistenza insulinica che esita in un quadro clinico ben definito: il diabete mellito
gestazionale (DMG). La tolleranza al glucosio, in condizioni non gravidiche, sembra
correlare con i livelli plasmatici della proteina solubile HLA-G, importante
immunomodulatore ad attività fortemente tollerogenica che, in gravidanza, trova il
massimo della sua espressione. Lo scopo del nostro lavoro è stato quello di monitorare
e mettere a confronto i livelli plasmatici di sHLA-G in 103 gravidanze sane e 18
gravidanze con DMG seguite in tre momenti cardine della gestazione: I, II trimestre e
parto. Abbiamo anche studiato un polimorfismo regolatorio del gene HLA-G dal quale
sembra dipendere la quantità di prodotto secreto nel milieu extracellulare.
Metodi: 363 plasmi sono stati saggiati con tecnica ELISA per il dosaggio della proteina
sHLA-G. 121 DNA sono stati analizzati, a mezzo di PCR, per il polimorfismo ins/del
14bp, localizzato al 3'UTR del gene HLA-G.
Risultati: La concentrazione plasmatica media di sHLA-G nelle gravide sane è risultata:
66.52 ng/El al I trimestre, 50.75 ng/El al II e 53.03 ng/El subito dopo il parto mentre, nelle
gestanti diabetiche, era: 57.58 ng/El al I trimestre, 65.96 ng/El al II e 72.74 ng/El dopo il
parto. Questa è la stratificazione del valore medio di sHLA-G in funzione del genotipo
HLA-G nei tre momenti considerati nei controlli: ins/ins14bp 57.84-49.09-45.55 ng/El;
ins/del14bp 64.03-51.24-56.38 ng/El; del/del14bp 75.87-50.90-52.52 ng/El. Nelle
gestanti diabetiche la stratificazione era la sequente: ins/ins14bp 21.14-19.64-52.29
ng/El; ins/del14bp 61.28-71.95-72.17 ng/El; del/del14bp 58.09-75.62-81.96 ng/El.
Conclusioni:
Abbiamo osservato che, in condizioni fisiologiche, i livelli plasmatici di
sHLA-G tendono a diminuire dal I al II trimestre in sintonia con le diminuite necessità
della madre di tollerare il feto aploidentico. Invece, nelle pazienti con DMG, si assiste
ad un aumento della secrezione di sHLA-G proprio al II semestre, in concomitanza con
l'insorgenza di una condizione infiammatoria alla quale la madre contrappone un'elevata
produzione di molecole immunomedulatorie a difesa del self e del feto. La poussée di
sHLA-G nell'immediato post-partum è la risultanza dello stress del travaglio e del parto
stesso ed accomuna sia i controlli che le diabetiche. Dalla stratificazione in funzione del
genotipo molecolare è emerso che il genotipo HLA-G ins/ins 14bp si associa, nelle
diabetiche, a più bassi livelli di sHLA-G sin dall'inizio della gravidanza confermando le
crescenti evidenze della letteratura, anche in campi diversi da quello gravidico, che
associano l'inserzione di 14bp nell'esone 8 del gene HLA-G ad una scarsa quantità di
prodotto solubile.
Finanziamenti: Il presente studio è stato finanziato dalla ricerca corrente N°08067511
della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia.
LA SCLEROSI MULTIPLA: GENERE E VARIABILI AMBIENTALI IN
RELAZIONE A POLIMORFISMI DI GENI DELLA NEUROINFIAMMAZIONE
G. Facchinetti1, C. Boiocchi2, D. Mandia2, C. Montomoli3, C. Monti3, O.
Ferraro3, R. Bergamaschi2, M. Cuccia1
1 Dipartimento di Biologia e Biotecnologie L. Spallanzani, Università di Pavia
2 IRCCS Istituto Nazionale C. Mondino
3 Dipartimento di Sanità Pubblica, Medicina Sperimentale e Forense, Sezione di
Biostatistica ed Epidemiologia Clinica, Università di Pavia

Obiettivi: La SM è una patologia neurodegenerativa a carattere infiammatorio e a
patogenesi autoimmune che colpisce il sistema nervoso centrale (SNC). Colpisce
le donne in rapporto pari a 2:1 rispetto agli uomini. Lo scopo del nostro lavoro è
stato quello di studiare polimorfismi di alcuni geni appartenenti alla classe III della
regione HLA (Human Leukocytes Antigens): RAGE, HSP70 e TNF in relazione al
genere e ai vari fattori di rischio per la SM, al fine di valutare se possano in
qualche modo influenzare la gravità della malattia. Sono stati presi in
considerazione i polimorfismi -374 T/A e -429 T/C del gene RAGE, +1267A/G del
gene HSP70-2 +2437 T/C del gene HSP70-Hom; -238 G/A,-307G/A e -857G/A
del gene TNF.
Metodi: sono stati raccolti 210 campioni di sangue venoso periferico di pazienti
affetti da SM provenienti dall' Istituto Nazionale C. Mondino, Pavia. I polimorfismi
sono stati poi analizzati mediante estrazione di DNA dalle cellule nucleate
recuperate e amplificazione tramite PCR-RFLP e RealTime PCR . Sono stati
inoltre raccolti e amplificati 548 controlli sani provenienti dal Centro Trasfusionale
dell'IRCCS Fondazione Policlinico San Matteo di Pavia, paragonabili per etnia età
e genere.
Il confronto tra la media della variabile di interesse: età, tempo di insorgenza della
sclerosi, EDSS (Expanded Disability Status Scale), MSSS (Multiple Sclerosis
Severity Scale) e vitamina D è stata effettuata attraverso un t-test. E' stata poi
effettuata una regressione univariata di Cox per valutare se i polimorfismi presi in
considerazione, potessero in qualche modo influenzare la gravità della malattia in
associazione ai fattori di rischio (genere, vitamina D, luce del sole ed età).
Risultati: di tutti campioni sono stati determinati gli allelei e i genotipi dei
polimorfismi studiati. Dal confronto tra la media della variabile di interesse: età,
tempo di insorgenza della sclerosi, EDSS, MSSS e vitamina D i nostri dati non
hanno evidenziato nessuna differenza statisticamente significativa tra maschi e
femmine. A questo punto siamo andati ad osservare se i livelli di vitamina D,
l'esposizione al sole, i vari polimorfismi dei geni di classe III, l'età e il genere
potessero in qualche modo influenzare la severità della SM. In particolare I nostri
dati non hanno evidenziato alcuna differenza statisticamente significativa per
quanto riguarda i polimorfismi e il genere, E' stata invece trovata una correlazione
statisticamente significativa tra vitamina D, luce del sole, età e malattia.
Conclusioni: i nostri risultati evidenziano che i polimorfismi esaminati e il genere
non sembrerebbero influenzare la gravità della SM, mentre è stata trovata una
correlazione negativa tra la vitamina D, la luce solare e la gravità della malattia e
un' associazione positiva tra l' età di insorgenza e la gravità della SM.

SINDROME CORONARICA ACUTA (SCA): STUDIO SULLE DIFFERENZE DI
GENERE

J. Daragjati1, U. Gallo2, R.M. Gaion1, A.M. Grion2
1Dipartimento di Scienze del Farmaco, Padova, 2Dipartimento Interaziendale per
l'Assistenza Farmaceutica-Azienda Ospedaliera - Azienda ULSS 16, Padova


Obiettivo: Scopo dello studio è stato quello di analizzare la presenza di eventuali
differenze di genere in pazienti ospedalizzati per SCA in relazione ai seguenti indicatori:
prevalenza di ricoveri per SCA, mortalità intra ed extraospedaliera, tipologia di interventi
di rivascolarizzazione, trattamento farmacologico alla dimissione e aderenza alla
terapia.
Metodi: sono stati estratti dalle schede di dimissione ospedaliera dell'anno 2008 tutti i
pazienti con età  18 anni residenti nell'ULSS 16 di Padova con diagnosi di SCA (codici
ICD-IX: 410, 411, 36.01, 36.02, 36.05, 36.06 e 428). Attraverso la banca dati della
"farmaceutica territoriale" e quella della "distribuzione diretta", per ciascun assistito,
sono stati rilevati tutti gli antiaggreganti (ATC= B01AC) prescritti successivamente
all'evento con un follow-up di 6 mesi. L'aderenza è stata calcolata utilizzando le DDD
(Defined Daily Doses).
Risultati: Nel corso dell'anno 2008, sono stati ricoverati per SCA 1.204 pazienti (760
uomini e 444 donne). La prevalenza dei ricoveri è stata significativamente superiore
negli uomini (3,26‰ ) rispetto alle donne (0,92‰) con OR = 1,7 95% IC 1,4-2,0. Nella
fascia di età 65-79 il 73,4% dei maschi ha subito un intervento di rivascolarizzazione
contro il 26,6% delle donne (OR=1,7 95% IC 1,2-2,5). Negli over 80, gli uomini sono
sempre maggiormente rivascolarizzati (71,2%M vs 28,8F OR=4,1 95% IC 2,2-7,6). Non
ci sono state differenze tra i giovani rivascolarizzati.
Il 28% delle donne non ha ricevuto, nel corso dei 6 mesi successivi la dimissione,
alcuna prescrizione di antiaggreganti, contro il 12,4% degli uomini (p<0.01). Tra i
pazienti non rivascolarizzati l'aspirina è risultato l'antiaggregante maggiormente
utilizzato nelle donne (35% uomini vs 36% donne OR=0,6 95% IC 0,4-0,9) mentre una
doppia antiaggregazione è stata osservata soprattutto nel sesso maschile (36% uomini
vs 20% donne OR=1,8 95% IC 1,2-2,7).
Per quanto riguarda l'aderenza alla terapia, i pazienti di sesso maschile sono stati, in
generale, più aderenti alla terapia limitatamente all'aspirina (92% M vs 82% F, OR = 2,4
IC 95% 1,2-4,6). L'analisi della mortalità successiva al ricovero, con un follow-up fino al
30/06/2012, ha evidenziato una maggior sopravvivenza tra gli uomini nella fascia 18-64
e  80 anni (p<0,05).
Conclusioni: I ricoveri correlati a SCA sono particolarmente frequenti nel sesso
maschile. In generale, gli uomini rispetto alle donne ricevono più frequentemente un
intervento di rivascolarizzazione e una terapia di associazione con farmaci
antiaggreganti. Al momento della dimissione, il numero delle donne che non riceve
alcuna terapia antiaggregante è risultato più elevato di quello degli uomini. L'analisi di
sopravvivenza ha mostrato una più elevata mortalità intraospedaliera nelle donne e una
prognosi migliore negli uomini in tutte le fasce di età tranne in quella tra i 65-79 anni
nella quale non si rileva alcuna differenza tra i due sessi.
Bibliografia di riferimento: Osservatorio ARNO sui farmaci cardiovascolari, Rapporto
2012, Volume XVIII.
DIFFERENZE DI GENERE NELLE SOGLIE ALGOGENE PRESSORIE DEI
MUSCOLI CRANIO-FACCIALI NELL'ANZIANO IN BUONO STATO DI SALUTE
M. De Rui1, C. Vangelista, M.L. Bartolucci2, E.M. Inelmen1, F. Bortolotti2, I.
Marini2, M.R.A. Gatto2, N. Veronese1, F. Bolzetta1, S. Carraro1, L. Berton1, E.
Manzato1, G. Sergi1
1 Dipartimento di Medicina-DIMED, Clinica Geriatrica, Università di Padova;
2 Dipartimento di Scienze Biomediche e
Neuromotorie, Divisione di
Ortognatodonzia, Università di Bologna
Obiettivi: L'importanza del problema "dolore" nell'età avanzata, e la percezione di una
più elevata prevalenza dei disturbi algogeni nelle donne rispetto agli uomini contrasta
con la scarsità di dati disponibili in letteratura al riguardo. Scopo dello studio era
misurare le soglie algogene pressorie (SAP) dei muscoli del distretto cervico-facciale in
un gruppo di anziani in buona salute di entrambi i sessi al fine di valutare eventuali
differenze di genere nella percezione del dolore in età geriatrica.
Metodi: Secondo un disegno trasversale sono stati studiati 97 anziani (63 donne e 34
uomini) free-living, autonomi nelle attività della vita quotidiana e senza decadimento
cognitivo. Criteri di esclusione: assunzione di farmaci interferenti con la percezione del
dolore o presenza di artro-miopatie. Tutti i soggetti sono stati sottoposti a valutazione
geriatrica multidimensionale, a visita gnatologica e a rilevazione delle SAP tramite
algometro di Fisher a livello di temporale (anteriore, medio e posteriore), massetere,
occipitale e splenius capitis, in entrambi i lati del volto.
Risultati: In tutti i muscoli esaminati le SAP registrate erano significativamente più
basse nelle donne rispetto agli uomini, in entrambi i lati del volto (p<0.01 per il temporale
posteriore, p<0.001 per tutti gli altri siti). In entrambi i sessi non emergevano differenze
significative nei valori di SAP tra i due lati (dx e sn). Inoltre, dividendo i soggetti di
ciascun genere in classi di età, non si osservavano differenze significative nei valori di
SAP.
Conclusioni: Nella donna anziana la percezione del dolore nei muscoli del distretto
cervico-facciale risulta più elevata rispetto all'uomo indipendentemente dall'età. Pertanto
si raccomanda maggiore attenzione nella rilevazione e nel trattamento del dolore
muscoloscheletrico in età geriatrica soprattutto nella donna.
Finanziamenti: Nessuno.
Bibliografia: Fillingim RB et al. Sex, gender, and pain: a review of recent clinical and
experimental findings. J Pain 2009; 10: 447-485.
Fischer AA. Pressure algometry over normal muscles. Standard values, validity and
reproducibility of pressure threshold. Pain 1987;30:115-26.
DIFFERENZE DI SESSO NELLA RISPOSTA FARMACOLOGICA AL
DOLORE NEUROPATICO: L'ACIDO ALFA LIPOICO E' MENO EFFICACE
NELLE FEMMINE DI RATTO

L. Di Cesare Mannelli, L. Micheli, M. Zanardelli, C. Ghelardini
Dip. Di Neuroscienze, Psicologia, Area del Farmaco e Salute del Bambino -
Neurofarba - Sezione di Farmacologia e Tossicologia, Università di Firenze,
Italia

Obiettivi:
L'evidenza clinica dimostra che le donne presentano con maggiore prevalenza
rispetto agli uomini di condizioni di dolore severo come cefalea, disordini dell'articolazione
temporomandibolare, sindrome del tunnel carpale, fibromialgia, osteoartrite e malattie
autoimmuni correlate al dolore. In generale le donne sono più facilmente soggette a
condizioni di dolore cronico. Inoltre sono crescenti le evidenze di differenze dipendenti dal
sesso sia nella sensibilità al dolore sia nella risposta agli analgesici. Gli ormoni sessuali,
insieme a fattori psicologici e sociali possono influenzare la sensibilità al dolore. In
aggiunta, l'attività del citocromo P450 è maggiore nelle donne suggerendo un
metabolismo dei farmaci accelerato.
Fra i diversi tipi di neuropatia, le lesioni compressive e traumatiche ai nervi periferici sono
tra le principali cause di dolore cronico. La compressione del nervo induce processi
ossidativi, infiammatori e ischemici che sono responsabili del danno alla fibra nervosa e,
clinicamente, del dolore neuropatico. L'acido alfa lipoico (ALA) è un antiossidante
endogeno grandemente impiegato nel trattamento del dolore cronico proprio per le sue
capacità di protezione nei confronti delle alterazioni strutturali del tessuto nervoso che
sono alla base delle neuropatie. Con l'intento di valutare eventuali diversità di risposta a
ALA in funzione del sesso, nel presente studio sono stati comparati gli effetti indotti da un
trattamento intraperitoneale ripetuto quotidianamente con ALA 40 mg kg-1 in ratti maschi e
femmine sottoposti a legatura lassa del nervo sciatico (CCI).
Metodi e risultati: Il 14° giorno dopo l'intervento, il dolore è stato valutato come
incremento della risposta a stimoli soprasoglia (misura correlate all'iperalgesia; Paw
pressure test) o come un decremento della soglia al dolore (misura correlata all'allodinia;
Von Frey test). ALA è stato in grado di ridurre il dolore indotto da CCI mostrando una
maggiore efficacia nei maschi rispetto alle femmine sia come effetto antiperalgesico che
come effetto antiallodinico. Nonostante questo, l'effetto di ALA sulle femmine ha raggiunto
la significatività, nelle ratte non è stata riscontrata però efficacia nel migliorare le
alterazioni posturali (Incapacitance test) e motorie (Animex test). L'effetto antiossidante di
ALA, valutato come lipoperossidazione plasmatica misurando i livelli di sostanze reattive
all'acido barbiturico, è risultato comparabile in entrambi i sessi. L'analisi morfologica del
nervo sciatico ha però rivelato una maggiore efficacia protettiva estrinsecata da ALA nei
maschi. ALA ha prevenuto la riduzione del diametro assonale, dello spessore della mielina
e del numero di fibre dimostrando una maggiore azione neuroprotettiva nei maschi rispetto
alla femmine. Nelle femmine il trattamento con ALA non ha prevenuto in maniera
significativa la formazione di edema e l'infiltrato infiammatorio in sede di danno nervoso.
Conclusioni: ALA presenta minore efficacia come analgesico e agente neuroprotettivo
nelle ratte femmine rispetto ai soggetti maschi. Questi dati mettono in luce differenze
correlate al sesso nella farmacologia del dolore e nei meccanismi di conservazione del
tessuto nervoso. Una corretta valutazione della mancanza di omogeneità tra i generi
assurge quindi a indagine rilevante al fine di individualizzare la terapia antalgica e
ottimizzare il sollievo dal dolore.
IL GENERE COME FATTORE PROGNOSTICO IN REUMATOLOGIA:
RISPOSTA CLINICA AI FARMACI ANTI-TNF
M. Di Franco*, C. Iannuccelli*, A. Gattamelata*, A.C. Di Lollo*, F.R. Spinelli*,
A. Vestri**, G. Valesini*

* Reumatologia, Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche
**Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive
Sapienza-Università di Roma
Obiettivi: L'Artrite Reumatoide(AR)è una malattia infiammatoria cronica autoimmune
con prevalenza di 0.5-1%,rapporto donne:uomini di 4:1 e picco d'incidenza tra i 40 e i 60
anni.Il decorso della malattia comporta un danno articolare irreversibile e l'insorgenza di
comorbidità che riducono aspettativa e qualità di vita.Grazie alle conoscenze
patogenetiche,alle capacità diagnostiche e alla disponibilità di nuovi farmaci,tra cui i
biotecnologici,è possibile indurre la remissione clinica,migliorare la qualità di vita e
limitare la disabilità.La variabilità nella risposta clinica al trattamento suggerisce la
necessità di marcatori prognostici per migliorare gli outcomes.Alcuni fattori correlati alla
malattia(autoanticorpi,fattori genetici),ma anche età,sesso,condizioni socio-economiche
e stile di vita ne influenzano la prognosi.La differenza di genere riguarda sia la
suscettibilità alla malattia,che il suo decorso.L'attività di malattia è maggiore nelle donne
rispetto agli uomini e il sesso femminile è predittivo di prognosi peggiore e minore
risposta al trattamento.Scopo dello studio è stato indagare l'influenza del genere nella
risposta a 3 e 6 mesi in pazienti affetti da AR trattati con famaci antiTNF.
Metodi:Tra il 2007 e il 2011,sono stati arruolati 94 pazienti affetti da AR:69 donne(età
media 55.2 anni,range 20-83 anni)e 25 uomini(età media 60 anni,range 38-83
anni),naïve a trattamento con farmaci biologici,afferenti all'Ambulatorio dedicato ai
Farmaci Biologici,Reumatologia,Sapienza,Università di Roma.In tutti i pazienti sono stati
valutati al basale(T0),3(T3)e 6(T6)mesi dall'inizio del trattamento con antiTNF
(adalimumab 40mg sc/2 sett o etanercept 50mg sc/sett):numero di articolazioni dolenti e
tumefatte,indici clinimetrici(DAS28,CDAI,SDAI,HAQ,VAS dolore,VAS attività di malattia
del paziente e del medico)e di laboratorio(VES,PCR,Fattore Reumatoide,anticorpi anti
peptidi ciclici citrullinati-ACPA).
Risultati:Dei pazienti arruolati,80 hanno assunto etanercept(58 donne;22 uomini)e 14
adalimumab(11 donne;3 uomini).Dopo 3 mesi,il DAS28 si è ridotto in maniera
statisticamente significativa,ed è rimasto stabile a T6,negli uomini e nelle
donne;tuttavia,queste ultime hanno mostrato livelli di DAS28 significativamente più alti
rispetto agli uomini a T0,a T3 e a T6.Inoltre le donne presentavano un maggior numero
di articolazioni dolenti e tumefatte e una maggiore positività degli ACPA a T0,un
maggior numero di articolazioni dolenti e valori di CDAI più alti a T3 e un maggior
numero di articolazioni dolenti e tumefatte,valori di CDAI e di VAS globale del paziente a
T6(p<0.05).L'analisi multivariata ha evidenziato come unica variabile associata ad una
differenza significativa del DAS28 a T0,T3,T6 il sesso femminile.
Conclusioni:E' noto come le donne siano maggiormente suscettibili allo sviluppo di
malattie autoimmuni tra cui l'AR.Questo lavoro evidenzia come la differenza di genere
configuri una malattia più severa nelle donne,potendo conseguentemente determinare
una
ragione,probabilmente multifattoriale,di questo comportamento è a tutt'oggi sconosciuta e sarà oggetto di ulteriori ricerche. ANALISI DELLE DIFFERENZE DI GENERE ED OUTCOME IN PAZIENTI
CON MALATTIA CORONARICA INSERITI IN UN PROGRAMMA DI
CARDIOLOGIA RIABILITATIVA AMBULATORIALE
S. Doimo1, P. Maras1, K. Salame1, A. Della Mattia1, G. Sinagra1
1Dipartimento Cardiovascolare, Azienda Ospedaliero – Universitaria
"Ospedali Riuniti", Trieste

Obiettivi: Tutti i pazienti dimessi dal Dipartimento Cardiovascolare di Trieste dopo
sindrome coronarica acuta (SCA) STEMI/NSTEMI, procedura di rivascolarizzazione
percutanea elettiva (PTCA) o by pass aorto- coronarico con o senza chirurgia
valvolare (CABG/CABGV), sono stati segnalati alla Cardiologia Riabilitativa (CR)
Ambulatoriale ed inseriti in un registro. Scopo di questo studio è descrivere le
differenze di genere e l'outcome ad un anno, nei pazienti che hanno completato il
programma riabilitativo.
Metodi: Dal 1 gennaio 2009 al 30 aprile 2010, 520 pazienti consecutivi sono stati
riferiti alla CR. Il protocollo prevedeva la presa in carico precoce dopo la
dimissione: entro 2 settimane per STEMI e CABG, entro 4 settimane per NSTEMI e
PTCA. I pazienti NSTEMI o PTCA sono stati seguiti con controlli clinico- strumentali
sino al raggiungimento dei target terapeutici e clinici indicati dagli statement
internazionali, mentre i pazienti STEMI e CABG sono stati inviati anche ad un
programma di attività fisica (cyclette e palestra) per 10- 12 settimane. Tutti i
pazienti hanno usufruito di un counseling psicologico, nutrizionale e per
l'interruzione del fumo.
Risultati: La popolazione era costituita da 349 maschi (M) (66±10 anni) e da 171
femmine (F) (70± 11 anni).106 pazienti avevano già avuto una pregressa SCA
(22% M vs 17% F), il 20% era in classe NYHA II-III (19%M vs 22%F), il 33% (
35,6%M vs 27,5%F) erano diabetici (p= 0,04), 76,5% (75% M vs 80% F) erano
ipertesi. Alla fine del percorso, il profilo lipidico e glucidico, (rispettivamente in M e
F), era il seguente: LDLc 84±29 vs 91±27 (p=0,019), HDL 45±11 vs 51±10 mg/dl
(p= 0,000), l' HbA1c media nei pazienti diabetici era 6,3±1,2 vs 6,2±0,7%; 35,5% M
vs 30% F (p= 0,000) ha smesso di fumare, i valori pressori sistolici medi erano
136±18 (M) vs 136±19 (F) mmHg. All'analisi multivariata sia negli uomini che nelle
donne la pressione arteriosa sistolica è risultata un fattore di rischio indipendente di
eventi cardiovascolari [ M (p= 0,0021), F (p= 0,041)]. Ad un anno di follow up, dal
termine del programma riabilitativo (PR), 11 pazienti (2,3%) sono stati ricoverati per
una nuova SCA [ 8 M (2,4%), 3 F (2%)].In tutta la popolazione si sono verificati 21
decessi [10 M (3%), 11 F (6,6%)], 6 (1,2%) per cause cardiovascolari [ 3 M (0,9%),
3 F (1,8%)]. Il PR è stato interrotto da 6 pazienti [ 4 M (1,14%), 2 F (1,16%)].
Conclusioni: Lo studio evidenzia la fattibilità del PR in entrambi i generi anche se il
gruppo femminile risulta più anziano e con maggiori comorbidità. Al termine del
programma riabilitativo in entrambi i gruppi si è ottenuta la stabilità clinica e sono
stati raggiunti i livelli di prevenzione secondaria raccomandati dalle linee guida. Nei
maschi si è verificata una maggiore ricorrenza di nuove SCA, mentre le donne
hanno avuto un maggior numero di decessi per cause cardiovascolari.

ELETTROFISIOLOGIA CARDIOLOGICA E MEDICINA DI GENERE:
PERCEZIONE E PRATICA CLINICA NELL' UTILIZZO DEI DEFIBRILLATORI
PER LA TERAPIA DI RISINCRONIZZAZIONE CARDIACA (CRT-D)
A. Gelera1, A. Addesso1, G. Cussotto2
1 Dipartimento di Health Economics & Public Affairs, Boston Scientific S.p.A.;
2 MAYA Idee

Obiettivi: tracciare e descrivere i diversi modelli di approccio del cardiologo clinico, del
cardiologo elettrofisiologo e del decisore di spesa (farmacista SSN), la loro sensibilità e
percezione sulle ricadute della medicina di genere (gender medicine, GM)
nell'applicazione di protocolli di intervento nell'utilizzo di defibrillatori semplici (ICD) e con
funzione di risincronizzazione (CRT-D), in pazienti con scompenso moderato-severo.
Metodi: ricerca qualitativa di percezione (Health Perception Analysis), realizzata tra aprile
e giugno 2012, attraverso la somministrazione di questionari face-to-face (50%) o
telefonici (50%), con domande a risposta multipla e domande aperte di approfondimento.
L'analisi ha visto coinvolti 53 esperti, di cui 22 cardiologi clinici (42%), 13 elettrofisiologi
(20%) e 18 decisori di spesa (33%), dislocati per metà nel Nord Italia e per la restante
parte nel Centro-Sud Italia. La ricerca si è articolata su tre aree tematiche: valutazione
delle conoscenze percepite sulla GM; GM e utilizzo di ICD e CRT-D; GM e criteri di
scelta.
Risultati: le definizioni maggiormente pertinenti di GM vengono correttamente identificate
dai soggetti intervistati. La conoscenza "tecnica" della tematica risulta in rapida
affermazione nel nostro Paese, sia tra i clinici che tra i decisori non clinici. Nonostante
ciò, in merito alla questione diretta dei criteri di scelta della terapia CRT-D, l'elemento
"genere" si annulla di fronte ai classici parametri di scelta. Gli elettrofisiologi si
distinguono, in particolar modo, per un disinteresse maggiore per il genere come criterio
di scelta. La GM viene riconosciuta come una disciplina fondamentale per migliorare la
personalizzazione delle cure, tuttavia, le applicazioni riguardano principalmente l'area del
farmaco, in termini di studi clinici e impiego, e meno quella dei dispositivi. Inoltre, la
conoscenza "universale", da parte di tutti gli intervistati, dello studio MADIT-CRT (studio
multicentrico su impianti di defibrillatori automatici con terapia di risincronizzazione
cardiaca) conferma il gap esistente tra awareness e pratica clinica nell'uso di terapie
personalizzate.
Conclusioni: la ricerca documenta un fenomeno tipicamente caratterizzante le nuove
discipline: l'interesse generale e speculativo, in molti casi assai sentito, e l'investimento di
risorse per conoscere e valutare il fenomeno, non sono sufficienti a tradurre le nuove
conoscenze in progresso della pratica clinica.
Finanziamenti: Boston Scientific S.p.A.
Bibliografia: Moss AJ,et al. Cardiac-resynchronization therapy for the prevention of
heart-failure events.NEJM2009;361:1329-38. Arshad A, et al. Cardiac resynchronization
therapy is more effective in women than in men. JACC 2011;57:813-20.
ICTUS E STRESS OSSIDATIVO IN UOMINI E DONNE
L. Nanetti1, F. Raffaelli1, A. Giulietti1, A. Alidori1, C. Perozzi2, M. Silvestrini2,
L. Provinciali2, A. Vignini1, L. Mazzanti1

1Dipartimento di Scienze Cliniche Specialistiche ed Odontostomatologiche, e 2Dipartimento di Scienze Cliniche e Sperimentali, Università Politecnica delle Marche
Obiettivi:L'ictus è una sindrome causata da molteplici fattori, con interruzione del flusso
sanguigno cerebrale e con conseguente danno tissutale, ed è la terza causa di morte e
la principale causa di disabilità negli adulti.
L'incidenza, la mortalità e gli esiti dell'ictus sono significativamente differenti tra uomini e
donne. Lo stress ossidativo è probabilmente uno dei meccanismi coinvolti nel danno
neuronale indotto da ischemia e riperfusione, e l'attività antiossidante del plasma può
essere un fattore importante per fornire protezione da danni neurologici causati da
stress ossidativo ictus-associata.
Lo scopo di questo studio è stato quello di indagare lo stato di stress ossidativo, i livelli
di ossido nitrico (NO) e perossinitrito (ONOO-) in 20 donne e 20 uomini colpiti da ictus
ischemico (T0). Le stesse determinazioni sono state ripetute dopo un mese (T1) e sono
state correlate le relative modifiche con l'evoluzione clinica.
Metodi: le piastrine dei soggetti sono isolate al momento del prelievo e stoccate a -
80°C fino al loro utilizzo. I livelli di NO sono testati tramite il kit Assay Designs™ Total
Nitric Oxide Assay Kit e la produzione di ONOO- è valutata con il kit della Cell
Technology.
Risultati: I livelli piastrinici di NO nelle donne risultano significativamente più alti rispetto
a quelli degli uomini al tempo del ricovero (T0) e dopo un mese (T1). Inoltre i livelli di
perossinitrito sono più bassi nelle donne rispetto agli uomini sia T0 e T1.
Anche l'indice di insorgenza della malattia NIH risulta significativamente (p<0.001) più
bassa nelle donne che negli uomini ed è anche più basso dopo un mese
dall'insorgenza dell'ictus. Questi dati preliminari possono indicare che le donne sono più
protette da eventi ischemici. Questa protezione può dipendere da più elevati livelli di NO
è che dopo un mese dall'attacco insorgenza ischemico. Inoltre le donne mostrano livelli
più bassi di perossinitrito e questo può evidenziare una maggiore protezione dallo stress
ossidativo. Questo dato è rafforzato dal fatto che l'indice NIH risulta più basso nelle
donne rispetto agli uomini sia al tempo T0 che al tempo T1.
Conclusione: Questi dati dimostrano che le donne potrebbero avere una migliore
qualità della vita e di recupero dopo l'evento ischemico. Sono necessari ulteriori studi
per comprendere come i cambiamenti nella formazione di radicali liberi e la
conseguente insorgenza di stress ossidativo possano avere un ruolo nella patogenesi di
lesioni ischemiche acute. Inoltre dovrebbe essere studiato come l'attivazione dei
meccanismi di difesa possano essere coinvolti nella limitazione della progressione del
danno ischemico.
Finanziamenti: RSA del Prof. Mauro Silvestrini.

IMPATTO DEL GENERE SULLA FUNZIONALITÀ PIASTRINICA IN PAZIENTI
AFFETTI DALLA MALATTIA DI ALZHEIMER
A. Giulietti1, L. Nanetti1, F. Raffaelli1, F. Borroni1, L. Provinciali2, A. Vignini1,
L. Mazzanti1
1Dipartimento di Scienze Cliniche, Specialistiche ed Odontostomatologiche, e
2Dipartimento di Scienze Cliniche e Molecolari-Università Politecnica delle Marche

Obiettivi: il ruolo importante dello stress ossidativo nella patogenesi della malattia di
Alzheimer è ampiamente dimostrato in letteratura. Inoltre, risultati di recenti studi
indicano che il meccanismo eziopatogenetico dell'Alzheimer (AD) differisce in maniera
significativa nei due sessi. Lo scopo del presente lavoro è stato quello di valutare il ruolo
dell'ossido nitrico (NO) e del perossinitrito (ONOO-) in piastrine di pazienti AD e controlli
sani (maschi e femmine), e studiarne la correlazione con la concentrazione intracellulare
di Ca2+, la fluidità di membrana e l'attività della pompa Na+/K+-ATPasi, per ricercare
una eventuale differenza di funzionalità piastrinica tra i due sessi.
Metodi: le piastrine sono state isolate al momento del prelievo e stoccate a -80°C fino al
loro utilizzo. Sulle piastrine sono stati valutati: livelli di NO tramite il kit Assay Designs™
Total Nitric Oxide Assay Kit, la produzione di ONOO- con la sonda fluorescente DCFH-
DA, e la concentrazione intracellulare di Ca2+ [Ca2+]i mediante la sonda fluorescente
Fura-2AM. Le membrane piastriniche sono state ottenute mediante centrifugazione e
sonicazione. Su di queste sono stati valutati: l'attività della pompa Na+/K+-ATPasi in
accordo con il metodo Kitao e Hattori, 1983, e la fluidità di membrana, determinata
come anisotropia delle due sonde fluorescenti TMA-DPH e DPH.
Risultati: la produzione di NO è significativamente elevata nelle piastrine di entrambe i
sessi rispetto ai controlli. I maschi AD mostrano una produzione di NO
significativamente più alta delle femmine AD. La stessa differenza tra i due sessi è
presente nel gruppo controllo. Un andamento simile è stato visto per il ONOO-. Per
quanto riguarda la [Ca2+]i, sia i maschi che le femmine AD hanno valori
significativamente più elevati dei controlli, mentre l'attività della Na+/K+-ATPasi mostra
un andamento opposto ma pur sempre significativo. Infine, la fluidità di membrana è più
bassa nei pazienti AD rispetto ai controlli, sia a livello interno che superficiale. Tuttavia,
in superficie, non c'è differenza di fluidità tra i due sessi. Le femmine sia AD che sane
hanno inoltre una migliore fluidità di membrana rispetto ai maschi.
Conclusioni: i risultati del presente studio mostrano come i maschi abbiano una
maggior compromissione piastrinica rispetto alle femmine. I dati presenti danno
supporto all'ipotesi che terapie basate sulla differenza di genere potrebbero essere
utilizzate anche per la malattia di Alzheimer. Inoltre, le piastrine potrebbero essere un
modello utile e non invasivo per facilitare la diagnosi precoce della malattia, insieme agli
altri test già presenti sul sangue disponibili ai clinici come misura del fattore di rischio
per la patologia.
Finanziamenti: RSA, Università Politecnica delle Marche.

IL GENDER NELLA CHIRURGIA DI PARETE


D.P. Greco1, F. Sanfilippo1, C. Ferrari2, P. Pradella2, C. Magistro2,
C. L. Bertoglio2, P. De Martini2

1S.S.D. Day Surgery Centralizzata Ospedale Niguarda Cà Granda Milano;2 S.C.
Chirurgia Generale Oncologica e Mininvasiva Ospedale Niguarda Cà' Granda
Milano

Obiettivi: Nella nostra azienda ogni anno vengono trattati in regime di elezione o di
urgenza circa 900 casi. L'obiettivo dello studio è di illustrare le policy ed i presupposti di
evidenze cliniche che hanno portato a creare un algoritmo specifico nel merito.
Metodi: applicazione di un algoritmo, nato dalle evidenze e dall'esperienza di un gruppo
specificamente dedicato alla chirurgia di parete, che supporta il chirurgo nella
pianificazione della scelta chirurgica. Acquisizione di un consenso informato frutto di una
interfaccia comunicativa che consente al paziente di collaborare nella tailorizzazione
della tecnica chirurgica sia sulla base delle evidenze derivanti dalla letteratura chirurgica
sia sulla base di una interpretazione di genere della pianificazione chirurgica
Risultati: i risultati di queste policy, pur tenendo in considerazione le differenze di
genere hanno consentito di avere il medesimo out come clinico di una chirurgia
standard.
Conclusioni: Dal punto di vista chirurgico, sia in ambito della chirurgia ortopedica, sia in
cardiochirurgia sono stati effettuati degli studi che mettono a confronto l'outcome post-
operatorio tra uomo e donna e nel campo dei trapianti il rigetto.
Anche per quanto riguarda la chirurgia di parete si possono evidenziare delle differenze
di genere che possono essere modificate dall'evoluzione dei modelli sociali degli
individui.
Ne è un esempio lo sviluppo dell' epidemiologia dell'ernia inguinale femminile nel corso
di questi anni. Tutta la chirurgia di parete pone la necessità di tailorizzare la
pianificazione e la tipologia dell'intervento al genere tenendo presente inoltre che la
donna presentando differenti periodi della vita, età fertile e post-fertile, necessitano un
approccio differente. Tenendo presente che gli standard ormai raggiunti dalla chirurgia
parietale sono alti la possibilità di introdurre nella tailorizzazione della pianificazione
chirurgica degli input di genere, mantenedo tali standard, crea sicuramente un alto
valore aggiunto
Bibliografia: Influence of sex on the outcome of autologous chondrocyte implantation in
chondral defects of the knee. Kreuz PC, Müller S, von Keudell A, Tischer T, Kaps C,
Niemeyer P, Erggelet C. Am J Sports Med. 2013 Jul; Different impact of sex on baseline
characteristics and major periprocedural outcomes of transcatheter and surgical aortic
valve interventions: Results of the multicenter Italian OBSERVANT Registry. Onorati F,
D'Errigo P, Barbanti M, Rosato S, Covello RD, Maraschini A, Ranucci M, Santoro G. J
Thorac Cardiovasc Surg. 2013 Jul 13.
RADIOTERAPIA E GENERE: QUALITA' DI VITA NEL TUMORE DEL COLON
RETTO
E. Groff, A. Tisato, M. Pignataro, F. Pellegrino, M. L. Friso, G. Sotti
U.O. Radioterapia e Medicina Nucleare IOV - Istituto Oncologico Veneto –
Padova
Obiettivi: Rilevare differenze di genere nella qualità della vita (QdV) in pazienti radio-
trattati per neoplasie del colon-retto. Le aree indagate sono: Qualità di vita post
trattamento radioterapico, Immagine corporea, Ansia. Evidenziate eventuali differenze,
personalizzare l'assistenza terapeutica e ridurre le complicanze da radioterapia.
Metodi: Pazienti valutati durante le visite di follow up presso l'U.O. di Radioterapia e
Medicina Nucleare dello I.O.V. (Istituto Oncologico Veneto - Padova). Campione: 48
soggetti (28 M ; 20 F) studiati dal 01/01/2013 al 31/05/2013. Età media M:64 F:59, range
47 – 81.I pazienti compilavano i seguenti questionari:Qualità di vita: EORTC QLQ-
C30,EORTC-QLQ CR 29. Immagine corporea: Body Image Scale Ansia: STAI –Y
Risultati: I risultati non riportano differenze statisticamente significative in nessuna delle
dimensioni investigate: non vi sono differenze di genere nella qualità di vita, né nella
percezione dell'immagine corporea. In quest'ultima le donne riportano però una media di
punteggi minore rispetto agli uomini, ciò potrebbe significare che le donne risentono
meno della malattia nella percezione corporea, rispetto agli uomini. Per quanto riguarda
l'ansia, uomini e donne sembrano avere una simile ansia di stato (ansia legata al
momento) e un'uguale ansia di tratto (l'ansia come tratto di carattere). Questi dati
saranno confermati o invalidati con il proseguo delle studio.
Conclusioni: Questi risultati suggeriscono che donne e uomini affetti da patologie del
colon retto, in fase di follow up, hanno modalità simili di vissuto rispetto alla
malattia,nelle seguenti dimensioni: qualità di vita, percezione corporea e ansia. La
Medicina di Genere associata alla Radioterapia contribuisce in questo studio a
confermare come adeguati percorsi terapeutici siano decisivi per offrire un'assistenza
personalizzata, che permetta di livellare il modo con cui uomini e donne rispondono al
trattamento radiante.
Bibliografia: 1.Bottomley A, Sanderson Scott S, Vanvoorden V, Fayers P and Greimel
E on behalf of the EORTC Quality of Life Unit and the EORTC Quality of Life Group.
‘The EORTC QLQ-C30 manuals, reference values and bibliography'. Brussels, 2003.
2.Whistance R.N, et al. ‘Clinical and psychometric validation of the EORTC QLQ-CR29
questionnaire module to assess health-related quality of life in patients with colorectal
cancer', on behalf of the European Organisation for the Research and Treatment of
Cancer (EORTC) Quality of Life Group. European Journal of Cancer 45 (2009) 3017–
3026
3.Hopwood P. et al. ‘A body image scale for use with cancer patients' European Journal
of Cancer 37 (2001) 189-197
4.Spielberger, C.D., Gorssuch, R.L., Lushene, P.R., Vagg, P.R., & Jacobs, G.A (1983).
Manual for the State-Trait Anxiety Inventory. Consulting Psychologists Press, Inc.
TIROIDITE AUTOIMMUNE IN IRIDOLOGIA E LE DIFFERENZE DI GENERE
(costituzione, disposizione e diatesi, orlo pupillare interno ed embriologia)

D. Lo Rito
ASL 13 Mirano-Dolo (VE)
Obiettivi: valutare 1) la presenza di un segno iri deo localizzato a livello dei loci di riferimento
iridologico per la ghiandola tiroidea, in relazione con la diagnosi di tiroidite autoimmune ed in
rapporto alla differenza di Genere; 2) la correlazione tra l'organo, la patologia e la
costituzione iridologica, la disposizione e la diatesi;
Metodi: è stata condotta una ricerca osservazionale e monocentrica. Sono stati analizzati i
pazienti con diagnosi di tiroidite autoimmune, iscritti presso lo studio di Medicina Generale
del Dr. Daniele Lo Rito. Il campione selezionato è costituito da 108 soggetti, di cui 36 affetti
dalla malattia di Hashimoto (casi di cui: 29 donne e 7 uomini, età media 49,7±15.0) e 72
controlli (di cui: 36 donne e 36 uomini, eta media 49.5±16.6). Per la tiroidite autoimmune
sono stati individuati i seguenti loci iridologici: orlo pupillare interno (OPI), spazio 7; area
embriologica tiroidea, area 15; area ciliare classica della tiroide; spaziorischio del limbus,
area 7; area sclerale classica della tiroide.
Risultati: per le disposizioni iridologiche abbiamo una leggera diffusione, tra i casi, della
disposizione vegetativo-spastica. Per l'Orlo Pupillare Interno si evidenzia una differenza
statisticamente significativa nello spazio 7 (con p<0.01). Nella popolazione femminile, sono
state riscontrate differenze statisticamente significative per le aree nasali sinistra e destra.
Per la popolazione maschile è stata evidenziata una sola differenza statisticamente
significativa per l'area nasale destra. Per l'area embriologica 15: nella popolazione femminile,
l'analisi statistica mostra un p<0.01 in corrispondenza dell'iride di destra e un p<0.05 in
corrispondenza dell'iride di sinistra.
Conclusioni: Nello studio sulle costituzioni, disposizioni e diatesi il dato predominante
individua una disposizione vegetativo-spastica. Per l'OPI (orlo pupillare interno) nelle donne il
valore predominante (p<0.01) è rilevato per l'area nasale destra e sinistra. Per l'area
embriologica il dato più significativo riguarda l'occhio di destra (p< 0.01) e di sinistra (p<
0.05).
Bibliografia: Lo Rito D (1998) Lo spaziorischio Ed. Xenia;Lo Rito D (2001) Embriologia in
iridologia;
Lo Rito D et al (2002) Iridologia di base Ed. Xenia; Lo Rito D (2010) Lo
spaziorischio in sclerologia; Mehlmauer L(2002) Sclerology.

TIROIDITE AUTOIMMUNE IN IRIDOLOGIA E LE DIFFERENZE DI GENERE
(limbus, area ciliare e sclerale, logit 1 e 2, influenza della linea familiare)
D. Lo Rito
ASL 13 Mirano-Dolo (VE)
Obiettivi: valutare: 1) la presenza di un segno irideo localizzato a livello dei loci di riferimento
iridologico per la ghiandola tiroidea: limbus,area sclerale e area ciliare 2) La correlazione tra
la lateralità del segno e la familiarità, l'asse ereditario.
Metodi: è stata condotta una ricerca osservazionale e monocentrica. Sono stati analizzati i
pazienti con diagnosi di tiroidite autoimmune, iscritti presso lo studio di Medicina Generale
del Dr. Daniele Lo Rito (Oriago di Mira – Ve). Il campione selezionato è costituito da 108
soggetti, di cui 36 affetti dalla malattia di Hashimoto (casi di cui: 29 donne e 7 uomini, età
media 49.7±15.0) e 72 controlli (36 donne e 36 uomini), età media (49.5±16,6).
Risultati:
per il Limbus è evidente una differenza significativa nello spazio 7 dell'area nasale
dx e sn nelle donne (p<0.01). Per l'area sclerale dx, nella popolazione femminile, l'analisi
statistica mostra un p<0.01. Per il logit-1:un paziente che presenta un segno nell'orlo
pupillare interno e nella sclera la verosimiglianza di malattia è di circa il 33%; con la presenza
un segno in tutte e tre le aree è di circa il 97%. Per il logit-2 la presenza di due segni alza la
verosimiglianza di malattia al 90%. Per l'influenza della linea familiare: sull'OPI la linea
materna vs. paterna mostra p<0.05, mentre la linea della nonna materna vs nonno paterno
presenta p<0.01; lo stesso per il LIMBUS.
Conclusioni: i dati più significativi sono relativi al Limbus (sede nasale) con un (p<0.01)
nelle donne per l'area nasale destra e sinistra; per la sclera il dato del (p<0.01) riguarda
l'iride di destra delle donne (vs uomini). Con il modello di regressione logistica 1 si è
dimostrato che la verosimiglianza di avere la tiroidite autoimmune aumenta con il riscontro di un maggior numero positivo dei segni su vari loci iridologici. Con il modello di regressione logistica 2 si è dimostrato lo stesso principio della regressione logistica 1, avallando la tesi della iridologia multi-dimensionale che ci indirizzerà verso il concetto della rete biologica. Per la differenza di genere predomina l'informazione sulla linea materna rispetto alla paterna e soprattutto della linea della nonna materna sulla paterna sia per l'OPI che per il LIMBUS (p<0.01), a dimostrazione che la differenza di genere (femminile) è presente nella tiroidite autoimmune. DIFFERENZE DI GENERE NELLA CARDIOMIOPATIA DILATATIVA
IDIOPATICA
C. Lutman, L. Vitali Serdoz, G. Barbati, E. Cadamuro, S. Magnani,
M. Zecchin, M. Merlo, G. Sinagra
Dipartimento Cardiovascolare e Scuola di Specializzazione in Malattie
Apparato Cardiovascolare,
Azienda Ospedaliero-Universitaria, Ospedali Riuniti, Trieste

Obiettivi: sebbene sia noto che le differenze di genere possono influenzare la
presentazione, l'evoluzione clinica, i percorsi diagnostici e la prognosi dei pazienti
con patologie cardiovascolari, attualmente vi sono pochi dati sul loro ruolo nella
cardiomiopatia dilatativa idiopatica (CDI).
Lo scopo di questo studio è valutare possibili differenze cliniche, strumentali e
prognostiche tra uomini e donne con CDI.
Metodi: 803 pazienti con CDI arruolati consecutivamente nel Registro delle
Malattie del Muscolo Cardiaco di Trieste dal 1988 al 2012 sono stati inclusi nello
studio; 576 (72%) erano uomini e 227 (28%) erano donne.
Risultati: all'arruolamento le donne risultavano avere un'età più avanzata (48 vs
45 anni, p 0,008); 62 (28%) donne e 134 (23%) uomini erano in classe funzionale
NYHA III-IV (p 0,226).
Le donne presentavano un maggior diametro telediastolico indicizzato (36 vs 34
mm/m2, p<0,001), più spesso blocco di branca sinistro (38% vs 28%, p0,01) e
insufficienza mitralica significativa (43% vs 33%, p0,015) rispetto agli uomini.
Non sono risultate differenze statisticamente significative per quanto riguarda la
terapia medica e l'uso di device impiantabili.
Sebbene durante i 120 mesi di follow-up gli uomini siano andati incontro ad un
maggior miglioramento clinico ed ecocardiografico rispetto alle donne, la
mortalità totale/trapianto cardiaco e la mortalità per cause cardiovascolari a 10
anni sono risultate significativamente minori nelle donne rispetto agli uomini:
rispettivamente 20% vs 32% (p0,001) e 9% vs 15% (p0,024).
Conclusioni: nella nostra esperienza, sebbene le donne con CDI si presentino
in una fase più avanzata di malattia e dimostrino un minor miglioramento clinico-
strumentale in terapia medica ottimizzata rispetto agli uomini, risultano avere una
migliore prognosi a lungo termine.
Finanziamenti no.
Bibliografia De Maria R, Gavazzi a, recalcati F et al. Comparison of clinical
findings in idiophatic dilated cardiomyopathy in women versus men Am J Cardiol
1993;72:580-585
Fairweather D, Cooper L T, Blauwet L. Sex and gender differences in myocarditis
and dilated cardiomyopathy Curr Probl Cardiol 2013;38:7-46.
DONNE PORTATRICI DI DEFIBRILLATORE:
ESISTE UNA DIFFERENZA DELL'OUTCOME?
C. Lutman, S. Magnani, L. Vitali, M. Zecchin, G. Sinagra
S.C. Cardiologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti di Trieste
Obiettivi: in letteratura è stata riscontrata una differenza significativa tra la percentuale
di uomini e donne impiantati con defibrillatori (ICD). L'obiettivo dello studio è stato
valutare le differente cliniche e strumentali al momento dell'impianto di ICD, analizzare
la frequenza delle complicanze e l'outcome tra uomini e donne, separatamente nei
pazienti con e senza cardiopatia ischemica.
Metodi:sono stati arruolati tutti i pazienti sottoposti ad impianto di ICD in accordo con le
Linee Guida vigenti al momento dell'impianto dal 01/01/2000 al 31/06/2012. I controlli
clinici e strumentali sono stati eseguiti a 6 e 12 mesi dal momento dell'impianto o e
successivamente annualmente con visite aggiuntive in caso di necessità.
Risultati:su 590 pazienti impiantati con ICD il 17% (n=100) erano donne. Il 37% (n=37)
di questi sono stati impiantati con ICD monocamerale, il 26% (n=26) con ICD bicamerale
e il 37% (n=37) con ICD tricamerale. I pazienti con cardiopatia ischemica erano il 43%
(n=255). In questo gruppo la percentuale di donne impiantate con ICD era
significativamente minore rispetto al gruppo dei pazienti senza cardiopatia ischemica
(9% vs 23% n=24 n=77 p=0.001). Al momento dell'impianto la percentuale di donne in
terapia ottimizzata con ace-inibitori (37% vs 67%, n=9 n=146 p=0.004) e betabloccanti
(50% vs 72% n=24 n=217 p=0.027) era inferiore rispetto alla percentuale degli uomini.
Le donne presentavano volumi tele diastolici inferiori (150±45 vs.176±55 ml p=0.043)
ma senza una differenza significativa dei valori indicizzati. I parametri clinici e la classe
NYHA così come la mortalità/ trapianto cardiaco e la percentuale di complicanze tra i
due sessi non erano significativi. I pazienti con cardiopatia non ischemica erano il 57%
(n=335). Di questi il 23% (n=77) erano donne. Al momento dell'impianto non vi erano
differenze significative differenze tra uomini e donne per quanto riguarda i parametri
clinici e la terapia. Considerando i parametri ecocardiografici, le donne presentavano
dimensioni ventricolari inferiori (DTD 60±14 vs 66±12 mm, p=0.005), (VTD 153±78 vs
187±70 ml, p=0.001 ) ma non vi erano differenze tra i parametri indicizzati, e maggiori
alterazioni della cinetica (segmenti acinetici/aneurismatici (65% n=44 vs 78% n=186
p=0.020). Non ci sono state differenze significative per quanto riguarda la percentuale di
interventi appropriati e non appropriati dell'ICDs. La mortalità totale/trapianti cardiaci è
stata maggiore negli uomini (12% vs 26% n=9 n=66 p=0.009) così come la mortalità per
cause non cardiovascolari (1% n=1 vs 11% n=26 p=0.011). Le complicanze
periprocedurali non sono risultate differenti tra i due sessi.
Conclusioni: In conclusione nonostante una percentuale inferiore di donne venga
impiantata con ICD non ci sono differenze significative dei parametri clinici e strumentali
tra la popolazione maschile e quella femminile. L'outcome delle delle donne con
cardiopatia ischemica è sovrapponibile a quello degli uomini mentre l'outcome delle
donne con cardiopatia non ischemica è più favorevole senza maggiori complicanze.
Finanziamenti:nessuno.
Bibliografia:Gender differences in clinical outcome and primary prevention defibrillator
benefit in patients with severe left ventricular dysfunction: A systematic review and
meta-analysis. Sex Differences in the Use of Implantable Cardioverter-Defibrillators for
Primary and Secondary Prevention of Sudden Cardiac Death.
SIGNIFICATO CLINICO E PROGNOSTICO DEL POLIMORFISMO DEL
RECETTORE BETA-1 ADRENERGICO IN DONNE AFFETTE DA
INSUFFICIENZA CARDIACA
A. Manerba, M. Triggiani, G. Milesi, E. Rocco, L. Lupi, C. Villa, S. Suardi,
A. Pizzuto, A. M. Hondjeu, N. Dasseni, S. Nodari
Cattedra e Unità Operativa di Cardiologia, Università degli Studi e Spedali
Civili di Brescia

Background:
E' noto come nei pazienti (pz) affetti da insufficienza cardiaca (IC), il sesso
sia correlato a diversi profili clinici e come i polimorfismi genetici dei recettori beta-1 e
beta-2 adrenergici possano condizionare l'evoluzione della patologia e modificare la
risposta alla terapia. Scopo dello studio: Verificare l'esistenza di possibili interazioni
sesso correlate fra il polimorfismo del recettore adrenergico beta-1 e le variabili clinico-
strumentali e la prognosi in pz affetti da IC. Metodi: Tra il Gennaio 2003 e il Dicembre
2008 sono stati arruolati 442 pz consecutivi ricoverati per IC presso la nostra Unità
Operativa. Tutti i pz sono stati sottoposti a valutazione clinica, ecocardiogramma
transtoracico, test da sforzo cardiopolmonare, prelievo venoso ematico per la
determinazione dei parametri ematochimici di routine (glicemia, creatinemia, azotemia,
uricemia, trigliceridi, colesterolo, transaminasi, elettroliti sierici) e la genotipizzazione.
Risultati: Non si sono osservate differenze significative tra i 2 sessi per quanto riguarda la
distribuzione dei genotipi e le caratteristiche demografiche e cliniche (età, anamnesi di
diabete e ipertensione, classe NYHA, pressione arteriosa, frequenza cardiaca e
creatinina), ad eccezione di una minore prevalenza di cardiopatia ischemica (31 vs 199,
p=0.04) e una maggiore frazione di eiezione (36,64±10,53% vs 32,26±10,68%, p=0.001)
nelle donne (D) (n=75) vs gli uomini (U) (n=367). Le D omozigoti per il gene Arg389Arg
(35), rispetto a quelle con genotipo Arg389Gly+Gly389Gly (40), presentavano una
peggiore classe NYHA (2,49±0,56 vs 2,20±0,52, p=0.0247) e una tendenza verso valori
inferiori di FE e una maggiore mortalità totale (22,86% vs 7,5%, p=0.05) e cardiovascolare
(14,29% vs 7,5%, p=0.05). Al contrario non sono state osservate differenze significative
tra i polimorfismi genetici Arg389Arg vs Arg389Gly+Gly389Gly negli U. Le D Arg389Arg e
Arg389Gly avevano una frazione di eiezione maggiore rispetto agli U Arg389Arg e
Arg389Gly (rispettivamente, 35,60±9,98% vs 31,65±10,89% p=0.04, 38,29±11,14% vs
33,08±9,78% p=0.009). Inoltre, le D Arg389Arg vs gli U Arg389Arg mostravano un trend
verso una più alta mortalità totale e cardiovascolare (22,86% vs 16,07% and 14,29% vs
12,50%).
Infine, prendendo in considerazione i pz con cardiomiopatia dilatativa idiopatica (212), le D
Arg389Arg (20), confrontate con le donne Arg389Gly+Gly389Gly (24), presentavano una
tendenza verso una classe NYHA più alta, una minore FE e una peggiore VO2 di picco.
Anche in questo sottogruppo, le D Arg389Arg vs Arg389Gly+Gly389Gly hanno presentato
una maggiore incidenza di ospedalizzazioni cardiovascolari (30% vs 25%), non
cardiovascolari (25% vs 4,17%, p=0.046) e per IC (20% vs 16,67%) e una maggiore
mortalità totale (25% vs 4,17%, p=0.006) e cardiovascolare (10% vs 4,17%, p=0.046).
Nessuna differenza tra i diversi polimorfismi è stata osservata nei pz di sesso maschile.
Conclusioni: Nelle donne con insufficienza cardiaca il genotipo Arg389Gly del recettore
adrenergico -1 è correlato ad un maggiore grado di disfunzione sistolica, ad una più
bassa capacità funzionale e ad una più elevata classe NYHA e quindi ad una prognosi
peggiore. Questa correlazione è risultata più significativa nelle donne con cardiomiopatia
dilatativa idiopatica. Nessuna correlazione significativa è stata osservata per il sesso
maschile.
STRESS OSSIDATIVO E OBESITÀ: UN LINK MATERNO-FETALE
A. Vignini, G. Ferretti, A.M. Cester, *T. Bacchetti, F. Raffaelli, L. Mazzanti,
A.L. Tranquilli
Dipartimento di Scienze cliniche Specialistiche ed Odontostomatologiche
(DISCO),*Dipartimento di Scienze della Vita e dell'Ambiente (DISVA) Università
Politecnica delle Marche

Obiettivi: L'obesità infantile rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo di patologie
dismetaboliche e degenerative. Diverse ricerche hanno mostrato che obesità e/o disturbi
psicopatologici di un genitore, in particolare la madre, rappresentano un fattore di rischio
per l'obesità dei figli. Ciò accade attraverso vie dirette ed indirette, tra cui stili alimentari
familiari e un pattern di regolazione alimentare predisponente all'obesità. Obiettivo dello
studio è stato indagare il ruolo di fattori di rischio potenzialmente trasmissibili dalla madre
ai rispettivi figli. A tale scopo sono state arruolate 37 donne all'ottavo mese di gestazione
(19 obese e 28 normopeso). Successivamente è stato eseguito un prelievo di sangue
venoso delle madri e del cordone (al momento della nascita). Il plasma ottenuto è stato
utilizzato per la valutazione dei seguenti markers biochimici: leptina (Lp), insulin-like
growth factor (IGF-1) e markers dello stress ossidativo. L'interesse per lo studio dei livelli
di Lp è supportato da ricerche che hanno dimostrato che la Lp, agendo sul cervello,
promuove la formazione dei circuiti neurali che controllano l'intake di cibo e l'adiposità.
Studi precedenti hanno evidenziato che la concentrazione della Lp nel sangue cordonale
è inversamente correlata al livello di crescita intrauterino. L'IGF-1 è importante per i
processi di crescita del bambino e mantiene i suoi effetti anabolici anche in età adulta.
Allo scopo di investigare ulteriormente il legame tra obesità e stress ossidativo sia nel
plasma che nel cordone ombelicale sono stati studiati i livelli di LDL-ossidate (ox-LDL) e
l'attività dell'enzima antiossidante paraoxonasi (PON1).
Metodi: L'attività della PON1 è stata valutata nel plasma isolato da tutti i soggetti inclusi
nello studio utilizzando il paraoxone come substrato. La determinazione della
concentrazione plasmatica di ox-LDL, della leptina e di IGF-1 è stata eseguita con metodi
immunoenzimatici (ELISA).
Risultati: Valori più elevati di Lp sono stati osservati sia nel plasma delle donne obese
sia nel cordone ombelicale dei figli delle donne obese rispetto alle normopeso. Nelle
obese i livelli di IGF1 sono significativamente minori rispetto alle donne normopeso. I dati
ottenuti hanno evidenziato inoltre livelli minori dell'attività della PON1 sia nel plasma delle
donne obese che nel sangue cordonale dei figli. Una correlazione positiva è stata
evidenziata tra i livelli della PON1 materna e quella neonatale.
Conclusioni: I dati ottenuti confermano che l'obesità essenziale è associata a
iperleptinemia. La PON1 esercita un ruolo antiossidante pertanto la minore attività della
PON1 nelle obese conferma che l'obesità espone ad una maggiore suscettibilità al danno
ossidativo. Le modificazioni osservate nelle madri si riflettono anche nel sangue dei
neonati, ed indagini statistiche sono in corso per verificare eventuali differenze di genere
nei neonati.
Finanziamenti: RSA, Università Politecnica delle Marche a L.M.

VALUTAZIONE DEL METABOLISMO DELL'OSSIDO NITRICO IN
DONNE AFFETTE DA DIABETE GESTAZIONALE, DIABETE
MELLITO TIPO 1 E DIABETE MELLITO TIPO2
L. Mazzanti1, A. Vignini, 1 G. Ferretti 1, F. D'Angelo2, R.A. Rabini3

1Dipartimento di Scienze Cliniche Specialistiche ed
Odontostomatologiche2Scuola di Specializzazione in Scienza
dell'Alimentazione Università Politecnica delle Marche; 3 U.O.C.
Diabetologia e Malattie Metaboliche INRCA Ancona

Obiettivi: lo scopo di questo studio era valutare l'esistenza di una
correlazione tra i livelli di HbA1c e l'attività della ossido nitrico sintasi (NOS)
in piastrine di donne affette da diabete mellito tipo 1 , tipo 2 e da diabete
gestazionale, per poter meglio comprendere i meccanismi molecolari alla
base della patogenesi del diabete mellito. Inoltre è stata valutata la
produzione di perossinitrito ,radicale libero derivato dal metabolismo
dell'ossido nitrico.
Metodi: sono stati valutati i livelli di HbA1c, l' attività della NOS ,la produzione
di perossinitrito e le concentrazioni di NO e di nitrotirosina a livello
piastrinico su 40 donne gravide con diabete gestazionale , 40 donne non
diabetiche di età gestazionale comparabile , 20 donne affette da diabete
mellito tipo 1, 10 donne affette da diabete mellito tipo 2 e 20 donne non
diabetiche non gravide.
Risultati: una correlazione negativa è stata trovata tra i livelli di HbA1c e
l'attività della NOS nelle donne affette da diabete gestazionale . Al contrario ,
l'attività della NOS presenta una correlazione positiva con i livelli di HbA1c
nelle donne affette da DM1 e DM2 al di fuori della gravidanza. Le donne con
diabete gestazionale hanno mostrato minore produzione di NO correlata con
l' espressione della iNOS. (NOS inducibile)
Conclusioni: la produzione di NO e di perossinitrito associate al controllo
glicemico presentano un comportamento differente nella donna nel periodo
gestazionale . Tale differenza si potrebbe ripercuotere sull' insorgenza delle
complicanze della malattia diabetica , in particolare a livello vascolare ,
suggerendo un possibile ruolo dell'assetto ormonale caratteristico della
gravidanza nella modulazione del metabolismo dell'NO durante il diabete
mellito.
DIFFERENZE DI GENERE NELL'INCIDENZA DEL MESOTELIOMA
MALIGNO
E. Merler, V. Bressan, P. Girardi e il Gruppo Regionale sul Mesotelioma
Maligno
Registro regionale veneto dei casi di mesotelioma, Servizio Prevenzione
Igiene Sicurezza negli Ambienti di Lavoro, AULSS 16, Padova

Obiettivi: Nel 2000 è stato istituito il Registro regionale dei casi di mesotelioma,
articolazione del Registro Nazionale, con il compito di rilevare l'incidenza e
identificare per ciascun nuovo caso l'esposizione a fattori di rischio, in particolare
ad amianto [1].
Metodi: L'incidenza del Mesotelioma Maligno (MM) è stata ricostruita in Veneto a
partire dal 1987 e l'attività continua prospetticamente. L'incidenza è analizzata
attraverso modelli Età-Periodo-Coorte [2] e analisi geografiche a disaggregazione
comunale con utilizzo di tecniche basate su Spatial Scan Statistic [3].
La ricostruzione dell'esposizione ad amianto, attraverso interviste dirette o ai
parenti, ha permesso di assegnare ai 1814 casi finora approfonditi una probabilità
di esposizione per diversa circostanza: lavorativa, domestica, ambientale.
Per 100 soggetti, dei quali 19 donne, è stato determinato al Microscopio Elettronico
a Scansione il contenuto residuo di fibre di amianto nel tessuto polmonare.
Risultati:
E' confermato anche per il Veneto un andamento crescente della
patologia (trend p<0.001 in entrambi i generi) e la maggiore incidenza negli uomini:
[tasso 1987-2010 x 100.000: uomini 2,42 (IC 95%: 2,28-2,55), donne 0,83 (IC 95%:
0,76-0,91)]. Le analisi EPC non fanno rilevare nelle donne una diminuzione del
rischio per le coorti di nascita più recenti. Le provincie di Padova e Venezia
mostrano nelle donne la più elevata incidenza, con cluster elevati per i comuni del
padovano. L'incidenza è il riflesso di esposizioni ad amianto, che, per le donne,
sono sia dovute al lavoro, in particolare nel padovano, sia dovute ad esposizioni
domestiche, in particolare nel veneziano.
Il contenuto residuo in fibre è maggiore nelle donne per esposizioni non lavorative
(media geometrica: uomini 463.121 ff/g di tessuto secco; donne 802.936 ff/g
tessuto secco); il risultato è opposto per le esposizione lavorative (media
geometrica: uomini 1.320.736 ff/g tessuto secco; donne 413.057 ff/g tessuto
secco).
Conclusioni: Osservazione e approfondimento sistematico di questa patologia nei
residenti del Veneto consentono riflessioni sulle differenze per genere, che
risultano piegate da variazioni nell'esposizione ad amianto per intensità, durata,
tipo commerciale di fibra.
Lo studio delle esposizioni non lavorative ad amianto nelle donne è di particolare
importanza, data la proiezione, nel prossimo futuro, di una riduzione dell'incidenza
in relazione agli effetti, anche se non ancora osservabili, del bando dell'amianto.
Bibliografia: [1] Marinaccio A et al. Eur J Cancer. 39:1290, 2003. [2] Carstensen
B. Stat Med 10: 3018, 2007. [3] Kulldorff M. Communications in Statistics 26:1481,
1997.
ESISTONO DIFFERENZE TRA I DUE SESSI NELLA PREVALENZA DEI
SINTOMI INTESTINALI O NELLE DIAGNOSI ENDOSCOPICHE?

A. Miranda, A. Federico, A.G. Gravina, M. Dallio, L. Romano, C. De Sio,
G. De Simini, R. Meucci, A. Colucci, F. Capuano, M. G. Rossetti, M.
Romano, C. Loguercio
Centro Interuniversitario di Ricerca su Alimenti, Nutrizione e Apparato
Digerente - Cattedra di Gastroenterologia Seconda Università di Napoli

Obiettivi: Valutare le differenze di di genere in base ai sintomi del colon e reperti
endoscopici, poiché l'Adenocarcinoma del colon-retto è più frequente negli uomini
che nelle donne, mentre non vi sono differenze significative nella distribuzione di
genere dei polipi, diverticoli o angiodisplasia. Il presente studio si propone di
valutare le differenze di genere in base alla prevalenza dei sintomi del colon e
reperti endoscopici in pazienti sottoposti a colonscopia.
Materiali e metodi: Un totale di 752 pazienti (355 uomini e 397 donne), fascia di
età 45-68 mediana 58 anni, sono giunti alla nostra Unità di Endoscopia nel periodo
2008-2012 per eseguire la colonscopia. Test del chi quadrato è stato utilizzato per
valutare le differenze statisticamente significative. Un valore di p <0.05 è stato
considerato statisticamente significativo.
Risultati: le indicazioni per eseguire la colonscopia sono stati: dolore addominale
(20,8% M e 25,7% F, p = 0,117), anemia (9,3% M e 15,1% F, p = 0.016), presenza
di sangue nelle feci (occulto o evidente) (35,2% M e 29,2% F, p = 0,08), diarrea
(14,1% M e 18,9% F, p = 0,08), stipsi (10,1% M e 12,1% F, p = 0,397).
Reperti endoscopici sono stati: diverticoli (26,5% M e 20,4% F, p = 0.049),
angiodisplasia (5,4% M e 4,8% F, p = 0,723), polipi (33,0% M e 31,0% F, p =
0,562), del colon-retto adenocarcinoma (5,6% M e 4,0% F, p = 0,301).
Conclusioni: 1) Anemia, come indicazione per eseguire la colonscopia, era
statisticamente più frequente nelle donne che negli uomini; 2) All' endoscopia,
prevalenza di diverticoli era leggermente, ma significativamente più alta negli
uomini che nelle donne, 3) Nessuna altra differenza significativa è stata trovato tra
uomini e donne per quanto riguarda la prevalenza di altre lesioni intestinali, come il
cancro del colon-retto, polipi o angiodisplasia.
PUO' IL GENERE INFLUENZARE I SINTOMI E LA DIAGNOSI
ENDOSCOPICA DEL TRATTO GASTROINTESTINALE SUPERIORE?
A. Miranda, A. Federico, A.G. Gravina, M. Dallio, L. Romano, C. De Sio,
G. De Simini, R. Meucci, A. Colucci, F. Capuano, M.G. Rossetti, M.
Romano, C. Loguercio
Centro Interuniversitario di Ricerca su Alimenti, Nutrizione e Apparato
digerente - Cattedra di Gastroenterologia Seconda Università di Napoli

Obiettivi
: Vi sono dati che evidenziano la differenza di genere in relazione ai
sintomi gastrointestinali e la malattia ad essa correlata; infatti la sindrome
dell'intestino irritabile (IBS), stitichezza, gonfiore addominale sono più frequenti
nelle donne rispetto agli uomini. ma le differenze di genere associate a dispepsia
non sono ben documentate in letteratura. Lo scopo di questo studio era quello di
determinare le differenze di genere in base alla prevalenza dei sintomi
gastrointestinali e diagnosi endoscopica nei soggetti che hanno eseguito un
esofagogastroduodenoscopia (EGDS).
Metodi : Un totale di 345 pazienti (167 uomini e 178 donne), età (uomini: età media
51 anni, range 19-88; donne: età media 51,5 anni, range 17-83) sono giunti alla
nostra
un‘Esofagogastroduodenoscopia. Valori di p <0,05 sono stati considerati statisticamente significativi. Risultati: le ragioni per cui sono stati sottoposti ad EGDS sono state : dolore
epigastrico (29.9% M e 38,7% F, p = 0,08), disfagia (4,1% M e 1,6% F, p = 0,16),
dispepsia (23,9% M e 21,9% F, p = 0.6), sintomi atipici della malattia da reflusso
gastroesofageo (1,7% M e 1,6% F, p = 0.9), anemia (1,1% M e 5,6% F, P = 0,02),
ed altri sintomi (nausea, vomito, ematemesi, gastrite autoimmune; 5,9% M e 3,9%,
p = 0.3). La diagnosi endoscopica è stata: gastropatia (79% M, 87,6% F, p =
0,0451), l'incontinenza cardiale (33,6% M, 28% F, p = 0,6204), esofagite (35,3% M,
24% F, p = 0,0233) , ulcera peptica (8,38% M, 1,7% F, p = 0,0087),
duodenopatia(6,3% M, 10% F, p = 0,2283), varici esofagee (8,9% M, F 2,2%, p =
0,0123), ernia iatale (19,7% M, 15,1% F, P = 0,2252), gastropatia ipertensiva (8,9%
M, 3.3% F, P = 0.06), cancro gastrico (1,19% M, 1,79% F, P = 0.704), cancro
esofageo (1.19 % M, 0% F, P = 0,4556), lesioni vascolari (0,59% M, 0,56% F, P =
0,9639).
Conclusioni: 1) È stata osservata una differenza statisticamente significativa tra M
e F per l' anemia (p = 0.02) 2) tra le cause per cui sono stati sottoposti ad EGDS e
la diagnosi endoscopica si è osservata una differenza statisticamente significativa
tra M e F in gastropatia (p = 0,0451), esofagite (p = 0,0233), ulcera peptica (p =
0,0087), varici esofagee (p = 0,0123).
LE DIFFERENZE DI GENERE NELL'IMMERSIONE SUBACQUEA

M.E. Mometto1, P. Michieli1, A. Marroni2,3, M. Schiavon2,3

1UO Centro di Medicina dello Sport e delle Attività Motorie, Dipartimento
Socio Sanitario ai Colli, Azienda ULSS 16 di Padova

2Divers Alert Network Europe
3Master di Medicina Subacquea e Iperbarica, Scuola Superiore Sant'Anna di
Pisa

La diffusione dello sport subacqueo tra le donne è aumentata dagli anni ottanta (23%) ai giorni nostri (26,4%), coinvolgendo tutte le fasce di età (media 35 anni) e con un numero di immersioni/anno quasi pari a quello dei maschi (48 vs 52). Se infatti all'origine dell'attività subacquea moderna, nella seconda metà del 20° secolo, questa era derivata dalle esperienze militari della seconda guerra mondiale e coinvolgeva prevalentemente soggetti maschi con particolare prestanza fisica, più recentemente l'immersione subacquea si è caratterizzata in senso ricreativo, impostando le tecniche di addestramento e di immersione sul divertimento ed il relax, con migliori attrezzature, in parte dedicate alla donna, che consentono a chiunque di avvicinarvisi. Contemporaneamente le donne hanno raggiunto una maggior accettazione sociale nella pratica dello sport in generale, sono più atletiche, indipendenti e con disponibilità di reddito che permette loro di affrontare tranquillamente anche viaggi per attività subacquea. Sempre più frequentemente gli istruttori subacquei sono femmine, divenendo così un'attività anche di tipo professionale. In questo contesto si spiega la diffusione dell'immersione nel sesso femminile. Le principali differenze di genere, oltre a quelle anatomiche, riguardano molte parti della vita di una donna (dallo sviluppo puberale al menarca, dalla gravidanza al parto, fino alla menopausa e all'invecchiamento) e situazioni fisiologiche (mestruazioni, uso della pillola, allattamento) o patologiche (interventi per tumori ginecologici). Pur in presenza di tali peculiarità, non sono state segnalate variazioni di rischio statisticamente significative per Patologie da Decompressione in normali immersioni ricreative e in donne sane. Rischi "particolari" sono stati evidenziati invece per situazioni particolari, con variazioni dei RPDD (Problemi Riportati Durante Immersione) in funzione della fase del ciclo mestruale e dell'uso della pillola. E' consigliato porre attenzione per immersioni in altitudine e in saturazione, come anche nella prima e nell'ultima fase del ciclo (pre-mestruale), a maggior ragione se si usano estroprogestinici orali, e nella fase ovulatoria nelle donne che sanno di avere la pervietà del forame ovale. Gli accorgimenti suggeriti dalla letteratura permettono alle subacquee di immergersi in sicurezza anche in "condizioni particolari".
DIFFERENZE DI GENERE NELLA PROGRESSIONE DELL'EPATITE C

S. Piovesan1, S. Gaiani2, M. Marcolongo3, D. Campagnolo3, A. Alberti1,3
1 Medicina Generale, Azienda Ospedaliera di Padova; 2 Dipartimento di Medicina,
Università di Padova; 3 Dipartimento di Medicina Molecolare (DMM), Università di
Padova

Introduzione e Obiettivi: l'infezione cronica da virus dell'epatite C (HCV) interessa più di 150
milioni di soggetti ed è importante causa di cirrosi ed epatocarcinoma. La progressione di
malattia è molto variabile individualmente ed è influenzata da molti cofattori che riguardano sia il
virus che l'ospite.
Il nostro gruppo negli ultimi anni ha studiato differenze di genere che possono influenzare la
progressione della fibrosi epatica nei pazienti con epatite C.
Metodi e Risultati: un primo studio è stato condotto in 267 pazienti, 146 maschi e 121 femmine
con età media di inclusione di 48±10.7 anni. Tutti i 267 pazienti presentavano all'esordio un
quadro istologico di epatite cronica a minima attività, con grado di fibrosi F0 o F1. I pazienti
sono stati seguiti per un periodo di 7-10 anni senza alcun intervento terapeutico. E' stato così
possibile definire i tassi di progressione della malattia e definire le variabili che intervengono
nell'influenzare l'andamento della malattia. La progressione della fibrosi è stata calcolata
utilizzando biopsie epatiche sequenziali annuali e calcolando la variazione dell'indice Metavir
della fibrosi. La progressione della fibrosi è 0,0153 anni per le femmine e 0,0173 anni nei
maschi con una differenza statisticamente significativa (p=0,041) che si manteneva anche dopo
aggiustamento per covariabili quali età, Indice di Massa Corporea (BMI), genotipo virale.
In un secondo studio questi stessi pazienti sono stati anche analizzati per profili genetici
associati al rischio di sviluppare cirrosi, ed in particolare per un complesso di 7 geni che
contribuiscono all'indice CRS di rischio. In quest'analisi i pazienti di sesso maschile mostrano
un indice CRS medio significativamente più elevato rispetto alle pazienti di sesso femminile
(0,06828±0.12 vs.0,5276±0.14; p<0,00001). Inoltre la percentuale di pazienti con un CRS
superiore a 0,7, indice di alto rischio di progressione risultava più elevata tra i portatori di HCV
di sesso maschile (52%) rispetto ai portatori di sesso femminile (20,5%) (p<0,001).
Il profilo genetico CRS e altri aplotipi genetici correlati al gene TLR4 dimostravano una
correlazione statisticamente significativa con la progressione della fibrosi epatica nei pazienti di
sesso maschile, ma non in quelli di sesso femminile.
In un ulteriore studio limitato a 96 pazienti (46 femmine e 51 maschi), sono stati correlati l'indice
di fibrosi epatica misurata mediante l'elastometria transiente (FIBROSCAN) e parametri
emodinamici di flusso portale. Dopo stratificazione per età e cofattori i pazienti di sesso
maschile dimostrano indici elastometrici nettamente superiori rispetto alle femmine (<40 anni
10,95 vs. 5,74 KPa; 40-60 anni 14,42 vs. 10,66 KPa; >60 anni 15,47 vs. 11,16 KPa; p=0,027),
mentre la velocità portale dimostrava una migliore correlazione con l'elastometria nelle
femmine.
Conclusioni: questi risultati mettono in evidenza l'esistenza di alcune significative differenze di
genere nella fisiopatologia e nella progressione della fibrosi epatica in Epatite C.

UN CASO DI ANORESSIA MASCHILE CON GRAVE COMPROMISSIONE
SOMATICA: CONFRONTO TRA I DATI IN ACUZIE E AL FOLLOW UP
D. Romano1, C. Tarabbia1, M. Gualandi2, E. Manzato2, E. Roncarati2,
F. Francato2, A. Bolognesi2, G. Strizzolo2, P. Schlagenauf2
1Commissione Donne Medico OMCeO di Ferrara
2Centro Disturbi del Comportamento Alimentare, Azienda Ospedaliero-Universitaria
di Ferrara
Obiettivi: L'anoressia nervosa (AN) è un Disturbo del Comportamento Alimentare
caratterizzato da sottopeso, controllo dell'alimentazione e dispercezione corporea. E'
considerata una "female-gender-bound syndrome" (rapporto F:M 9:1). La minore
conoscenza dell'AN maschile, il pregiudizio di genere e una maggiore difficolta' del
paziente a chiedere aiuto contribuiscono al divario tra prevalenze ed alla sottovalutazione
clinica, con ritardo diagnostico ed indice prognostico predittivo negativo. Scopo del lavoro
è presentare un caso di anoressia maschile, per individuarne le peculiarità di genere e
migliorare l'approccio clinico per l'uomo.
Metodi: Paziente maschio, 21 aa, studente di ingegneria, nuotatore a livello agonistico,
sorella e fidanzata in area anoressica, viene inviato al Centro per perdita del 40% del
peso. La diagnosi di ingresso è di AN restrittiva grave, presente da almeno 2 anni,
BMI:14,3, restrizione calorica prolungata e iperattivita'fisica. E'pallido, emaciato, astenico,
presenta petecchie diffuse, edemi agli arti inferiori, ipotensione, bradicardia, grave
compromissione multisistemica: pancitopenia da atrofia gelatinosa del midollo osseo,
ipodisprotidemia, ipertransaminasemia, ridotta densità minerale ossea, ipogonadismo
ipogonadotropo, ipopotassiemia. Riceve trattamento multidisciplinare in degenza, poi in
DH e infine in ambulatorio per circa 2 anni. Viene rivalutato a distanza, dopo 12 anni.
Risultati: Presentiamo i dati rilevati nella fase acuta e nel follow up. Alle dimissioni buon
recupero delle condizioni generali: BMI:24, regressione completa delle alterazioni
segnalate, eccetto calo della densita'ossea e ipogonadismo ipogonadotropo. Rivalutato
dopo 12 anni, ha mostrato una completa guarigione dal danno somatico
Conclusioni: L' AN maschile si manifesta soprattutto con aspetti di ipercontrollo
alimentare, preminenti sulla dispercezione corporea, che ha spesso focalizzazione toracica.
L'atteggiamento verso il calo ponderale è meno rigido, l'iperattività fisica predomina e
raramente vi è uso di pratiche evacuative di compenso. La comorbilità psichiatrica è più
presente e grave. Le complicanze multisistemiche hanno diverso timing di remissione e
sono più severe, specie i difetti di crescita e l'osteoporosi. Dopo adeguato trattamento, il
decorso e la prognosi non paiono influenzati dal sesso. Ulteriori studi biologico-molecolari
e clinici, una migliore adeguatezza metodologica e una corretta formazione medica sull'AN
maschile sono necessari per una diagnosi precoce, principale indice predittivo di prognosi
positiva.
Finanziamenti: Nessuno
Bibliografia:
-
Manzato E et al: Eating Disorders in Males. Nova Science Publishers NY 2011
-Button E et al. Males assessed by a specialized adult Eating Disorders service: patterns
over time and comparisons with females. Int J Eat Dis, 2008; 41:758-761
-Siegel HJ et al. Medical complications in male adolescent with anorexia nervosa. J Adol
Health
1993;16:448-453.
MARKERS DI INFIAMMAZIONE SISTEMICA E SOTTOPOPOLAZIONI HDL IN
DONNE CON E SENZA DIABETE MELLITO DI TIPO 2
E.L. Romeo1, A. Giandalia1, P. Villari1, A. Alibrandi2, K.V. Horvath3, B.
Asztalos3, D. Cucinotta1 , G.T. Russo1
1Dipartimento di Medicina Interna., Università di Messina, Italy; 2Dipartimento di
Scienze Statistiche Università di Messina, Italy; 3Lipid Metabolism Laboratory,
JM-USDA- Human Nutrition Research Center on Aging Tufts University, Boston,
MA-USA

Obiettivi: L'aterosclerosi è una malattia infiammatoria cronica. Oltre al ruolo nel
trasporto inverso del colesterolo (RCT), le HDL sembrano esercitare il loro ruolo anti-
aterosclerotico anche attraverso la modulazione dell'infiammazione. D'altra parte, anche
l'infiammazione potrebbe contribuire ad alterare la composizione e/o le proprietà
antiaterogene delle HDL.
Le HDL sono una classe eterogenea di particelle che differiscono per dimensioni,
composizione e, probabilmente, per le loro proprietà anti-infiammatorie.
Tuttavia, mancano ad oggi informazioni sulla potenziale relazione tra sottopopolazioni
HDL e flogosi cronica, soprattutto in pazienti con HDL disfunzionali come le
donne diabetiche.
Metodi: Sono state reclutate 160 donne con e senza diabete di tipo 2, senza CHD e
terapia ipolipemizzante, appaiate per età e menopausa. Sono state raccolte
informazioni cliniche e sullo stile di vita e dosati i comuni parametri di laboratorio, i livelli
di hsCRP, IL-6, resistina ed il profilo delle sottopopolazioni HDL, mediante elettroforesi
su gel bidimensionale.
Risultati: Le donne diabetiche mostravano livelli più bassi delle HDL di maggiori
dimensioni alfa-1( P=0.006), alfa-2 (P=0.005), e prealfa-1 (P=0.02), ed un aumento di
quelle più piccole e più povere di lipidi HDL alfa-3 (P=0.02). Mostravano inoltre più
elevati livelli di hsCRP e IL-6 (P corretto per età e BMI<0.001, entrambi), mentre i livelli
di resistina non differivano rispetto ai controlli. In generale, le HDL di maggiori
dimensioni, più ateroprotettive, correlavano negativamente con i marcatori
dell'infiammazione, mentre quelle di dimensioni minori mostravano delle correlazioni
positive. In particolare, i livelli di hsCRP correlavano inversamente con le HDL alfa-1
(P=0.01), prealfa-1 (P<0.001), e prealfa-2 (P=0.02); IL-6 correlava inversamente con le
HDL alfa-1 (P<0.001), alfa-2 (P<0.001), prealfa-1 (P<0.001), prealfa-2 (P=0.02) e
positivamente con le alfa-3 (P=0.03). Tutte queste correlazioni erano più evidenti nelle
donne diabetiche. Non vi erano correlazioni tra i livelli di resistina e le sottopopolazioni
HDL.
Conclusioni: Questi dati suggeriscono come, nelle donne affette da diabete di tipo 2, le
diverse sottopopolazioni HDL possano giocare un ruolo pro- o anti-aterosclerotico
anche in base ad una diversa modulazione dell'infiammazione cronica.
Finanziamenti: nessuno.
Bibliografia
: Russo GT et al. Atherosclerosis 2010,210:294-301; Ridker PM et al. N
Engl J Med 2000,342:836-843; de la Llera Moya M et al. Atherosclerosis 2012; Burnett
MS et al. J Clin Endocrinol Metab 2006,91:64–68; Asztalos B et al. Curr Opin Lipidol
2011,22:176-85; Chrysohoou C et al. Int J Cardiol 2007,122:29-33; Asztalos B et al.
Biochim Biophys Acta 1993,1169:291–300.

ANTICORPI ONCONEURALI PCA-1: UTILI BIOMARKERS NEL FOLLOW
UP ONCOLOGICO NEL GENERE FEMMINILE
A. Vitagliano*, C. Di Bella*, I. Cuomo**, S. Di Landri**, M.M. Barbella**,
C. De Gregorio,** P. Sabatini**
*Facolta' Di Medicina e Chirurgia Universita' Degli Studi Di Padova
**U.O.C. Patologia Clinica D.E.A.II Umberto I-Nocera Inferiore-A.S.L. Salerno
Obiettivi: La Degenerazione Cerebellare Paraneoplastica (DCP) è una rara malattia
autoimmune caratterizzata dalla distruzione delle cellule di Purkinje del cervelletto.
Clinicamente esordisce con nausea, vomito, vertigini e difficoltà nella deambulazione, cui
segue una progressiva ed invalidante atassia del tronco e degli arti. La DCP e dovuta a
effetti a distanza di neoplasia, che per definizione,non sono causati da invasione
neoplastica o da metastasi, da processi infettivi o ischemici, da deficit metabolici e
nutrizionali e tantomeno da interventi chirurgici o dal trattamento del tumore. La DCP è
frequentemente associata a carcinomi ginecologici o della mammella, le cui manifestazioni
cliniche nel 60% dei casi seguono quelle cerebellari. Nel siero e/o nel liquor dei pazienti
sono presenti anticorpi onconeurali : i più frequenti sono gli anticorpi anti citoplasma delle
cellule di Purkinje (Anti-Yo o PCA-1) (Giometto B. 2008), riscontrati molto tempo prima
della diagnosi oncologica. L'evidenza di un ruolo patogenetico degli anticorpi
onconeuronali, e la specificità della loro presenza, rappresenta un inestimabile strumento
diagnostico.
Scopo Del Lavoro: Nel caso clinico presentato i segni clinici di DCP e il riscontro di PCA-
1 nel siero della paziente si sono manifestati alla recidiva della malattia.
Materiali e metodi: Presentiamo il caso di una donna di anni 74, ricoverata nel maggio
del 2010 nel reparto di medicina del P.O. Umberto I per ascite n.d.d. e ipertensione
arteriosa La paziente sottoposta a TAC total-body, colonscopia, esame citologico del
liquido ascitico ha ricevuto diagnosi di lesione neoplastica epiteliale ovarica (C4).Ha
iniziato cicli di chemioterapia secondo lo schema CBDCA+Taxolo (6 cicli). Nel novembre
2010 è stata sottoposta ad isteroannessectomia totale con linfoanedectomia iliaca e
otturatoria bilateralmente . All'esame istologico è stato evidenziato una residua area di k
della sierosa ovarica con infiltrazione omentale. Fino a settembre 2011 il suddetto caso è
stato caratterizzato da buone condizioni della paziente e remissione della malattia.
Nell'ottobre 2011 la paziente ha ricevuto diagnosi di DCP compatibilmente con le
manifestazioni cliniche mostrate: vertigini, tremori, nistagmo di 3° grado, difficoltà motorie
e della parola e con gli esami di diagnostica per immagini: PET-TAC da cui si è
evidenziato un incremento dell'attività metabolica all'emisfero cerebellare sinistro e RMN,
con e senza mezzo di contrasto, che non ha evidenziato lesioni focali o di impregnazione
patologica all'emisfero cerebellare destro. La Ricerca degli anticorpi anti-Yo, condotta con
metodica di immunofluorescenza indiretta (IFI ), ha avuto esito positivo con titolo elevato
(1:800) e test di conferma positivo con tecnica di Immunoblot (Euroimmun)).
Risultati: Nel gennaio 2012 la paziente è stata sottoposta ad un ulteriore ciclo di
chemioterapia. Un successivo controllo del luglio 2012 ha rivelato condizioni generali
migliorate e una sensibile riduzione del titolo anticorpale anti-Yo (1:100).
Conclusioni: Appare evidente nel follow up attento di un paziente, alla comparsa di
sintomi neurologici di DCP e pregressa neoplasia ginecologica, l'utilità della
determinazione di anticorpi antineurone. Non solo per una migliore gestione del quadro
neurologico(Rauking score 4-5) ma anche per indirizzare il clinico verso una, neoplasia
non ancora documentata.(Giometto B.2008).
OSA E NOSA IN PAZIENTI HCV-RNA POSITIVI IN TRATTAMENTO DI
COMBINAZIONE: UNA VALUTAZIONE DI GENERE
P. Sabatini*, M.M. Barbella*, C. De Gregorio*, N. D'Amato*,A. Sorrentino*,
S. Di Landri *, I. Cuomo *, A. Vitagliano**
*U.O.C. Patologia Clinica D.E.A.II Umberto I-Nocera Inferiore-A.S.L. Salerno
** Facoltà di Medicina e Chirurgia Università degli Studi di Padova
Obiettivi: L'infezione cronica da virus dell'epatite (HCV) è frequentemente associata a
malattie autoimmuni extraepatiche sia organo (OSA) che non organo specifiche (NOSA).
Nei pazienti con HCV-in fase attiva di genotipi differenti, e in trattamento con interferone 
(IFN ) e ribavirina si rinvengono biomarkers NOSA. Appare interessante effettuare una
valutazione, dell'associazione tra OSA, NOSA e HCV RNA positività, in pazienti in corso
di terapia antivirale con interferone, in una prospettiva di genere.
Metodi: Sono stati arruolati, nell'arco di un anno, 398 pazienti, 238 uomini e 160 donne, di
età compresa tra 26-60 anni, di cui il 78% con genotipo 1b, il 6.7% con genotipo 2, il
12.4% diviso con uguale distribuzione con genotipo 3 a e 4 e 100 donatori sani. I sieri dei
pazienti arruolati sono stati sottoposti al dosaggio degli anticorpi anti-HCV con metodica
ELISA di III generazione (HCV EIA 3.0-Abbott Laboratories), l'HCV-RNA con RT-PCR
operando una valutazione quali-quantitativa con HCV-RNA VERSANT. La
genotipizzazione è stata effettuata con VERSANT HCV GENOTYPE 2.0 Assay (LiPA). La
ricerca dei NOSA è stata eseguita mediante un substrato costituito da stomaco, rene e
fegato murini (EUROIMMUN). I campioni NOSA con pattern frequentemente associati a
Epatite Autoimmune (AIH) sono stati sottoposti alla ricerca di biomarkers specifici con
tecnica immunodot (Alifax). La ricerca di anticorpi anti nucleo (ANA) è stata eseguita su
cellule HEp-2 con tecnica di immunofluorescenza indiretta (IFI) e quella degli anticorpi
anti-nucleo-citoplasmatici estraibili con tecnica di immunoblot (EUROIMMUN ). L'alanina
ammino-trasferasi (ALT) e l'aspartato ammino-trasferasi (AST) sono state dosate con una
tecnica cinetica-enzimatica.
Risultati: Dei pazienti HCV RNA positivi il 42,3 % risultava positivo per ANA con titolo
anticorpale compreso tra 1/80 e 1/1280. In particolare titoli elevati compresi tra 1/640 e
1/1280 sono stati riscontrati nel genere femminile (P <,0001). In entrambi i generi con una
frequenza del 11,90% è stato riscontrato un pattern fluoroscopico speckled con una
sp
ecificità anticorpale anti-SSA/Ro e anti–SSB/La prevalente nel genere femminile (P
<,0009). Nel (1,26%) si osserva un un pattern omogeneo. Circa il 20% dei pazienti ha
mostrato una positività per ANA con pattern "rods and rings", caratterizzato da un'intensa
fluorescenza a morfologia filamentosa, a volte ripiegata su sé stessa. Il 16,10% dei sieri
testati ha mostrato positività OSA, in particolare nel genere maschile per LKM1 8,3%), per
LC1(2,08%) (P <,0005), nel genere femminile per APGA(14,8%) (P <,0005). I sieri positivi
per il pattern ASMA con specificità F-actina è risultato più frequente nel genere maschile
(P <,0005). Livelli elevati di AST (150 UI/l) sono stati osservati nei pazienti HCV
RNA+/ANA+ rispetto ai pazienti HCVRNA+/ANA- (AST 45 UI/l). Nessuna differenza nei
gruppi esaminati è stata osservata per i livelli di ALT e in relazione al genere .
Conclusioni: L'analisi dell'associazione tra l'attività di malattia e la positività OSA E
NOSA in pazienti HCVRNA+ in terapia di combinazione IFN  e ribavirina, ha mostrato
differenze di genere. Una maggiore presenza di OSA e di specificità F-Actina, è stata
osservata nel genere maschile rispetto a quello femminile. Nelle donne è stata riscontrata
una maggiore presenza di NOSA indice di rischio di associazione con patologie
autoimmuni sistemiche. Il quadro fluoroscopico "rods and rings" rinvenuto in corso di
terapia, persiste anche a distanza di diversi mesi dall'interruzione del trattamento in
entrambi i generi. Si sta valutando, l'esito della terapia di combinazione nei pazienti positivi
OSA E NOSA in una prospettiva di genere.

MEDICINA DI GENERE : LA SFIDA DI UNA CONOSCENZA PERTINENTE

F. Signani
Azienda Unità Sanitaria Locale di Ferrara / Università di Ferrara

Premessa: Si fa riferimento ad una classificazione originale (Signani, 2013) che
scandisce le tappe di attenzione alle differenze in medicina che qui sintetizziamo in: a)
la medicina uomo-centrata, con interesse all'ideal - tipo di maschio, giovane, bianco, sui
70 kg di peso, considerato equivalente dal punto di vista fisiologico alla femmina, ad
eccezione della sola sfera riproduttiva. In questo assetto la donna è considerata ‘piccolo
uomo'; b) la medicina della donna, che prende piede dalla metà del secolo scorso,
finalmente considera la salute della donna, ma si limita a quella riproduttiva; c) la
medicina delle differenze biologico - sessuali caratterizza il Terzo millennio, studia
analiticamente anatomia e funzionalità di ogni organo nell'uomo e nella donna,
scoprendo che, paradossalmente, ciò che si pensava differisse, invece risulta uguale. Si
pensi al tumore alla mammella, che fino a qualche anno fa si riteneva appannaggio solo
della donna o all'infarto, che si credeva fosse solo dell'uomo. Mentre ciò che si pensava
uguale, più lo si studia, più si scopre che è diverso per esempio il cuore, il fegato, etc.
Infine troviamo la medicina di genere che è la medicina auspicata, non ancora attuata.
Per ottenerne l'applicazione occorre una ricerca socio-clinica interdisciplinare che
consideri le influenze del genere, inteso come il peso del ruolo sociale nell'essere uomo
o donna, in relazione a sintomatologia, diagnosi, cura e riabilitazione. Far conoscere
questo approccio medico richiede molti cambiamenti nella didattica sia orientata ai
giovani in formazione, che agli operatori sanitari già attivi. In questo sta anche la
necessità di una formazione adatta agli adulti. Affrontare la complessità didattica con
pertinenza è requisito imprescindibile per una medicina di genere in scienza e
coscienza.
Analisi: La medicina di genere porta con sé la necessità di una riforma di pensiero
scientifico a cui conseguono prassi coerenti. Essa infatti si presenta come sapere
complesso polidisciplinare e trasversale, che dovrebbe allineare saperi disgiunti e
frazionati, le ‘specializzazioni', promuovendo una conoscenza pertinente (Morin, 2001)
che curi il collegamento tra tutto e parti: esempio la descrizione sintomatologica e la
diagnosi di malattia non sono disgiunte dalla relazione tra il/la paziente ed il /la curante;
la conoscenza di un organo, approfondita in ottica di genere, va interrelata con la
considerazione dell'intero corpo dell'uomo e della donna. Pertinenza non ancora dotata
di strumenti adeguati,
Conclusioni: Investire sulla elaborazione di strumenti didattici condivisi e riconosciuti
che aderiscano alla necessità di una contaminazione umanistica della medicina, che
colleghino l'insieme di saperi in una forma mentis polidisciplinare e trasversale e ne
riconoscano l'indispensabilità, può rappresentare il giusto ponte tra approccio empirico
e approccio scientifico di cui la medicina di genere ha impellente necessità.
Bibliografia:
F. Signani (2013) La salute su misura. Medicina di genere non è medicina
delle donne. Este Edition, Ferrara; E. Morin (2001) I sette saperi necessari
all'educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano.
FRATTURE DA OSTEOPOROSI E GENERE MASCHILE FRA I
RICOVERATI IN MEDICINA INTERNA: RISULTATI DELLO STUDIO
FADOI-POINT

I. Stefani1, C. Vitali2, A. Valerio3, F. Pieralli4, A. D'Angelo5, C. Cagnoni6,
E. Sgnaolin7, M. Campanini8, A. Mazzone1, a nome dei Ricercatori POINT
1Dipartimento di Area Medica, Ospedale Civile di Legnano (MI); 2Medicina
Interna, Ospedale di Piombino (LI); 3Dipartimento Ricerca Clinica,
Fondazione FADOI, Milano; 4Dipartimento di Medicina Interna, AOU Careggi,
Firenze; 5Medicina Interna, Ospedale "Fatebenefratelli", Palermo; 6Medicina
Interna, Ospedale di Bobbio (PC); 7Medicina Interna, Ospedale "S.Bortolo",
Vicenza; 8Dipartimento di Medicina Interna, AOU "Maggiore della Carità",
Novara

Obiettivi: Valutare le differenze di genere in rapporto alla presenza di fratture da
osteoporosi, patologie concomitanti e fattori di rischio correlati, in pazienti ricoverati
in Medicina Interna.
Metodi: Studio multicentrico, trasversale, con arruolamento di pazienti consecutivi
ricoverati per qualsiasi causa in Medicina Interna, con età superiore a 55 anni. In
tutti i pazienti è stata eseguita radiografia in due proiezioni del rachide dorsale e
lombare; la valutazione dei radiogrammi è stata eseguita in modo centralizzato
presso il Laboratorio Radiologico – Centro Diagnostico Avanzato dell'Osteoporosi,
Università "La Sapienza" di Roma, utilizzando tecnica morfometrica.
Risultati: Le analisi radiologiche sono state eseguite su 1029 pazienti (maschi
42.1%) arruolati in 36 centri. La presenza di una frattura vertebrale è stata rilevata
nel 48.5% dei maschi (età media 75.4 ± 8.0), vs 49.2% delle femmine (età media
76.1 ± 8.1). Una percentuale significativamente minore di maschi aveva diagnosi
nota di osteoporosi (7.4% vs 21.1%, p<0.0001) e una anamnesi positiva per fratture
pregresse (11.5% vs 18.3%, p<0.01). I pazienti di sesso maschile presentavano più
frequentemente concomitante broncopneumopatia cronica ostruttiva (31.3% vs
18.5%, p<0.0001), epatite/cirrosi (10.4% vs 6.6%, p<0.05) e calcemia < 8.5 mg/dl
(34.4% vs 27.2%, p<0.05). Non erano presenti significative differenze di genere in
relazione alla presenza di diabete mellito, scompenso cardiaco e insufficienza
renale, né per l'impiego di steroidi o diuretici.
Conclusioni: L'osteoporosi è generalmente considerata una patologia a netta
maggiore prevalenza nel sesso femminile. I dati dello studio FADOI-POINT, relativi
a una popolazione non selezionata di pazienti ricoverati in Medicina Interna,
evidenziano una discrepanza fra la diagnosi nota di osteoporosi, più frequente nelle
femmine, e l'effettiva presenza di fratture vertebrali che risulta distribuita in maniera
sovrapponibile fra i due generi.
Finanziamenti: Lo studio è stato promosso dalle Società Scientifiche FADOI,
CROI, SIOMMMS e SIRM, e si è avvalso di un grant di ricerca non condizionato
concesso da Eli Lilly Italia e Stroder.
ANALISI DELLE PRESCRIZIONI E LIMITAZIONI DEFINITIVE NEL
PERSONALE DELL'AREA DEL COMPARTO DELL' AZIENDA

OSPEDALIERA DI PADOVA: ESISTONO DIFFERENZE DI GENERE?

A. Di Falco1, L. Stivanello1, T. Zacheo1, L. Brugnaro2
1Servizio per le Professioni Sanitarie Azienda Ospedaliera di Padova;
2S.C. Formazione, Aggiornamento e Progetti Azienda Ospedaliera di Padova

Obiettivi: Analisi delle prescrizioni/limitazioni definitive all'attività lavorativa certificate
da parte del medico competente del Servizio aziendale di Medicina Preventiva dei
lavoratori dell'area comparto sanitario e tecnico dell'Azienda Ospedaliera di Padova
(AOP) per categoria professionale e genere. La temporalità delle prescrizioni/limitazioni
certificate rappresenta una variabile significativa per la gestione del suddetto personale
da parte del Servizio per le Professioni Sanitarie in quanto il carattere definitivo impone
un'inidoneità lavorativa rispetto ad un'attività permanentemente da gestire per tutta la
durata lavorativa del dipendente, mentre quelle che hanno carattere temporaneo
possono avere una scadenza semestrale, annuale o biennale.
Materiali e metodi:
Studio di coorte di 4962 dipendenti dell'area comparto dell'AOP
nel periodo gennaio 2008 a giugno 2013. L'end point dello studio è rappresentato dalla
durata del periodo lavorativo del dipendente libero da prescrizioni definitive. L'end
point primario è stato analizzato rispetto alle variabili genere e professione
graficamente mediante curve di Kaplan – Meyer e analiticamente mediante il test del
Log-Rank e un modello di Cox a rischi proporzionali per stimare i rispettivi hazard ratio
(HR). La significatività dei test è stata posta per valori di probabilità inferiori al 5%.
Risultati:
Nel 2013 il numero delle prescrizioni/limitazioni all'attività lavorativa
certificate da parte del medico competente del Servizio aziendale di Medicina
Preventiva è complessivamente riconducibile a 607 (corrispondenti a 566 dipendenti
prescritti) suddivise in 347 definitive (che corrispondono a 328 dipendenti) e 260
temporanee (corrispondenti a 238 dipendenti).
Dall'analisi della durata della vita lavorativa dei dipendenti del comparto libera da
prescrizioni definitive emergono differenze significative per le variabili genere
(p<0,001) e gruppo professionale (p=0,001).
Il modello indica un rapporto di rischio (HR) di incorrere in una prescrizione definitiva
per il genere femminile doppio rispetto ai colleghi di genere maschile e un HR di 1,5
per i professionisti delle categorie: infermieri, personale della riabilitazione, OTAA o
OSS rispetto a colleghi di altre professioni dell'area comparto tecnici e sanitari a parità
di ogni altra variabile.
Conclusioni:
.
prescrizioni/limitazioni definitive si associa alle seguenti caratteristiche dei dipendenti
dell'area comparto dell'AOP: genere femminile ed appartenere alle seguenti categorie
professionali: infermieri, fisioterapisti, OTAA/OSS. Riteniamo che, alla luce di quanto
esposto, sia indispensabile prendere in considerazione il fenomeno in un'ottica
multidisciplinare che ponga in stretta relazione i bisogni dell'organizzazione con quelli
dei professionisti.
Finanziamenti: /
Bibliografia:
- Database Prescrizioni/Limitazioni Servizio per le Professioni Sanitarie AOP - http://www3.istat.it/: Le statistiche di genere: ultimo accesso luglio 2013.
ANALISI DELLE RICHIESTE DI MOBILITA' INTERNE NEL PERSONALE
DELL'AREA DEL COMPARTO DELL' AZIENDA OSPEDALIERA DI
PADOVA: ESISTONO DIFFERENZE DI GENERE?


A. Di Falco1 , L. Stivanello1 , T. Zacheo1 , L. Brugnaro 2
1Servizio per le Professioni Sanitarie Azienda Ospedaliera di Padova;
2S.C. Formazione, Aggiornamento e Progetti Azienda Ospedaliera di Padova

Obiettivi: Analisi delle richieste di mobilità interne volontarie (RMI) tra unità
operative nel primo semestre 2013 per categoria professionale, età, anzianità di
servizio e genere. In particolare si è voluto indagare se esiste una differenza di
genere significativa tra popolazione lavorativa. Tra le funzioni che il Servizio per le
Professioni Sanitarie (SPS) dell'Azienda Ospedaliera di Padova (AOP) è chiamato
a governare c'è anche l'inserimento e la gestione del personale che richiede
variazione della sede lavorativa nel corso della propria vita professionale in
azienda, presentando formale richiesta di mobilità interna su apposita modulistica,
indicando preferenze di cambio di sede lavorativa e motivazioni.
Materiali e metodi: Studio osservazionale delle RMI giunte al SPS dell'AOP nel
primo semestre del 2013. La descrizione delle variabili quantitative sono realizzate
riportando mediana e scarto interquartile, mentre quella delle variabili qualitative
con l'indicazione delle frequenze assolute e relative delle modalità. Per verificare
l'ipotesi d'indipendenza delle variabili qualitative si è utilizzato il test del Chi -
quadrato di Pearson mentre per verificare l'ipotesi di indipendenza in distribuzione
delle variabili quantitative si è utilizzato il test U di Mann - Whitney. La significatività
statistica per tutti i test di verifica d'ipotesi è stata posta per valori di probabilità
inferiori al 5%.
Risultati: Si sono analizzate 246 RMI a fronte di una popolazione di dipendenti
dell'area comparto sanitario e tecnico dell'AOP di 3737 dipendenti (estrazione dato
del gestionale aziendale Qlik del 26/07/2013) pari al 6,6%. Risultano prevalenti in
ordine decrescente le seguenti motivazioni nei dipendenti che hanno fatto richiesta
di mobilità interna: esigenza di crescita professionale, disagio all'interno dell'unità
operativa, motivi di salute, cambiamenti organizzativi, conflitti con i colleghi.
Rispetto alla presentazione di RMI, si evidenziano statisticamente significative le
seguenti variabili: anzianità di servizio (p<0,001), professione (p<0,001).
Non si evidenzia un'associazione significativa tra la variabile motivazione dichiarate
nella RMI e le seguenti variabili: genere e professione. Non si evidenzia inoltre, una
relazione significativa tra presentazione di RMI e la variabile genere nel periodo
considerato.
Conclusioni: Dai dati in nostro possesso si può corroborare l'ipotesi che i
dipendenti dell'area comparto di anzianità lavorativa più giovane ed appartenenti al
profilo professionale OTAA-OSS, hanno una maggior propensione alla RMI
dall'unità operativa di prima assegnazione. Ulteriori analisi sono comunque
richieste per una migliore comprensione del fenomeno.
Finanziamenti: /
Bibliografia:
- Database Mobilità interna Servizio per le Professioni Sanitarie AOP - http://www3.istat.it/: Le statistiche di genere: ultimo accesso luglio 2013. CONSEGUENZE DELLA VIOLENZA DI GENERE SULLA SALUTE DELLE
DONNE.
P. Schinco 1, G. Tanturri 2
1Centro Supporto Vittime di Violenza DEMETRA - A.O. Città della Salute e
della Scienza Torino- 2Commissione Pari Opportunità OMCEO - Torino
Obiettivi: Gli Autori hanno cercato di stabilire i possibili effetti della violenza di
genere (VG) sulla salute delle donne che la subiscono e sulla loro prole.
Metodi: Abbiamo preso in considerazione pubblicazioni sui danni biologici della
violenza di genere e i dati ricavati sono stati comparati con quelli della casistica del
Pronto Soccorso dell'Ospedale Molinette di Torino. I lavori presi in oggetto hanno
migliorato la comprensione delle associazioni tra violenza di genere ed effetti
negativi sulla salute comprese le patologie motivo di accesso al PS.
Risultati: La VG si associa a malattie autoimmuni, dolori cronici, cefalee, infezioni
sessualmente trasmesse, malattie gastriche ed intestinali. E' presente una
associazione tra VG e scarsa salute fisica e mentale. Assistere a VG da bambini
crea danni epigenetici tramite la Metilazione del DNA che esprime ansia e
depressione in età adulta. l bambini presentano minor salute se assistono alla VG
rispetto a quelli che la subiscono. L'intensità delle cure materne influenza ansia e
peso corporeo della prole in modo permanente attraverso una proteina del cervello
prodotta dal gene Npyr1. Lo stress della VG inibisce la produzione di NGF a livello
del Giro Dentato, ne riduce la neurogenesi e la produzione di dopamina. Ricerche
con RMN dimostrano la riduzione del peso delle aree deputate alla memoria a
breve termine e all'apprendimento. E' dimostrata una relazione fra riduzione
dell'attività telomerasica e storie di VG come causa acceleratrice di patologia e
invecchiamento cellulare. Vissuti di VG e maltrattamenti sono in relazione anche
con malattie specialistiche:lo stupro è fattore di rischio per malattie cardiache .
Lo stress in gravidanza è associato ad alterazioni neuroendocrini,nelle donne
maltrattate durante la gravidanza e nelle donne non maltrattate mettono in
evidenza diversi rapporti ormonali dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene-placenta.
Le donne manifestano tendenza a sviluppare disturbo post-traumatico da stress
(PTSD) il doppio circa degli uomini. Studi forniscono prova dell'alterazioni del
sistema neuroendocrino del cortisolo e DHEA e modifiche che predispongono le
donne verso un'alterazione della risposta immunitaria Th1. Altri studi fanno
emergere alterazioni della funzione immunitaria di difesa nelle donne maltrattate e
della produzione di Interferone e nella frequenza di cancro della cervice uterina.
Nel 2012 nel nostro DEA abbiamo avuto 460 richieste di accesso relative a 358
donne vittime di VG nelle quali è emersa una elevata richiesta di supporto sanitario
in ordine a patologie specialistiche diverse dai danni diretti traumatici.
Conclusioni: I dati della letteratura e quelli degli Autori evidenziano una scarsa
valutazione della Violenza di Genere da parte dell‘abituale approccio medico e
suggeriscono che il fenomeno e la sua relazione con la salute sia molto più
complesso.
Bibliografia:
1)Black MC:Intimate Partner Violence and Adverse Health Consequences:
Implications for Clinicians- American Journal Of Lifestyle Medicine September 1,
2011 5:428-439.
RUOLO DELLA NUTRIGENOMICA NELLA CHEMIO-PREVENZIONE E
NEL TRATTAMENTO DEL CARCINOMA DEL COLON-RETTO
C. Tarabbia, V. Zulian, D. Romano
1Commissione Donne Medico OMCeO di Ferrara
Obiettivi: Il tumore del colon-retto (CRC) è la terza causa di morte per neoplasia al
mondo. Vi sono evidenze epidemiologiche di genere: lieve prevalenza maschile,
maggiore mortalità nella donna anziana, effetto protettivo della TOS, suggerendo
l'importanza della esposizione estrogenica nella carcinogenesi colica. E' noto che
l'utilizzo di contraccettivi orali e di terapia ormonale sostitutiva ha effetto preventivo
e terapeutico contro il CRC, in quanto gli estrogeni inibiscono la crescita
dell'epitelio intestinale, hanno effetto pro-apoptotico, antinfiammatorio e conservano
l'architettura delle cripte interagendo con i recettori beta (ERbeta). La
nutrigenomica è la scienza che studia le interazioni tra la nutrizione ed il genoma,
indicando i soggetti sensibili al trattamento chemio-preventivo alimentare: scopo del
presente lavoro è indagare l'effetto dei fitoestrogeni, fenoli eterociclici non steroidei
vegetali ad azione simil-estrogenica con affinità verso i recettori ERbeta, nella
riduzione dello sviluppo delle lesioni cancerose del colon-retto.
Metodi: Review della letteratura.
Risultati: I fitoestrogeni sono in grado, in vitro ed in vivo, di rallentare il ciclo
cellulare delle cellule epiteliali e di incrementarne l'apoptosi.
Conclusioni: Le popolazioni asiatiche che consumano soia presentano una ridotta
incidenza di CRC: un regime alimentare arricchito con fitoestrogeni potrebbe
dunque trovare spazio nella prevenzione o nella terapia del tumore. Tuttavia,
evidenze biologico-molecolari inducono alcune riflessioni. Le diverse categorie
chimiche di fitoestrogeni hanno differente attività estrogenica e antiossidante e, a
parità di vegetale ingerito, le risposte biologiche cambiano a seconda del
metabolismo e dell'attivazione da parte della peculiare microflora intestinale di
ciascun individuo. Inoltre, i fitoestrogeni competono con gli estrogeni endogeni per i
recettori ERbeta con pari affinità, ma capacità di attivazione circa 1000volte
inferiore: tali composti agirebbero dunque da agonisti o antagonisti, in base alla
quota di estrogeni naturali circolanti ed alla rappresentazione recettoriale. Il grado
di protezione potrebbe dunque essere proporzionale allo status ormonale. Infine,
nelle patologie colon.rettali si verifica una progressiva diminuzione dell'espressione
dei recettori beta, proporzionale al grading di displasia nella poliposi familiare, allo
staging dell'adenocarcinoma, al peggioramento della prognosi ed alla mortalità.
Pertanto, l'impiego dei fitoestrogeni nel trattamento del CRC potrebbe essere in
grado di decelerare la crescita tumorale solo nei casi a basso grading e staging,
quando la desensibilizzazione recettoriale allo stimolo agonista beta-estrogenico è
ancora limitata. Ulteriori studi si rendono necessari a supporto di tali evidenze.
Finanziamenti: Nessuno.
Bibliografia:
-
Schleipen et al: ERbeta specific agonists and genistein inhibit proliferation and
induce apoptosis in the large and small intestine. Carcinog, 2011; 32,11:1675-1683
-Rennert et al: Use of hormone replacement therapy on colorectal cancer
J.Clin.Oncol 2009; 27: 4542-47.

MODULAZIONE ESTROGENICA DELL'ETEROGENEITÀ DEI MONOCITI E
DELLA POLARIZZAZIONE MACROFAGICA

A. Toniolo1, S. Tedesco1, G.P. Fadini2, E. Vegeto3, A. Cignarella1, C. Bolego1
1Dipartimento di Scienze del Farmaco, 2Dipartimento di Medicina, Università di
Padova; 3Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari, Università di
Milano

Obiettivi: I macrofagi rispondono a stimoli ambientali acquisendo fenotipi di attivazione
classica (M1) o alternativa (M2) che caratterizzano diverse condizioni patologiche (1). Il
17beta-estradiolo (E2) regola la funzione immunitaria di monociti e macrofagi (2) agendo
attraverso i recettori per gli estrogeni (ER). Per valutare l'ipotesi che gli estrogeni modulino
il rischio cardiovascolare nei due sessi regolando in maniera differenziale il rapporto
M1/M2, abbiamo valutato gli effetti di E2 su monociti circolanti di topi knockout per
l'isoforma ERalfa (ERalfa-KO) e sui monociti-macrofagi umani in condizioni basali ed in
seguito ad attivazione polarizzata M1/M2.
Metodi: Il fenotipo classico (Ly6Chigh/CCR2+) e alternativo (Ly6Clow/CX3CR1+) dei monociti
di topo è stato analizzato al citofluorimetro. I macrofagi umani dopo 7 giorni in coltura sono
stati polarizzati verso i fenotipi M1 o M2 per 48 h usando LPS/IFNgamma e IL-4/IL-13, in
presenza o assenza di E2 o desametasone (100 nM). I fenotipi M1 ed M2 sono stati
caratterizzati rispettivamente come cellule CD68+/CCR2+ e CD163+/CD206+/CX3CR1+.
L'espressione di ERalfa è stata valutata tramite Q-PCR e Western blot, mentre la
produzione intracellulare di TNFalfa e IL-10 è stata analizzata in citofluorimetria.
Risultati: Nei topi ERalfa-KO rispetto al wild-type si è osservato un aumento del rapporto
M1/M2 dei monociti circolanti. In condizioni basali, i macrofagi umani in coltura presentano
prevalentemente il fenotipo M2. La polarizzazione M1 ha raddoppiato la % di macrofagi
CD68+ rispetto alle cellule M0 e aumentato la sottopopolazione CD14high/CD16low/CD68+
(p<0.05). In seguito all'attivazione M1, la % delle cellule con fenotipo M2 è stata ridotta
(p<0.05). Il pretrattamento con desametasone ha aumentato l'espressione del CD163 di
superficie nei macrofagi basali (M0) e polarizzati M2 (entrambi p<0.05) e prevenuto la
regolazione negativa di CD163 indotta da LPS/IFNgamma (p<0.05). Analogamente, il
trattamento con E2 ha aumentato del 25% la % di cellule M2 CD163+/CD206+ nel contesto
dell'attivazione pro-infiammatoria con gli stimoli M1. L'espressione di ERalfa è diminuita
nei macrofagi M1 rispetto agli M0 a livello di proteina e mRNA, mentre ERbeta non è
variato. Infine, E2 ha ridotto del 50% la produzione di TNF-alfa indotta dall'attivazione M1
rispetto alle cellule non trattate (p<0.05).
Conclusioni: E2 ha potenziato il fenotipo macrofagico M2 contrastando l'effetto
dell'attivazione pro-infiammatoria sull'espressione dei marcatori fenotipici M2 e la
produzione di TNF con un profilo di azione simile al desametazone.
Finanziamenti: Progetto di Ateneo, Università di Padova CPDA108340/10 ad A.C.
Bibliografia:
1. Mantovani A. et al. J Pathol 2013; 229:176-85
2. Bolego C. et al. Arterioscler Thromb Vasc Biol 2013; 33:1127-34.
MEDICINA DI GENERE E SOCIETA' MULTIETNICA: ASPETTI SOCIO-
CULTURALI, PERCORSI MULTIDISCIPLINARI INTEGRATI TERRITORIO-
OSPEDALE
A. Torrisi¹¯², S. Visentin¹, E. Trimarchi¹, E. Cosmi¹, G.B. Nardelli¹

¹Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Università degli Studi di
Padova, ²Azienda ULSS n 16-Padova
Obiettivi: Negli ultimi anni l'utenza dei servizi socio-sanitari è diventata sempre più
multietnica e multiculturale. Le concezioni di salute e malattia, Ilness-Sickness-
Disease, della nascita e della morte, del dolore e della possibilità di trattamento
variano nelle diverse culture. Scopo del nostro studio è stato quello di valutare la
qualità della salute riproduttiva delle donne immigrate, importante indicatore della
salute generale, delle condizioni sociali, della cultura d'origine e dei processi di
adattamento.
Metodi: sono stati individuati percorsi multidisciplinari integrati tra il Consultorio
Familiare di Padova-Centro, l'Ambulatorio Multietnico di Ginecologia e Ostetricia
dell'ULSS n16 e il Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, in
collaborazione con il Comune di Padova. Abbiamo preso in esame l'outcome
ostetrico e neonatale di un gruppo di 100 donne cinesi immigrate e confrontato con
quello di 100 donne italiane, 100 dell'Africa sub-Sahariana e 100 dell'Est Europa.
Risultati: abbiamo riscontrato differenze significative tra le donne cinesi e i gruppi
di controllo, in particolare per le modalità del parto (incidenza del taglio cesareo
significativamente più bassa nelle cinesi, che tolleravano bene il dolore del
travaglio, poco inclini a mostrare le emozioni, ma intolleranti al dolore da "ferite
chirurgiche" come l'episiotomia) e per l' allattamento (minor tempo rispetto a tutti gli
altri gruppi di controllo). Abbiamo valutato inoltre l'incidenza/prevalenza di lesioni
preneoplastiche e neoplastiche del basso tratto genitale nei 4 gruppi, rilevando una
maggiore incidenza/prevalenza di CIN nelle donne dell'Est Europa.
Conclusioni: sottolineiamo l'importanza di promuovere percorsi multidisciplinari
integrati e coerenti Territorio-Ospedale per migliorare l'appropriatezza, la
compliance dell'utenza e il contenimento della spesa. Le donne e la loro salute, il
contrasto della violenza di genere costituiscono veri e propri "indicatori del
benessere" della società. L'arte della Cura è stata da sempre prerogativa femminile.
Nelle antiche cosmogonie Potnia, Dea Madre Mediterranea, dominava i fenomeni
naturali, la fertilità e praticava l'arte della cura. Nel Medioevo un ruolo di primaria
importanza nella pratica e nell'insegnamento della medicina è stato esercitato dalle
Mulieres Salernitanae nella Scuola Medica Salernitana, prima istituzione medica
d'Europa (XI sec.). L'accesso all'istruzione è il fondamento per l'empowerment delle
donne, il kairós del cambiamento. [] Se istruisci una bambina istruisci una famiglia
e un'intera nazione
(proverbio africano), [] One child, one teacher, one book, one
pen can change the world
così asseriva con forza, il 12 luglio 2013 all'ONU, Malala
Yousafzai, 16 anni, sopravvissuta a un attentato dei Talebani, colpita per la sua
pubblica difesa del diritto delle bambine allo studio.
Si ringraziano la prof.ssa Anna Milvia Boselli, Delegata per le Pari Opportunità del
Comune di Padova, la prof.ssa Rosina Torrisi e la prof.ssa Claudia Visentini del
Liceo Ginnasio "Tito Livio" di Padova.

LE MALATTIE DI GENERE: VARIAZIONI DEL NUMERO DELLE PIASTRINE
NELLA NORMALITA' E NELLE MALATTIE SPECIFICHE
M.L. Randi, I. Bertozzi, A.M. Lombardi, E. Duner, C. Sandonà, M. Treleani,
F. Fabris
Dip. di Medicina – DIMED, Clinica Medica 1-Medicina Interna CLOPD, Università
di Padova, Italy

Obiettivi: Il range di normalità delle piastrine è di 150-400x109/L a prescindere dal
sesso. Tuttavia, è stato recentemente dimostrato (1) che le donne sane hanno un
numero di piastrine significativamente maggiore degli uomini, con differenze significative
nel periodo post-pubere. Curiosamente, il fenomeno è inverso per l'emoglobina che cala
nella donna fertile in relazione con la riduzione dei livelli di ferro da perdita mestruale
(2,3). L'iposideremia è infatti un importante stimolo per la megacariopoiesi. Inoltre, il
numero di piastrine si riduce con l'aumentare dell'età in ambedue i sessi ma si riduce
dall'infanzia alla vecchiaia del 35% negli uomini e del 25% nelle donne (1).
Lo scopo del nostro studio è stato di valutare le differenze del numero di piastrine
genere-relate in un'ampia popolazione di soggetti con malattie che determinano una
significativa variazione del numero di piastrine.
Metodi: Abbiamo valutato retrospettivamente dal 2003, 200 pazienti con trombocitemia
essenziale (ET), 123 con porpora trombotica trombocitopenica (TTP) e 122 con
trombocitopenia immune (ITP). Sono stati valutati l'età e il numero di piastrine alla
diagnosi (plts) e un criterio diagnostico di rilievo per ciascuna patologia: nella ET la
presenza di mutazione di JAK2V6127F, nella TTP la riduzione di ADAMTS13 e nella
ITP la presenza di anticorpi adesi alle piastrine (PAIg).
Risultati: Tra le ET, c'erano 142 (71%) donne e 58 uomini, tra le TTP 88 (71.5%) donne
e 35 uomini e tra le ITP 84 (68.8%) donne e 38 uomini. Gli uomini con TTP (50±17 aa) e
con ITP (59±20 aa) erano significativamente più vecchi delle donne (TTP 41±15 e ITP
46±21 aa) (p=0.006 e p=0.002). I valori di plts riscontrati non erano diversi tra maschi
(ET=742±227, TTP=20±17, ITP=63±40) e femmine (ET=775±283, TTP=18±13, ITP=60
±44). Livelli ridotti di ADAMTS13 (< 5%) erano tanto frequenti tra gli uomini (74%) che
tra le donne (75%) con TTP; tra le ET la % di casi con mutazione di JAK2 era uguale in
uomini (70.6%) e donne (74.4%) e tra le ITP la positività dei PAIg, rispettivamente 85%
e 84%.
Conclusioni: I dati da noi riportati dimostrano che le malattie delle piastrine colpiscono
più le donne (2/3) che gli uomini. Mentre con l'andare dell'età nella popolazione normale
il numero di piastrine si differenzia sempre di più tra i due sessi, l'insorgenza di una
"patologia piastrinica" annulla la differenza. Nelle due forme di piastrinopenia esplorate,
le donne erano più giovani dei maschi mentre tale dato non si è confermato nel caso
della ET. Tali reperti non sorprendono dato che è ben noto che le malattie autoimmuni
interessano più comunemente le giovani donne e le forme mieloproliferative l'età medio-
avanzata.
Finanziamenti: MIUR
Bibliografia: 1) Biino G, Santimone I, Minelli C, Sorice R, Frongia B, et al. (2013) Age-
And Sex-Related Variations in Platelet Count in Italy: A Proposal of Ranges Based on
40987 Subjects' Data. PLoS ONE 8(1): e54289. doi:10.1371/journal.pone.0054289
2) Beguin Y (1999) Erythropoietin and platelet production. Haematologica 84:541–47.
3) Kadikoylu G, Yavasoglu I, Bolaman Z, Senturk (2006) Platelet parameters in
women with iron deficiency anemia. J Natl Med Assoc 98: 398–402.
DIAGNOSI E COMPLICANZE DELLA MALATTIA DI CUSHING:
DIFFERENZE LEGATE AL GENERE

M. Zilio1, V. Camozzi1, N. Albiger1, M. Barbot1, F. Ceccato1, V. Daidone2,
P. De Lazzari1, A.C. Frigo2, L. Mazzai1, F. Mantero1, C. Betterle1,
C. Scaroni1
1U.O. Endocrinologia, Dipartimento di Medicina DIMED, Università di Padova;
2Dipartimento di Scienze Cardiologiche, Toraciche e Vascolari, Università di
Padova

Obiettivi: La malattia di Cushing (MC) è una patologia che colpisce in modo
preponderante il sesso femminile, con un rapporto femmine:maschi di 3-8:1. Il
nostro studio si è proposto di valutare se esistano delle differenze di genere nella
presentazione della MC, con riferimento ai parametri ormonali, alla sensibilità dei
test diagnostici e alle complicanze della patologia.
Metodi: Abbiamo studiato retrospettivamente 84 pazienti adulti, 67 donne e 17
uomini (età media 42 anni, range 15-70), affetti da MC e valutati in fase attiva di
malattia. Abbiamo confrontato le caratteristiche presentate dai pazienti dei due
sessi e, attraverso un'analisi di regressione logistica multivariata, abbiamo
analizzato l'effetto del genere sulle complicanze della malattia, dopo aver corretto
per potenziali fattori confondenti quali età, stato gonadico, BMI, livelli di cortisoluria.
Risultati: Non abbiamo riscontrato differenze tra i pazienti di sesso maschile e
femminile per l'età di presentazione, la durata di malattia e il BMI. Gli uomini,
rispetto alle donne, presentavano valori più elevati di cortisolo libero urinario
(p<0.001) e di ACTH (p<0.05). Dal punto di vista diagnostico, nei pazienti di sesso
maschile abbiamo riscontrato una ridotta risposta ad alcuni dei test ormonali usati
per la diagnosi eziologica della malattia: in particolare, la risposta dell'ACTH al
DDAVP test è risultata inferiore tra gli uomini rispetto alle donne (p<0.05) e in minor
misura lo stesso si è visto per il test di soppressione con 8 mg di desametasone.
Anche l'identificazione dei microadenomi ACTH-secernenti all'RMN ipofisaria è
apparsa ridotta nel genere maschile (microadenoma visibile solo nel 46% dei casi,
contro il 79% nelle donne, p<0.05). Inoltre, i pazienti di sesso maschile
presentavano con maggior frequenza e gravità alcune complicanze della patologia:
ipokaliemia (p<0.05), dislipidemia (in particolare ipertrigliceridemia, p<0.05 e ridotto
HDL, p<0.05), osteoporosi lombare (p<0,01), fratture vertebrali (p<0.05), trombofilia
tendenzialmente più severa. All'analisi multivariata il genere maschile è risultato un
fattore di rischio indipendente per la dislipidemia (OR 5.38, p<0.05), la severità
dell'ipertensione (OR 4.28, p<0.05), l'osteoporosi lombare (OR 13.2, p<0.001) e le
fratture (OR 23.5, p<0.01).
Conclusioni: Nonostante la MC sia meno frequente nel genere maschile, in esso
sembra manifestarsi con particolare severità. La minore sensibilità di alcune
indagini utilizzate per confermare l'origine ipofisaria della malattia può rendere
ancora più complicata, nei pazienti di sesso maschile, la diagnosi differenziale con
la sindrome da produzione ectopica di ACTH, che proprio negli uomini è
relativamente più frequente.
Il CUG e la
MEDICINA DI GENERE
Sala Convegni della
Cassa di Riparmio del Veneto
mio del V
11 Ottobre 2013
Via 8 Febbraio, 22
14.00 - 19.30
Programma Workshop Sala Convegni della
Cassa di Risparmio del Veneto
Venerdì, 11 Ottobre 2013
Gianluigi Scannapieco (Padova)
Francesca Cortese (Venezia)
ll ruolo e le funzioni del CUG Simonetta Pasqua (Roma) - Barbara Poggio (Trento)
Quali declinazioni: 2 esperienze a confronto Patrizia Tomio (Trento) - Biancarosa Volpe (Padova)
Gli aspetti problematici e gli aspetti emergenti – prima parte Antonia Ballottin (Verona)
Gli aspetti problematici e gli aspetti emergenti – seconda parte Silvana Bortolami (Padova)
Elisabetta Lenzini (Padova)
Crucialità dell'approccio di "GENERE" per la salute delle lavoratrici e dei lavoratori Franca Bimbi (Padova)
Il Genere nel vissuto aziendale: le Pari Opportunità possibili e realizzabili Jane Hughes (Padova) - Isabella Robbiani (Padova)
La promozione della Salute (Il Benessere Organizzativo) Erio Ziglio (Venezia)
La Salute della Donna Lavoratrice Caterina Zanetti (Padova) - Luisa Casagrande (Padova)
La Medicina di Genere e la Salute della Donna Lavoratrice Michela Mainardi (Padova)
Il CUG e la Medicina di Genere: quali interrelazioni? Daria Minucci (Padova)
On. Milvia Boselli (Padova)
La violenza di genere e l'impatto sulla salute della donna Margherita De Marchi (Belluno) - Orietta Canova (Padova)
Marco Calì (Padova) - Antonella Agnello (Padova)
Ilenia Mezzocolli (Padova) - Patrizia Zantedeschi (Padova)
Documento di intenti con la sottoscrizione dei partecipanti
Discussione e Conclusionicondotti da Silvana Bortolami (Padova)
Al workshop sono stati assegnati 4 crediti ECM DEL CORSO
Aula Nievo
12 Ottobre 2013

Programma Scientifico del Corso
Aula Nievo
Sabato, 12 Ottobre 2013
Apertura segreteria e registrazione dei partecipanti
Apertura dei Lavori e Introduzione
Moderatori:
A. Mazzone (Legnano), A. Tiengo (Padova)
Un percorso di genere nel sistema diabete: criticità e opportunità
A. Avogaro (Padova)
La patogenesi: indicatori cellulari genere-specifici
W. Malorni (Roma)
Effetti di genere sulla patogenesi delle complicanze croniche del diabete
G.P. Fadini, S. Vigili de Kreutzenberg, A. Avogaro (Padova)
CASISTICA CLINICA
Casistica clinica: Diabete di tipo 2: un approccio genere-specifico
S. Del Prato (Pisa)
Epicrisi dei casi presentati:
Domande o segnalazione di casi clinici da parte dei partecipanti
COFFEE BREAK
CASISTICA CLINICA
Casistica clinica: Sindrome metabolica e diabete mellito tipo 2:
differenze di genere nella risposta a GLP1 agonisti
A.C. Bossi, A. Balini, D. Berzi, F. Coletti, G. Meregalli, A. Pulcina,
G. Veronesi (Treviglio, Varese)
Epicrisi dei casi presentati:
Domande o segnalazione di casi clinici da parte dei partecipanti
Casistica clinica: Diabete e gravidanza
A. Lapolla, M.G. Dal Fra (Padova)
Epicrisi dei casi presentati:
Domande o segnalazione di casi clinici da parte dei partecipanti
Il percorso della medicina di genere nel sistema diabete: il bambino
P. Brambilla (Melegnano)
Epicrisi dei casi presentati:
Domande o segnalazione di casi clinici da parte dei partecipanti
Qualita' di cura del diabete nella quarta eta': differenze di genere
I. Stefani (Legnano)
Epicrisi dei casi presentati:
Domande o segnalazione di casi clinici da parte dei partecipanti
Programma Scientifico del Corso
Aula Nievo
Sabato, 12 Ottobre 2013
COLAZIONE DI LAVORO
Sindrome metabolica collegata a ormonoterapia in oncologia
Moderatori:
G. Crepaldi (Padova), C. Politi (Isernia)
Sindrome metabolica e terapie antitumorali
M. Gallo (Torino)
Epicrisi dei casi presentati:
Domande o segnalazione di casi clinici da parte dei partecipanti
DIABETE E OBESITA': Nuove frontiere. La chirurgia bariatrica
Meccanismi di remissione del diabete dopo chirurgia bariatrica
M. Castagneto, G. Mingrone (Roma)
La chirurgia bariatrica e le complicanze del diabete e dell'obesità
R. Vettor (Padova)
TAVOLA ROTONDA CONCLUSIVA
E' possibile ridurre le diseguaglianze di genere nella
costellazione del diabete?
Moderatori:
G. Crepaldi (Padova), C. Politi (Isernia)
Discussione e Confronto tra docenti e discenti MESSAGGIO CONCLUSIVO DEL CORSO
A. Peracino (Milano)
COMPILAZIONE QUESTIONARIO ECM
DEL CORSO
Abstracts del Corso
UN PERCORSO DI GENERE NEL SISTEMA DIABETE:
CRITICITÀ E OPPORTUNITÀ
A. Avogaro

Cattedra di Malattie del Metabolismo, Dipartimento di Medicina, Università di
Padova

La malattia cardiovascolare è la più frequente causa di morte sia nell'uomo che nella
donna: ciò è vero anche per i pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2. Differenze di
genere sono presenti in varie aree della medicina. La malattia cardiovascolare si presenta
nella donna in età più avanzata le quali hanno maggiori probabilità di soffrire di
comorbidità. Questo ritardo di comparsa della malattia cardiovascolare è assai attenuata
quando le donne soffrono di diabete: le donne diabetiche infatti sono colpite da un primo
infarto miocardico alla stessa degli uomini. Non è ancora del tutto chiaro ma le donne
diabetiche presentano alcuni fattori di rischio tradizionali, come il colesterolo e i trigliceridi,
assai peggiori rispetto agli uomini. Il diabete aumenta il rischio di malattia cardiovascolare
da tre a quattro volte nelle donne diabetiche mentre negli uomini il rischio aumenta da due
a tre volte dopo aggiustamento per età. Queste differenze possono avere una loro base
non solo in termini di influenza degli ormoni sessuali sia sulla parete arteriosa che
sull'insulino-resistenza, ma anche in termini di accesso alle cure sanitarie. Anche le
complicanze microangiopatiche tipiche del diabete sembrano progredire nella donna a
velocità maggiore rispetto all'uomo. Proprio per questi motivi sono assolutamente
indispensabili percorsi diagnostici terapeutici che facciano fronte a queste maggior
morbidità presenti nelle donne diabetiche. Questo perché è noto che nelle donne sei morti
su dieci per malattia cardiovascolare sono dovute a fattori di rischio modificabili. E' inoltre
opportuno identificare alcuni fattori di rischio per malattia cardiovascolare che possono
essere precocemente operativi durante la vita della donna prima che essa diventi
diabetica quali la sindrome dell'ovaio policistico, una menopausa precoce, un diabete
gestazionale e una storia di pre-eclampsia. Tutte queste informazioni, solitamente
disattese, rendono la donna estremamente vulnerabile e dovrebbero essere pertanto note
a tutti gli operatori sanitari che curano le donne diabetiche.
Abstracts del Corso
Abstracts del Corso
LA PATOGENESI: INDICATORI CELLULARI GENERE-SPECIFICI
W. Malorni
Dipartimento del Farmaco, Istituto Superiore di Sanita', Roma

Obiettivi:
individuare i meccanismi patogenetici di una patologia, come e' il
caso del diabete, e delle sue complicanze. Tra I meccanismi patogenetici
fondamentali, l'omeostasi cellulare in termini di invecchiamento e morte svolge
un ruolo chiave. In un'ottica di genere, comprendere se esistono differenti
risposte delle cellule maschili e femminili ad insulti esterni, p es infiammatori o
ischemici, e' fondamentale strumento conoscitivo. Oltre alla necrosi, sono
infatti state analizzate in dettaglio sia l'apoptosi, il programma di morte
cellulare piu' studiato, che, piu' recentemente, l'autofagia, un programma
complesso tramite il quale la cellula tenta di sopravvivere e che alla fine
determina la sua morte.
Metodi: vengono impiegate numerose e complementari tecniche di analisi.
Tra queste: metodologie di indagine biochimica (western blot), morfologica
(microscopia ad immunoflorescenza, microscopia elettronica), di citologia
analitica (Citometria a flusso) e molecolare (siRNA).
Risultati: sia l'apoptosi che l'autofagia sono associate alla patogenesi di
malattie degenerative, autoimmuni e infettive nonche' all'insorgenza dei
tumori. In pratica, rappresentano uno dei piu' importanti target terapeutici degli
ultimi anni. Piu' recentemente, la questione e' stata anche affrontata in una
ottica di genere. E' stato osservato che i meccanismi che determinano la
sopravvivenza o la morte cellulare sono anche associati al "sesso" della
cellula. Cioe' cellule isolate da maschi o da femmine, ad esempio cellule
vasali, presentano differenti caratteristiche e suscettibilita' ai farmaci ed agli
agenti pro- o anti-apoptotici. Queste differenze chiamano in causa diversi
pathways, inclusa la formazione di specie reattive dell'ossigeno, e possono
rappresentare un'importante e nuova prospettiva terapeutica nell'ambito della
medicina di genere.
Conclusioni: le differenze di genere a livello cellulare possono essere cosi'
riassunte: a parita' di stress le cellule XX sono in grado di sopravvivere mentre
quelle XY vanno incontro a degenerazione e morte. Questa "plasticita" delle
cellule femminili rappresenta una formidabile possibilita' di rispondere ai
cambiamenti del microambiente ed alle sue alterazioni metaboliche quali
quelle che si riscontrano nel diabete.
Bibliografia:
1: Del Principe D et al. Curr Mol Med. 2013 May;13(4):499-513.
2: Straface E, et al. Handb Exp Pharmacol. 2012;(214):49-65.
3: Matarrese P, et al. Antioxid Redox Signal. 2011 Dec 1;15(11):2825-36.
4: Pierdominici M, et al. Curr Pharm Des. 2011;17(11):1046-55.
Abstracts del Corso
5: Lista P, et al. J Cell Mol Med. 2011 Jul;15(7):1443-57. 21362130. 6: Maselli A, et al. FASEB J. 2009 Apr;23(4):978-84. Abstracts del Corso
EFFETTI DI GENERE SULLA PATOGENESI DELLE COMPLICANZE
CRONICHE DEL DIABETE

G.P. Fadini, S. Vigili de Kreutzenberg, A. Avogaro
Dipartimento di Medicina, Università di Padova

La patogenesi delle complicanze croniche della malattia diabetica è complessa e
presenta alcune caratteristiche peculiari a ciascun tipo di complicanza micro- a
macroangiopatica. Tuttavia, si possono sicuramente riconoscere aspetti comuni,
che rappresentano le basi di un modello patogenetico unificato. Secondo la teoria
di Brownlee, diversi pathways intracellulari derivanti dallo stress ossidativo sono
capaci di tradurre l'iperglicemia e la lipotossicità in danno a carico delle cellule
endoteliali. Negli ultimi anni è stato chiarito che la salute dell'endotelio dipende
anche dal contributo di cellule circolanti, chiamate cellule progenitrici endoteliali
(EPC), con attività diretta o indiretta di riparazione dell'endotelio danneggiato. Le
EPC circolanti sono coinvolte nella patogenesi delle complicanze croniche del
diabete in quanto esse sono ridotte e disfunzionali in pazienti con diabete tipo 1 e
diabete tipo 2. Il livello e la funzione delle EPC circolanti presentano differenze di
genere e risentono in particolare dell'attività estrogenica, mentre il ruolo degli
androgeni è probabilmente indiretto. Si ritiene che alterazioni a carico delle EPC
possano influenzare lo sviluppo e la storia della malattia cardiovascolare e delle
complicanze del diabete in genere. In diverse fasi della malattia vascolare, altre
cellule circolanti diverse dalle EPC sono coinvolte, quali ad esempio le cellule della
linea monocito-macrofagica. Il diabete si associa ad uno sbilanciamento nella
polarizzazione
microangiopatiche. Dati preliminari indicano che anche la polarizzazione e differenziazione monociti-macrofagi suggerendo un effetto del genere anche su questo aspetto patogenetico.
Conclusioni: In conclusione, esistono nuove evidenze sperimentali che importanti
aspetti della patogenesi delle complicanze croniche del diabete siano influenzati dal
genere.
Abstracts del Corso
Abstracts del Corso
DIABETE TIPO 2: UN APPROCCIO GENERE-SPECIFICO
S. Del Prato

Università di Pisa


Il diabete mellito tipo 2 è una patologia con decorso spesso diverso e con risposta ai trattamenti farmacologici spesso dissimile fra i due generi. Un esempio di questa diversità genere-specifica è riconoscibile nel controllo dei fattori di rischio cardiovascolari e nel conseguente diverso trend della mortalità cardiovascolare far uomini e donne. Un recente studio statunitense, che ha preso in considerazione i dati di mortalità dal 1971 al 2000, ha mostrato una riduzione della mortalità per tutte le cause e per cause cardiovascolari negli uomini diabetici, ma non nelle donne diabetiche, suggerendo la possibile esistenza di un differente profilo di rischio cardiovascolare tra i due sessi o una possibile disparità nel trattamento a favore degli uomini. Alcuni studi hanno in effetti documentato un minore controllo dei fattori di rischio modificabili (in particolare pressione arteriosa e colesterolo LDL) nelle donne diabetiche rispetto agli uomini diabetici, suggerendo la possibilità di un minore intensità di cura nelle donne rispetto agli uomini. Recentemente, però, due indagini condotte in centri diabetologici italiani hanno evidenziato che le donne diabetiche rispondono diversamente alla terapia rispetto agli uomini. In particolare è stato documentato che le donne, pur ricevendo una terapia di entità sovrapponibile se non addirittura superiore a quella degli uomini, raggiungono con una frequenza inferiore gli obiettivi terapeutici per il controllo dei fattori di rischio cardiovascolari. Abstracts del Corso
Abstracts del Corso
SINDROME METABOLICA E DIABETE MELLITO TIPO 2:
DIFFERENZE DI GENERE NELLA RISPOSTA A GLP1 AGONISTI

A.C. Bossi1, A. Balini1, D. Berzi1, F. Coletti1, G. Meregalli1, A. Pulcina1,
G. Veronesi G.2
1UO Malattie Metaboliche e Diabetologia, A.O. Ospedale Treviglio-
Caravaggio, Treviglio (Bg), 2Università degli Studi dell'Insubria,
Centro di Ricerche EPIMED, Varese

Obiettivi: gli effetti delle terapie antidiabetiche "classiche" sugli eventi CV sono
controversi. Da alcuni anni sono disponibili per i pazienti affetti da DMT2 gli agonisti
recettoriali del GLP1 (Glucagon-Like Peptide 1): Exenatide (Exe) e Liraglutide.
Sono in grado di ridurre i livelli di HbA1c e il peso corporeo nella maggior parte dei
soggetti diabetici, potendo migliorare alcuni fattori di rischio CV. Partendo dalla
descrizione di un caso clinico, si desiderano valutare potenziali differenze di genere
nella risposta al trattamento con Exe.
Metodi: MM, 45 anni, da 7 affetta da DMT2, con le caratteristiche cliniche della
sindrome metabolica (SM): BMI 44; circonferenza vita (CV) 128cm; Ipert. Arteriosa
in terapia; trigliceridemia: 186mg/dL, già in trattamento con dose massimale di
metformina (Met: 3.000 mg/die), HbA1c 9.90% (85mmol/mol) venne posta in
terapia con Exe sino a 10mcg x 2 s.c. die. L'evoluzione clinica è risultata
soddisfacente, rapida e progressiva nel tempo (dati disponibili a 30 mesi di follow-
up): recente BMI 27.1; CV 95cm; trigliceridemia 126mg/dL; riduzione della
posologia dei farmaci antiipertensivi e della stessa Met (sino a 500mg die). Questo
caso fa parte di una raccolta retrospettiva di 69 soggetti diabetici con SM (34 M; 35
F), età media 52.6±10.3 anni, durata media del DMT2 9.4±5.4 anni.
Risultati: Exe si è confermato farmaco in grado di ridurre rapidamente i livelli di
HbA1c (-1.5% dopo 4 mesi; p<.0001); tale diminuzione è rimasta stabile dopo un
periodo di osservazione di almeno 2 anni in entrambi i generi. E' interessante
notare, però, che il peso corporeo e la CV sono risultati maggiormente ridotti nelle
donne, rispetto agli uomini diabetici.
Conclusioni: Exe permette di raggiungere un miglioramento clinico e metabolico in
entrambi i generi, ma il peso corporeo e la CV mostrano maggior riduzione nelle
donne, permettendo loro di recuperare una conformazione corporea più femminile.
Sono necessari ulteriori studi su popolazioni più numerose e per tempi più
prolungati per verificare un potenziale effetto di genere delle incretine iniettabili. Se
confermate, queste osservazioni porterebbero a considerare che le signore affette
da DMT2 e SM trattate con Exe potrebbero ottenere un effetto più favorevole su
alcuni dei loro fattori di rischio CV.
Finanziamenti: nulla da dichiarare. Studio approvato dal locale CE indipendente.
Bibliografia: 1) Klonoff DC, Buse JB, Nielsen LL et al. Exenatide effects on diabetes, obesity,
cardiovascular risk factors and hepatic biomarkers in patients with type 2 diabetes treated for at
Abstracts del Corso
least 3 years. Curr Med Res Opin 2008;24:275; 2) Kautzky-Willer A, Reza Kamyar M, Gerhat D et al. Sex-Specific Differences in metabolic Control, Cardiovascular Risk, and Interventions in Patients With Type 2 Diabetes Mellitus. Gender Medicine 2010; 7: 571; 3) Pulcina A, Veronesi G, Bossi AC et al. Effetti del trattamento persistente con exenatide a medio-lungo termine in soggetti con diabete mellito tipo 2: esperienza multicentrica lombarda. G It Diabetol Metab 2013;33:61. Abstracts del Corso
DIABETE E GRAVIDANZA
A. Lapolla, M.G. Dal Fra
Dipartimento di Medicina, Cattedra di Malattie del Metabolismo,
Università di Padova

Obiettivi: La gravidanza complicata da diabete è caratterizzata da due condizioni, quella
della gravida già affetta da diabete (tipo 1 e tipo 2) e quella della gravida in cui il diabete
viene scoperto per la prima volta durante la gestazione (Diabete Gestazionale). Ambedue
queste condizioni sono ancora oggi gravate da una serie di complicanze materne
(ipertensione, preeclampsia, parto pretemine, taglio cesareo) e fetali (malformazioni,
macrosomia, ritardo di crescita, ipoglicemia, iperbilirubunemia, malattia delle membrane
ialine)(1). Obiettivo del presente studio è valutare come tali complicanze possano essere
prevenute con una corretta programmazione e gestione della gravidanza al fine di
ottenere prima e durante la gravidanza il miglior controllo metabolico possibile.
Metodi:
Vengono valutati gli studi più recenti pubblicati in letteratura sull'argomento
Risultati: Uno studio recente di Casson e coll.(2) riporta, in pazienti con diabete tipo 1 di
una popolazione non selezionata della Gran Bretagna, una prevalenza di malformazioni
dieci volte superiore a quella delle gravide non una mortalità infantile del 19.9/1000
rispetto al 6.8/1000 dei nati nella popolazione generale. Da sottolineare come le madri
diabetiche con nati malformati mostrassero un controllo metabolico peggiore rispetto a
quello delle madri con nati sani. A confermare ulteriormente l'importanza del controllo
metabolico in questa categoria di pazienti, sono i risultati dello studio DCCT (3) che ha
seguito 180 diabetiche di tipo 1 per un totale di 270 gravidanze. In questo studio le
pazienti in terapia insulinica convenzionale, nel caso volessero avere una gravidanza
(39% dei casi),intraprendevano la terapia insulinica intensiva,in tutti gli altri casi la terapia
intensiva veniva instaurata a gravidanza già iniziata. I valori medi di HbA1c sono risultati
significativamente più bassi al concepimento nelle pazienti in terapia intensiva rispetto a
quelle in terapia convenzionale (7.4 vs. 8.1 %, p <0.001), ma simili durante la gravidanza
(6.6 vs. 6.6%).Si sono avute nove anomalie congenite (3.9%) otto delle quali sono occorse
nelle donne assegnate originariamente alla terapia convenzionale. Da tale studio risulta
chiaro quindi che nelle pazienti con diabete pregestazionale la frequenza di malformazioni
congenite può essere riportata ad una frequenza pari a quella delle donne sane se il
trattamento intensivo viene iniziato prima del concepimento.
Conclusioni: Nelle pazienti con diabete pregestazionale la gravidanza deve essere non
solo adeguatamente monitorata ma anche programmata in modo che il concepimento
avvenga in una fase di ottimo controllo metabolico se si vogliono ridurre le complicanze
materne e fetali legate alla stessa (4,5). Perciò, le pazienti con diabete pregestazionale,
che vogliano intraprendere una gravidanza, vanno inserite in un "programma
preconcepimento", i cui cardini sono il counseling pregravidico, le valutazioni cliniche ed il
monitoraggio del diabete,che deve essere condotto da una "equipe multidisciplinare di
cura" composta dal diabetologo, dal ginecologo, dall'ostetrico, dall'infermiere esperto, dalla
dietista, che lavorano in collaborazione per raggiungere tale obiettivo (6).
Bibliografia:1) Kitzmiller J L, Cloherthy J P, Younger M D, et al. Diabetic pregnancy and
perinatal outcome. Am J Obstet Gynecol 1978; 131:560-580; 2) Casson I F, Clarke C A,
Howard C V et al. Outcomes of pregnancy in insulin dependent diabetic women: results of
Abstracts del Corso
a five years population cohort study. B M J 1997: 15:275-288; 3) The Diabetes Control and Complication Trial Research Group. Pregnancy outcomes in the diabetes control and complication trial. Am J Obstet Gynecol 1996; 174:1343-1353; 4) American Diabetes Association. Preconception care of women with diabetes. Diabetes Care 2001; 24 (suppl 1):566-568; 5)Lapolla A, Dalfrà MG, Fedele D. Management of gestational diabetes mellitus. Diabetes Metab Syndr Obes. 2009 Jun 17;2:73-82.2: 73-81; 6) Lapolla A, Dalfrà MG, Fedele D. Pregnancy complicated by diabetes: what is the best level of HbA1c for conception? Acta Diabetol 2010 May 26 (Epub ahed of print). Abstracts del Corso
IL PERCORSO DELLA MEDICINA DI GENERE NEL SISTEMA DIABETE:
IL BAMBINO
P. Brambilla
ASL Milano 2, Melegnano, Milano

Anche nel bambino gli aspetti relativi alle differenze tra generi stanno acquisendo
sempre maggiore interesse, nel campo sia della fisiologia che della patologia.
E' infatti evidente in età pediatrica quanto diverso sia lo sviluppo del processo
accrescitivo, maturativo e di sviluppo tra femmine e maschi, in base a differenze
genetiche, metabolico-ormonali e culturali, le quali si ripercuotono logicamente
anche sullo sviluppo e gestione di una patologia cronica. Il Pediatra, da sempre,
presta attenzione nella pratica quotidiana alle differenze di genere, come testimonia
ad esempio l'adozione sistematica di percentili e curve di crescita specifiche per
maschi e femmine. Tuttavia, solo molto recentemente la comunità pediatrica ha
iniziato a considerare percorsi diagnostico-terapeutici basati sulle differenze di
genere e molto resta ancora da fare in questo ambito, come testimonia una
letteratura scientifica ancora limitata.
Il diabete mellito, quale modello di patologia cronica, propone spunti interessanti
per una "Pediatria di Genere". In età pediatrica i casi di diabete sono
prevalentemente rappresentati dal diabete di tipo 1 (>95% dei casi), essendo il tipo
2 estremamente infrequente e limitato ai soggetti con obesità severa, così come
rari sono i soggetti con MODY o diabete secondario.
All'esordio della malattia, Ludvigsson et al (1Diabetes Metab Res Rev 2013; 29: 85-
89) hanno riportato recentemente che le differenze stagionali nell'incidenza della
malattia e nei livelli di C-peptide alla diagnosi sono più marcate nei maschi, mentre
le femmine presentano livelli di C-peptide in generale più elevati e in particolare nei
casi insorti ad inizio pubertà. La presenza di altra patologia autoimmune associata
è significativamente maggiore nelle femmine.
Durante il trattamento insulinico, ci sono altresì differenze tra generi nel gradi di
controllo metabolico della malattia: le femmine mostrano infatti generalmente livelli
di emoglobina glicata più elevati rispetto ai coetanei maschi e conseguentemente
un controllo glico-metabolico peggiore, in particolare in età puberale (2Handberger
L et al., Diabetes Care 2008; 31: 927-929). A tale fenomeno possono contribuire le
note differenze tra generi in età pediatrica riguardo l'età di inizio puberale (più
precoce nelle femmine), il grado di attività motoria (i maschi sono più attivi), la
distribuzione adiposa (maggiore entità di adipe sottocutaneo nelle femmine) e la
prevalenza di sovrappeso in adolescenza (maggiore nelle femmine).
Conclusioni: pertanto la malattia diabetica sembra presentare importanti
differenze di genere, sia alla diagnosi che durante il trattamento, che vanno
considerate per un ottimale approccio al bambino e adolescente diabetico. In
Abstracts del Corso
particolare, le note differenze tra generi circa il funzionamento del sistema immune,
pesantemente coinvolto nella patogenesi della malattia diabetica, devono essere
considerate da una pediatria moderna sempre più rivolta a una gestione ottimale e
personalizzata del bambino con diabete.
Bibliografia: 1Diabetes Metab Res Rev 2013; 29: 85-89), 2 Handberger L. et al,
Diabetes Care 2008; 31: 927-929).
Abstracts del Corso
CASISTICA CLINICA. QUALITÀ DI CURA DEL DIABETE NELLA QUARTA
ETÀ: DIFFERENZE DI GENERE
I. Stefani
U.O.S. Diabetologia e Malattie del Ricambio. U.O.C. Medicina Interna. A.O.
Ospedale Civile di Legnano (MI)

Il diabete mellito tipo 2 aumenta il rischio di malattie cardiovascolari nella
popolazione generale, ma in misura maggiore nelle donne (1). Inoltre il genere
femminile sembrerebbe maggiormente suscettibile alle complicanze della malattia
diabetica ed è stato suggerito che, nelle fasce di maggior età, le donne
raggiungano l'obbiettivo terapeutico nel trattamento dei fattori di rischio cardio-
vascolare in misura ridotta rispetto agli uomini (2).
Gli indicatori di compenso glico-metabolico raccolti dalla casistica ambulatoriale
italiana (3) evidenziano come nelle donne con più di 75 anni, rispetto agli uomini di
pari età, vi sia uno "svantaggio" in termini di "target metabolico raggiunto". Questo
fenomeno si conferma anche quando si valutano i dati di compenso in rapporto alla
durata di malattia evidenziandosi, per il genere femminile, una lieve minore
attenzione al controllo dei parametri lipidici in ogni classe di età, e particolarmente,
in considerazione dell'elevata prevalenza di malattia in tale fascia, nella quarta età.
Considerando che le donne hanno una maggiore durata di malattia e un'età media
più elevata dei maschi, il peggior andamento dell'assetto lipidico potrebbe essere
spiegato da queste differenze. Quando si analizzano i dati corretti per età e durata
di malattia tali differenze sono amplificate. Riguardo al controllo pressorio arterioso
il confronto tra i due sessi dimostra che nelle fasce di età superiori le donne sono
più frequentemente ipertese rispetto agli uomini. I risultati concernenti gli indicatori
di outcome intermedi sono tutti sfavorevoli al sesso femminile, in modo più marcato
per il BMI e l'assetto lipidico, meno marcatamente per i valori pressori.
Un aspetto non secondario è legato alla posizione sociale della donna: diversi studi
sociologici hanno dimostrato nel genere femminile una diversa attenzione alla
malattia con una tendenza alla minimizzazione dei sintomi, una maggior prevalenza
della depressione e dell'obesità e una maggiore sedentarietà. A questa sottostima
può associarsi la possibile inerzia da parte degli operatori sanitari nell'indurre un
trattamento efficace o un giusto riconoscimento della gravità della patologia.
Conclusioni: l'impegno della comunità diabetologica deve pertanto essere
focalizzato anche al miglioramento del profilo di rischio cardiovascolare del sesso
femminile, intensificando le terapie efficaci e vincendo l'inerzia terapeutica,
comunicando l'importanza di raggiungere i target metabolici per ridurre il rischio
cardiovascolare globale nelle donne con diabete anche attraverso uno stile di vita
adeguato.
Bibliografia
1) A. Juutilainen et al. Gender difference in the impact of type 2 diabetes on
Abstracts del Corso
coronary heart disease risk. Diabetes Care. 2004; 27:2898–2904. 2) A. Kautzky-Willer et al. Sex-Specific Differences in Metabolic Control, Cardiovascular Risk, and Interventions in Patients With Type 2 Diabetes Mellitus Gender Medicine. Vol. 7, n. 6, 2010 3) Focus su: Anziani con Diabete. Annali AMD. Copyright 2012: AMD. Abstracts del Corso
SINDROME METABOLICA E TERAPIE ANTITUMORALI

M. Gallo
SCDU Endocrinologia Oncologica, AO Città della Salute e della Scienza-
Molinette, Torino

Negli ultimi 40 anni la probabilità di sopravvivenza a lungo termine di un soggetto a cui
viene diagnosticata una neoplasia è cresciuta costantemente; oggi, considerando tutti i
tumori, supera il 50% per la popolazione adulta e l'80% per quella pediatrica. Molti
studi hanno dimostrato come i Cancer Survivors (CS) abbiano un aumentato rischio di
sviluppare complicanze tardive dei pregressi trattamenti antitumorali. Le terapie
oncologiche possano infatti favorire lo sviluppo di secondi tumori, ma anche di fattori di
rischio cardiovascolare quali ipertensione, dislipidemia, obesità centrale e diabete. La
sindrome metabolica può rappresentare l'elemento di connessione di un incremento
del rischio cardiovascolare in questa popolazione. Alla base di tale aumentata
prevalenza della sindrome metabolica, nei soggetti curati per patologie oncologiche, vi
sono fattori di rischio pre-esistenti (predisposizione genetica, abitudini di stile di vita),
ma soprattutto gli effetti dei trattamenti antitumorali. Tra questi, sono da segnalare le
alterazioni ormonali correlate al danno ipotalamo-ipofisario di un trattamento radiante
(deficit di GH, TSH e gonadotropine; alterazione dei centri di regolazione della fame),
gli effetti diretti della radioterapia su organi sensibili (cuore, vasi, pancreas, gonadi),
quelli di particolari agenti chemioterapici (cisplatino, adriamicina), di alcuni trattamenti
ormonali (terapia di deprivazione androgenica), della terapia steroidea protratta e,
infine, le conseguenze sullo stile di vita dei trattamenti stessi (limitazioni funzionali,
problemi cardiorespiratori e psicologici). Questi e altri fattori determinano, nei CS, un
incremento del rischio della mortalità cardiovascolare che è stato stimato di circa 7
volte; tale aumento inizia già a distanza di pochi anni dai trattamenti antitumorali, ma
prosegue anche a distanza di 10-20 anni, suggerendo l'importanza di un follow-up
mirato, condotto da personale qualificato e protratto nel tempo. Negli ultimi tempi,
specie nella popolazione pediatrica, sta acquisendo sempre maggiore importanza la
necessità di limitare gli effetti avversi a lungo termine tramite la scelta di schemi di
trattamento meno tossici; d'altra parte, per molti nuovi farmaci (anticorpi monoclonali,
inibitori di tiroisin-kinasi) non disponiamo di alcun dato circa gli effetti a distanza di anni,
essendone recente l'introduzione nell'armamentario terapeutico dell'Oncologo.
Conclusioni: di fronte a una persona sottoposta a trattamenti antitumorali, anche molti
anni prima, è importante raccogliere un'anamnesi dettagliata (schemi e dosi dei
chemioterapici e della radioterapia impiegati), personalizzando le indagini diagnostiche,
la valutazione dei fattori di rischio e la ricerca di complicanze tardive sulla base della
storia clinica del paziente. Uno stile di vita corretto rappresenta un cardine sia per la
prevenzione delle recidive tumorali (e per l'insorgenza di secondi tumori) sia per quella
degli eventi cardiovascolari, anche se non sono ancora stati stabiliti dei parametri
target per il compenso metabolico di questi individui né fissati degli obiettivi di attività
fisica da raccomandare. Particolare attenzione andrà rivolta alle persone per le quali il
Abstracts del Corso
nostro grado di sospetto è generalmente inferiore (come le donne e i giovani adulti), considerando vantaggi e limiti delle terapie ormonali (sostitutive, contraccettive) e di quelle rivolte alla correzione del rischio cardiovascolare (aspirina, statine, antipertensivi). Abstracts del Corso
MECCANISMI DI REMISSIONE DEL DIABETE DOPO CHIRURGIA
BARIATRICA
M. Castagneto, G. Mingrone
Policlinico Universitario A. Gemelli, Roma
Negli ultimi anni si è sviluppato un grande interesse scientifico intorno all'effetto
della chirurgia bariatrica, più recentemente ribattezzata chirurgia metabolica, sul
netto miglioramento del controllo metabolico del diabete tipo 2. E' interessante
notare, però, che diversi tipi di chirurgia bariatrica hanno effetti differenti in termini
di efficacia e velocità di cura del diabete.
Procedure chirurgiche puramente restrittive determinano una reversibilità del
diabete nel 71,6% dei casi dopo gastroplastica verticale e nel 47,9% dopo
bendaggio gastrico.
Procedure prevalentemente restrittive, come il bypass gastrico, inducono una
reversibilità del diabete nell'83,8% dei pazienti. Il meccanismo d'azione del bypass
gastrico sembra dipendere da un'aumentata secrezione di due ormoni prodotti
nell'intestino tenue, il polipeptide insulinotropico glucosio-dipendente (GIP) ed il
peptide simil-glucagone 1 (GLP-1), che incrementano la secrezione insulinica.
Infine, gli interventi che agiscono prevalentemente inducendo malassorbimento,
come la diversione bilio-pancreatica, agiscono sull'insulino resistenza ripristinando
una normale sensibilità all'insulina con conseguente riduzione della sua secrezione
pancreatica.
Conclusioni: tuttavia, ulteriori studi sia sugli animali da esperimento che mediante
trial clinici controllati sono necessari per chiarire meglio il meccanismo d'azione
della chirurgia bariatrica.
Abstracts del Corso
Abstracts del Corso
LA CHIRURGIA BARIATRICA E LE COMPLICANZE DEL DIABETE E
DELL'OBESITÀ
R. Vettor
Dipartimento di Medicina – DIMED, Clinica Medica 3, Padova
Si può affermare che l'obesità severa sia associata a un rischio di mortalità a breve
termine (5-10 anni) che è almeno doppio rispetto alla popolazione normopeso, in
entrambi i sessi. La chirurgia bariatrica è in grado di produrre una significativa
riduzione del peso corporeo che si accompagna ad un miglioramento di tutte le
patologie associate all'obesità e al diabete con riduzione della mortalità
complessiva.
Non esistono peraltro trials randomizzati e controllati prospettici che comparino il
tasso di mortalità in pazienti con obesità severa sottoposti a terapia chirurgica ed in
pazienti comparabili trattati con i migliori schemi disponibili di terapia medica tali da
raggiungere una identica riduzione dell'introito calorico e del peso corporeo.
Lo studio che più si avvicina a questo modello teorico è lo Swedish Obese Subjects
(SOS) Study. Il rischio relativo di mortalità è risultato significativamente più basso
nel gruppo chirurgico (0,76; 95% CI: 0,59-0,99; P= 0.04), con una riduzione del
24,6% della mortalità totale a 10 anni. Sono risultate significativamente ridotte le
morti dovute a diabete, malattia coronarica e cancro, mentre l'unico gruppo che ha
dimostrato un incremento nel gruppo chirurgico era rappresentato dalle morti
accidentali, compreso il suicidio. I risultati di diversi altri studi costituiscono una
prova sufficiente ad affermare che la moderna chirurgia bariatrica è effettivamente
in grado di ridurre l'eccesso di mortalità che caratterizza il paziente con obesità
severa.
Anche se la chirurgia bariatrica è stata inizialmente concepita come trattamento per
la perdita di peso è ormai chiaro che è un ottimo approccio per la cura del diabete e
delle malattie metaboliche. La terapia convenzionale del diabete, quando è
associato a obesità, non sempre riesce a ottenere un buon controllo della glicemia
e una riduzione del rischio cardiovascolare. L' intervento chirurgico non solo
migliora i livelli glicemici, ma riduce quelli del colesterolo totale, dei trigliceridi e
aumenta quello delle HDL-colesterolo. Nei pazienti operati, la remissione del
diabete si è verificata e mantenuta nel 95 per cento dei casi sottoposti a diversione
bilio-pancreatica e nel 75 per cento dei casi dopo bypass gastrico secondo Roux.
L'obesità è un fattore di rischio per eventi cardiovascolari ed il calo ponderale
ottenuto mediante chirurgia bariatrica è risultato associato a un numero ridotto di
decessi cardiovascolari. Il numero di primi eventi cardiovascolari (fatali o non-fatali )
totali (infarto del miocardio o ictus, indipendentemente da quale si fosse presentato
prima) è risultato più basso nel gruppo chirurgia (199 eventi in 2.010 pazienti) che
nel gruppo controllo (234 eventi in 2.037 pazienti; HR aggiustato, 0.67; P inferiore
a 0.001).
Abstracts del Corso
In conclusione, rispetto alle cure tradizionali, la chirurgia bariatrica è risultata
associata a un ridotto numero di decessi cardiovascolari e a una minore incidenza
di eventi cardiovascolari in adulti obesi.
Brunazzi M.C.
Alibrandi A.
Campagnolo D.
Campanini M.
Bacchetti T.
Ballotari P.
Castagneto M.
Castiglione A.
Barazzoni R.
Barbella M.M.
Bartolucci M.L.
Chiatamone Ranieri S.
Beneventi F.
Chiriacò G.
Bergamaschi R.
Ciarambino T.
Ciccarelli F.
Bertoglio C.L.
Cignarella A.
Civitelli S.
Colombini A.
Bolognesi A.
Corradin M.L.
Bortolotti F.
Brambilla P.
Cucinotta D.
Brayda-Bruno M.
Culhane J.F.
Francescato M.P.
Francione D.
Dal Fra M.G.
Dalla Costa A.
Daragjati J.
De Gregorio C.
De Lazzari P.
De Martini P.
De Martinis M.
De Simini G.
Gattamelata A.
Del Prato S.
Gatto M.R.A.
Della Mattia A.
Ghelardini C.
Di Cesare Mannelli L.
Giandalia A.
Di Franco M.
Di Landri S.
Giorgi Rossi P.
Di Lollo A.C.
Di Pasquale G.
Giulietti A.
Glezerman M.
Gravina A.G.
Graziottin A.
Facchinetti G.
Guarnieri G.
Hondjeu A.M.
Horvath K.V.
Iannuccelli C.
Inelmen E.M.
Mometto M.E.
Locatelli E.
Montomoli C.
Loguercio C.
Lombardi A.M.
Nardelli G.B.
Pellegrino F.
Pignataro M.
Manicardi V.
Marcolongo M.
Provinciali L.
Martinetti M.
Raffaelli F.
Mazzolini S.
Meregalli G.
Roncarati E.
Rossetti M.G.
Vangelista C.
Sanfilippo F.
Sansonetti G.
Vicentini M.
Schlagenauf P.
Vigili de Kreutzenberg S.
Silvestrini M.
Simonetta M.
Vitagliano A.
Sorrentino A.
Spinelli F.R.
Vitali Serdoz L.
Stivanello L.
Strizzolo G.
Zanardelli M.
Zucchella A.
Tranquilli A.L.
Triggiani M.
Trimarchi E.
Trombetta C.
Segreteria Organizzativa
L.C. Congressi srl
Via Euganea, 45 – 35141 Padova
Tel 049/8719922 – Fax 049/8710112
e-mail: [email protected]
www.lccongressi.it/MEDICINADIGENERE2013
La Slide Library del Congresso
sarà disponibile sui siti:
Lorenzini Foundation Symposium: 325

Source: http://www.lccongressi.it/MEDICINADIGENERE2013/LIBRO%20FINALE.pdf

Microsoft word - man1251_1262.doc

M.A. Al-Bayati/Medical Veritas 4 (2007) 1251–1262 Analysis of causes that led to the development of vitiligo in Jeanett's case with recommendations for clinical tests and treatments Mohammed Ali Al-Bayati, Ph.D., DABT, DABVT Toxicologist & Pathologist Toxi-Health International 150 Bloom Drive, Dixon, CA 95620 Phone: +1 707 678 4484 Fax: +1 707 678 8505

Helicobacter pylori eradication with a capsule containing bismuth subcitrate potassium, metronidazole, and tetracycline given with omeprazole versus clarithromycin-based triple therapy: a randomised, open-label, non-inferiority, phase 3 trial

Helicobacter pylori eradication with a capsule containing bismuth subcitrate potassium, metronidazole, and tetracycline given with omeprazole versus clarithromycin-based triple therapy: a randomised, open-label, non-inferiority, phase 3 trial Peter Malfertheiner, Franco Bazzoli, Jean-Charles Delchier, Krysztof Celiñski, Monique Giguère, Marc Rivière, Francis Mégraud, for the Pylera Study Group